70 ANTONINO PAGLIARO La psicologia, più scaltrita in fatto di classif icazioni, distingue nel linguaggio varie funzioni: l'annunzio ( K1mdgr1be), cioè la manifestazione ad altri, impulsiva ed immediata, di un propri o moto interiore; l'appello (Auslosrmg o Appell), cioè il richiamo a sé dell'attenzione altrui; e, in fine, la rappresentazione (Dr1rstellu11g), cioè lo sviluppo in termini descrittivi di una qualsiasi nozione intuitiva o razionale, perché altri possa venirne in possesso (1). Questa pluralità della funzione espressiva corrisponde al· l'ingrosso a momenti diversi della coscienza, l'an nunzio al sentimento, l'appello alla volontà, la rappresentazione al conos cere e al pensare. Ma queste distinzioni vertono tutte sul piano d el dialogo, cioè di un parlare che abbia chi lo ascolti, e v'è chi pensa che con esse non si esauriscano le funzioni espressive, dacché, accanto al parlare dialogico, è ne• cessario porre il parlare monologico: è vero, si dice, che ogni parlare presuppone un ascoltatore, ma ciò rappresenta l'a spetto empirico, il caso nor• male, e non esaurisce tutto il parlare, poiché, a d esempio, a chi prorompe in esclamazioni o in imprecazioni per sfogare l'eccitazione del!' animo è perfettamente indifferente che vi sia o non vi sia un ascoltatore. Ma, a } parte il parlare a vuoto, e l'esclamazione e l'imprecazione, che non sono in fondo linguaggio, poiché, se pure si valgono di valori fonici stabilmente significativi, astraggono dal reale significato ad essi inerente, vi è tutto un parlare fra sé, a bassa voce o addirittura tacito , che è una specie di rappresentare sé a se stesso, un dialogo interiore, le cui modalità non sono affatto diverse da quelle che si hanno, quan do vi sia un estraneo ad ascoltare. In verità, queste considerazioni vedono il ling uaggio nelle sue mo• dalità pratiche e trascurano ciò che esso effettivamente è, corneiprima istanza della coscienza (2). Come tale, esso, secondo no i, risponde alla primordiale esigenza di obiettivare, in forma il più possib ile chiara ed efficace, e CO· munque riconoscibile per sé o per gli altri, il contenuto della coscienza. E che ciò avvenga per sé o per gli altri, è momento secondario e in prima istanza non ha rilievo: quello che importa, inve ce, è questo fine immediato di dare al contenuto fluttuante e mobile della coscienza contorni più netti e più stabili, la chiarezza e la stabilità della f orma. Se il problema fondamentale del linguaggio, come di ogni altra forma simbolica, è quello del rapporto fra forma e contenuto, il punto -~ritico di questo problema non può essere altro se non quello dell'impuls o che spinge il contenuto verso la forma. Ciò che caratterizza il linguaggio nella sua rea ltà finalistica è un'esi- ( I) Cfr. BiiHLER, Da, Stmkturmode/1 der Sprarhe. Travaux du Cerde Linguistique de Prague, 6; KA1NZ, o. r. p. 172 sgg. (2) Anche nella recente e notevole opera di G. RÉVÉSZ, Ursprung und Vorgtuhirhte der Spra,he, 1946, (v. l'accurata recensione di V. Pisani in« Paid eia », Ili (1948), p. )6 sgg.) la fun.aiionedelJa 'mutua intesa' viene po-stajn primo piano.
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