Quaderni di Roma - anno II - n. 1-2 - gen.-apr. 1948

UMANESIMO CRISTIANO NELLA « LETTERA A DIOGNETO )) 61 ciarlatani; degli uomini nessuno l'ha veduto né fatto conoscere: egli solo ha manifestato se stesso. E s· è manifestato per mezzo della fede, alla quale solo è concesso di veder Dio » ( 8, 1-6). Su questo punto, l'autore della « Lettera a Diogneto » non mostra la chiaroveggenza e la serenità d'altri pensatori cristiani che abbiam ragione di ritenere suoi contemporanei. Quale distanza fra questa posizione e l'appello che Atenagora rivolge alla filosçifia per dimostrare l'unità di Dio, e la teoria del « Verbo seminale » di Giustino, che vede il pensiero antico, nelle sue più nobili espressioni, investito dalla medesima luce che splende in pienezza nel cristianesimo, e la presentazione che Clemente Alessandrino fa della filosofia greca come pedagogo a Cristo! Pensiamo tuttavia che non si debba scorgere nelle espressioni surriferite una ben consapevole svalutazione della ragione umana, ma piuttosto la proclamazione della necessità della rivelazione per giungere al pieno possesso della dottrina cristiana, senza. che lo scrittore si ponga nei suoi termini esatti il problema dei rapporti fra ragione e fede. Infatti, nel passo che segue, alla ragione umana, dono di Dio, è riconosciuta una capacità nativa di tendere a Dio: « Poiché Dio amò gli uomini, per i quali creò il mondo, ai quali assoggettò tutto ciò che è sulla terra, ai quali diedè la ragione, diede la mente, ai quali solo concedette di guardare in alto a lui, che plasmò secondo la propria immagine, ai quali mandò il suo Figlio unigenito e promise il regno celeste, che darà a coloro che lo hanno amato » ( 10, 2). Dal punto di vista morale ~ e in ciò la « Lettera » concorda pienamente con la tradizione cristiana - è chiaramente affermata la radicale incapacità dell'uomo di essere giustificato senza l'intervento di Cristo Redentore: « Tutto, adunque, avendo ormai presso se medesimo col Figlio suo disposto, fino al tempo precedente lasciò che noi, come volevamo, fossimo portati da impeti disordinati, trascinati da piaceri e desideri; non certo godendo dei nostri peccati, ma sopportando, né compiacendosi del tempo dell'ingiustizia d'allora, ma preparando il tempo presente della giustizia, affinché in quel tempo convinti dalle nostre proprie opere d'essere indegni della vita, ora per la benignità di Dio siam fatti degni; e avendo per p~rte nostra dimostrato essere impossibile entrare nel regno di Dio, per la potenza di Dio ne diveniamo capaci .... Che altro infatti avrebbe potuto coprire i nostri peccati se non la giustizia di lui? » (9, 1-3). 13. - Ma non è certo in questi limiti, da non prendersi forse troppo alla lettera e, comunque, facilmente spiegabili in uno scrittore che non dimostra particolari interessi e attitudini speculative, la nota più caratteristica del nostro. Perciò riteniamo opportuno conchiudere questa nostra rassegna rilevando un ultimò aspetto, eminentemente positivo, da cui riceve chiara conferma la concezione umanistica del cristianesimo che anima la « Lettera a Diogneto ».

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