LA POETICA DELL'ISPIRAZIONE NEI PRIMI POETÌ DELLA GRECÌA 39 maestro di me stesso ») viene dalla forma estrema di eteronomia ( « debbo tutto a dio »). Bisogna riandare ali' oggettivismo lirico dei greci per penetrare il senso di codesta estrema sudditanza per la quale soltanto il poeta si sente assolutamente libero di disporre del proprio pensiero. Il dono divino non è un peso che schiacci l'aedo, né una catena che imprigioni la sua iniziativa, anzi l'unica garanzia ch'egli possa ottenere per disimpegnarsi da ogni altra sudditanza. Solo oggettiv~ndosi in una forma superiore e quasi alienandosi da se stessa, l'umanità del vate preserva ciò che di più esclusivo e autentico è nel fondo di se medesima. Pindaro è il prisma attraverso il quale il raggio dell'o:ò,olH8o:x-rosçviluppa tutta la propria virtualità. Nessuno più orgoglioso di lui, più esplicito nelle sue ambizioni .e consapevole dei mezzi originali che va esplicando per conseguire i fini dell'arte: nessuno più insistente nel ribadire il dono divino precisamente nei punti dov'è più palese la baldanza del creatore. In lui il nettare « dono delle Muse» si confonde col « soave frutto che stilla dal suo animo» (1). Egli nutre un rispetto religioso per l'imagine sacra del mito, nello stesso tempo in cui gode per il labbro sciolto agli aliti dolci del canto e per le imagini alate che si lanciano, come dalla prora del battello, a diffondere su tutti i mari la notizia della vittoria. In Pindaro ormai il poeta s'è identificato col sapiente e la poesia con la sapienza: sapienza come superiore attività spirituale, che comprende il vedere, ma non esclude qualsiasi altra virtù aristocratica, in cui si esprima il valore umano, sia essa la capacità di trionfare nelle gare atletiche o di fondare città o governare i popoli o convincere con l'eloquenza, tutte forme di prestanza umana che « hanno sete di canto » perché sono un canto esse stesse. « Dono dei Numi sono tutte le arti degli uomini: di quanti hanno saggezza o abilità di mani o fiorita loquela» (2). Non si pensi che questa assimilazione sia un degradare la « sapienza » al livello delle forme inferiori di vita, ché anzi è un estollere a dignità di poesia quanto è operato dall'uomo per vincere l'oscurità della sua condizione mortale: è un estendere il segno della bellezza, precorrendo il pancalismo del Convito platonico, a quanto procede dall'uomo, quand'egli ascende verso l'immortalità. E di bellezza si tratta: perché - sia detto a smentire l'idea che bello e arte sieno per i Greci due poli inconciliabili e l'arte sia semplicemente per essi l'antispirituale e l'antistetico (3) - si compie in Pindaro l'accoppiamento e spesso l'immedesimazione delle Muse con le Chariti, le (I) PINDARO, Olimp. VII, 14-15. Per tutta questa analisi cfr. le cit. Lezioni di Poetica rlauira del DELLA VALLE, do\'e anche è messa in chiara luce la derivazione pindarica dal- !' z,ja18:.8»s7·,c (pag. 65). (2) PINDARO, Pii. I, 80-82. Per la estensione del concetto di ao9(a, v. UNTERSTEINER, art. cit. pag. 342: al quale rimando anche per quanto si va dicendo in seguito sul posto che le Grazie assumono nella poesia di Pindaro. (3) Mi riferisco alla tesi centrale dell'opera del BIGNAMI, La Poetica di A,is101ele e il conceflo dell'arte p,euo gli antichi, Firenze, 1932.
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