LUIGI STEFANINI dee, queste ultime, che bene esprimono di quaie grazia e amabile sorriso, insomma di quale bellezza, si coroni il frutto delle Muse. Importa sopratutto rilevare in Pindaro un'estensione del concetto del1' l)(lJTo~Uk,x,ocçhe non ci sembra si possa ritrovare in Omero. Nell'Odissea l'intimità dell'ispirazione e la sua derivazione divina valgono a disimpegnare il vate da interessi contingenti e da sollecitazioni estrinseche, preservando la libertà del canto. In Pindaro si aggiunge il concetto dell'immediatezza, in quanto, attingendo alla sua natura, che è poi un dono divino, il vate si libera anche dai procedimenti riflessi di una « sapienza » artificiosa, che vorrebbe essere acquisita quando non vi si trovasse allo 1 . stato nativo e potrebbe essere tramandata per mezzo dell'insegnamento, /<. in modo da costituire anch'essa qualche cosa di estrinseco e di coatto rispetto all'intimità del libero canto. Il riflesso, il costruito, il mediato, si configurano come ciò che viene dal di fuori e quindi si eredita,_ si accumula, si tramanda, travolgendo la spontaneità verginale della natura bella e attribuendo al volgo dei non dotati beni d'accatto che loro non appartengono in proprio. . E quanto chiaramente si annuncia, tra l'altro, nel noto passo della Oli\ipia Il, che ha il valore di un apoftegma: « Molti son dardi pronti I nella faretra I sotto il mio cubito, \ che a chi comprende favellano chiaro; ma per le turbe I non hanno interprete. I Saggio è chi molto sa per natura; I ma quanti appresero ( µo:.&6v-r~ç) I alla rinfusa, gracchiano invano, garruli corvi, \ contro l' augello di Zeus divino » ( 1). Il motivo, che riecheggia ovunque, si ripercuote nella IX Olimpia: « E ottimo quanto natura formò; ma troppi uomini anelano I lucrar con apprese I virtù rinomanza. Ogni .opra che senza l'aiuto I del Nume si compia, non scapita ad esser taciuta » (2). Risulta da questi versi che « sapiente » è il poeta e la sua sapienza consiste in un suo « molteplice vedere»; che codesta capacità di visione è un dono divino instillato nella sua natura; che questa innata virtù poetica non può essere sostituita da una scienza « appresa » o tramandata per mezzo dell'« insegnamento». E questione discussa dai critici se, in tale schietta opposizione di Pindaro ali' abilità acquisita attraverso procedimenti riflessi, egli avesse di mira alcuni poeti rivali e in particolare Simonide e Bacchilide, o se in genere egli- intendesse riferirsi alla poesia artificiosamente elaborata, o se, con un'intenzione anche più diffusa, egli volesse riferirsi alla nuova ·, sapienza dei naturalisti ionici e dei filosofi italici, che era sorta intorno a lui, grave del frutto dell'imminente sofistica. A nostro modo di vedere, pur senza escludere qualche allusione polemica a carattere personale, Pindaro m1ra all'ultimo più vasto obbiettivo. Più dicendo bene della poesia, (I) PINDARO, Olimp. Il, 149-159 (trad. Romagnoli). (2) PJNDAR~ O!imp. IX, 151-156 (trad. Romagnoli).
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