Quaderni di Roma - anno II - n. 1-2 - gen.-apr. 1948

., 72 ANTONIKO PAGLIARO momenti, come tecnica, sono così intimamente -compenetrati che non vi può essere parola, senza che vi sia lingua, né lingua, senza che vi sia parola. L'atto linguistico è un agire, mediante cui il contenuto della coscienza come intuizione si riduce in termini di rappresentazione (1). Ciò avviene mediante un'analisi dell'intuizione, per cui ogni elemento analizzato viene riportato al suo valore generale; e questa è la forma di ogni vero conoscere: perciò il linguaggio è conoscere. In quanto questo conoscere è collegato con segni di valore universale, cioè con segni di lingua, il cui compito è precisamente quello di distinguere quel conoscere, il linguaggio è pure un distinguere. L'atto linguistico è dunque il risultato di un'intellezione del rapporto che esiste fra il contenuto della propria coscienza, divenuto conoscere, e il conoscere che è obiettivato nei simboli della lingua. E un'obiettivazione del contenuto della coscienza, mediante il conoscere acusticamente distinto, obiettivato nella lingua. Da questa natura del linguaggio discende che un problema delle origini di esso non si può intendere come problema della facoltà di parlare eoiché questa è inerente alla natura umana ed è presupposta ab initio; ~nsì solo come problema delle manifestazioni primordiali, e tuttavia storiche, di tale facoltà. Poiché l'attività linguistica si storicizza nelle lingue, il problema che a noi si pone è quello dei primordi delle singole lingue. Purtroppo, è impossibile dare un fondamento documentario a tale problema, e alle connesse questioni, che di tanto in tanto si pongono sul piano storico, della monogesi o della poligenesi delle lingue. L'umanità ha dietro a sé un numero di millenni non precisamente calcolabile e il nostro occhio è cieco di fronte alle tenebre della preistoria. Ogni tentativo, che si faccia per ricostruire l'immagine di un parlare primordiale, è da ritenersi assurdo, per la difficoltà stessa inerente alla mancanza totale di una documentazione, che vada oltre l'introduzione della scrittura. E, in ultima analisi, la stessa difficoltà che ci impedisce di rappresentarci, nei rapporti in cui si determina, la coscienza dell'uomo preistorico. Epperò, la storia è proiezione nel tempo della natura umana, a noi come tale conoscibile. Ciò che si trova alle radici di ogni storicità è quel che chiamiamo natura dell'uomo, alla cui immagine concorre tutta l'esperienza delle determinazioni concrete. Riguardo al problema delle origini o, meglio, delle forme primordiali del linguaggio, possiamo accogliere come un assioma l'affermazione del Paul (2), secondo la quale in esse debbono (I) Ciò è stato rilevato adegualamente da H. DEMPE, JVas ist Sprarhe?, 1930. (2) PAUL, Prinzipien der Sprarhgeschirhte, 5• ed. 1920, p. 35 sgg.: « La domanda alla quale si può rispondere è soprattutto questa: come fu possibile l'origine del linguaggio? Questa domanda sarà soddisfatta in maniera soddisfacente, se ci riesce di derivare l'origine del linguaggio dall'azione di quei fattori, che noi ancoraogsi vediamo in azione nello sviluppo ulteriore delle lingue. Del resto, non è possibile stabilire un'opposizione fra Ja creazione ori~ ginasia della lingua e il S<mplice sviluppo. Una volta che la lingua si ponga, esistono e la lingua e il suo sviluppo» . ..

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