Quaderni di Roma - anno II - n. 1-2 - gen.-apr. 1948

UMANESIMO CRISTIANO NELLA « LETTERA A DIOGNETO)) 57 empio?» (4, 3). Critica ugualmente la circoncisione (4, 4) e, come prova. d'insipienza assai più che di religiosità, la distinzione fra mesi e giorni di festa e di lutto (4, 5). In questa polemica lo scrittore non mostra nemmeno la preoccupazione esegetica, naturale in un cristiano, che accetta pure il Vecchio Testamento, e non estranea alla letteratura del suo tempo, di discernere l'elemento caduco della Legge da quello perenneQ1ente valido, ma condanna senz'altro usanze che considera in se stesse puro formalismo, poiché non dic;ono nulla alle vere esigenze dell'uomo. 5. - Pur non tenendo conto dei cc. 11-12, che con ogni probabilità, secondo l'opinione prevalente fra gli studiosi, non fanno parte della « Lettera » e che, del resto, non aggiungono nulla di essenziale, dal nostro punto di vista, al nucleo sicuramente autentico, la maggior parte (cc. 5-10) è dedicata al cristianesimo, esponendo i costumi dei cristiani, il disegno divino della redenzione e i suoi mirabili effetti nella vita. Naturalmente, in questa parte soprattutto dobbiam ricercare l'inteUigenza dell'umanità del cristianesimo. Una prima nota che risalta a questo proposito è l'universalità. Non è questa, evidentemente, una novità del nostro scritto: Gesù ordinò di portare il suo messaggio a tutta l'umanità; san Paolo proclamò nel modo più aperto l'uguaglianza del Greco e del Barbaro, del Giudeo e dello Scita sul piano della redenzione. Ma tale concezione, essenziale all'ortodossia cristiana, si configura con sfumature diverse secondo la diversa mentalità dei suoi interpreti. Così Taziano, pur proponendo anche ai Greci l'insegnamento del Vangelo, si compiace di presentare il cristianesimo come dottrina barbarica; e, seguendo un costume familiare a certa tradizione letteraria, insiste sulla contrapposizione dei Barbari agli Elleni, a tutto vantaggio dei primi. La « Lettera a Diogneto » è forse fra i documenti del suo tempo quello in cui più fortemente s'accentua l'universalità del cristianesimo, non tanto in senso geografico e statico, quanto in senso interiore e dinamico, come dono di dottrina e di vita capace d'essere accolto, germe fecondo, dagli uomini di qualsiasi stirpe e costume. « I cristiani infatti né per paese né per linguaggio né per usanze son diversi dagli altri uomini. Poiché né abitano città proprie né usano un dialetto differente né conducono una vita fuor dell'ordinario .... Ma, abitando città sia greche sia barbariche, come ciascuno ebbe in sorte, e seguendo le usanze locali nel vestito, nel nutrimento e nel restante modo di vivere, regolano la propria condotta in una maniera mirabile e, a confessione di tutti, straordinaria. Abitano ciascuno la sua patria, ma come forestieri; prendono parte a tutto come cittadini, e tutto sopportano come stranieri; ogni terra straniera è patria per loro, e ogni patria è terra straniera>> (5, 1-2, 4-5).

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==