Quaderni di Roma - anno II - n. 1-2 - gen.-apr. 1948

LUIGI STEFANINI suo estro ovunque lo porti. Legando il canto alla causalità o alla responsabilità divina (causalità e responsabilità si confondono ancora nella indistinzione della mentalità arcaica), Omero lo lega a un principio assoluto che solo è legge a se stesso e non ha alcun fine da conseguire fuori del suo consumarsi in se medesimo. Questo è anche il primo significato del famoso o:Ù'toolao;x'toç ò'dµ( con cui Femio si salva dall'ira di Odisseo (1): io non ho servito, cioè, alla passione dei Proci, non ho cooperato volontariamente alla realizzazione di un disegno politico, ma ho obbedito esclusivamente alla mia ispirazione, la quale a sua volta corrispondeva al dono istillato da dio nella mia natura. Fuori dagli interessi contingenti, il poeta è anche fuori da ogni con- ( fronto con una realtà che egli debba rispecchiare. Qui siamo ben lungi dal dubbio che si affaccerà più tardi alla speculazione, di fronte ad un'arte mimetica che si allontana dalla realtà, falsificandqla e deformandola. Nell'arbitrio divino si legittimano, anzi acquistano il loro grado di realtà, gli inganni che tanto frequentemente gli dei omerici ordiscono l'uno verso l'altro o verso i mortali, e negli Inni omerici vengono seguiti, senza alcuna nota di bi~imo, Demeter, Afrodite, Ermes, negli inganni abilmente tramati a manif~stazione della propria esuberanza vitale: tanto che Esiodo non avrà nessun ritegno a fare dell'Inganno (' Amx-:·~) una divinità (2) e il religioso Eschilo potrà parlare dell'inganno che diventa giusto in dio (3). In questo ambiente, si capisce come non perdano di pregio le Muse di Esiodo quando si annunciano capaci di « contare menzogne uguali alla reaità e di proclamare altresì delle verità, non appena lo vogliano >> ( 4), e non sfiorisca la X&piç di Pindaro, pur manifestandosi idonea ad annullare il confine che divide il credibile dall'incredibile (5). Se ci allettasst; il gioco dei presentimenti, potremmo già trovare Pindaro molto in anticipo su Aristotele nell'affermare la superiorità della verità poetica sulla verità storica, quando quegli si dichiara persuaso che, << grazie al soave canto d'Omero, il discorso su Odisseo fu_ più alto delle imprese da lui effettivamente compiute » ( 6). Di un altro significato è denso l' o:ù-roòtòixx'toç del libro XXII dell'Odissea. L'aedo non trae motivo al suo canto da interessi contingenti o da esterne occasioni, ma da uno stimolo interiore, perché è dio che ha connaturata in lui la conoscenza d'ogni genere di canti. Ali' èvé9uaz'1 del libro XXII fanno perfetto riscontro la « causalità » divina del libro I e il « dono » dell'VIII. La più sicura e orgoglios~ affermazione di autonomia («sono ( I) OMERO, OdiJ1., XXII, 347-348. (2) Es1000, Teog., 224. Mi attengo per questi rilievi ad alcuni spunti offerti dalle analisi di C. KERÉNYJ, I.A religione a111i,a 11elle Jue linee fo11dame111a/;, Bologna, 1940, pa• gine 118-119 e da quelle di M. UNTER.sTEJNF.R, I.A fiJiologia del mito, Milano, 1946, pag. 198 sgg., 2l2 sgg.; Per una storia della poetica classfra, cit., pagg. 3416 sgg. (3) ESCHILO, pag. 301 N. 2 . . ( 4) Es1000, rreog., 27-28. (5) PJNl>ARO, O/ir.zp. I, 49-51. (6) PJNDA'lf), Nem. VI/, 28-30.

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