LA POETICA DELL'ISPIRAZIONE NEI PRIMI POETI DELLA GRECIA 37 estro, sottintendendo un impulso irrazionale, si configura in Omero come la. facoltà di scelta tra una delle molte vie di conoscenza ( 1) che la partecipazione ad un « vedere » divino dischiude dinanzi al poeta. Questi altrimenti, nella sua limitata umanità, sarebbe legato alla «fama», al ricordo di poche cose tramandate e ripetute, mentre la trasfusione in lui della vita divina, secondo quanto è chiaramente detto nell'Iliade, lo rende presente a tutto e di tutto consapevole, come a tutto soso presenti e tutto vedono le Muse (2). La coartante misura del tempo è abolita e, per un vedere poetico, tutto si raffigura in una presenzialità che ha la specie del!' eternità. Bisogna tener presente che da Apollo viene la profezia, e la profezia è radicata in questa virtù poetica che abolisce il distacco del tempo e rende attuale il futuro per il µ&vnç, come per l'aedo si rende attuale il passato: ispirati l'uno e l'altro dal Dio. Questa sintesi di poesia e profezia è ben vista da Esiodo il quale, sviluppando il mxpdvO(L di Omero, dice delle sue Muse che cantano all'unisono « ciò che è, ciò che sarà, ciò che è stato» (3). , Dal punto di vista degli ascoltatori, questa assolutezza del canto, tratto fuori dal legame del tempo e quindi disimpegnato dalla consuetudine trita e dalla ripetizione, è novità: la novità che piace e verso la quale si protende il pubblico. Questo è il significato, dedotto dal contesto coerente dei passi omerici, del!' &oLS-~ vew-r&q a cui Telemaco si appella per giustificare il canto di Femio (4) e nella quale mal si vedrebbe una rozza preferenza po• polaresca, che Omero avrebbe in qualche modo ratificata, per l'ultimo canto ascoltato o il gusto per l'improvvisazione aedica sui fatti più recenti (5). Anche Pindaro è consapevole di questo ambito pregio di novità quando, prima di cantare, concentra le forze, puntando i piedi agili e traendo largo il respiro, perché « molte cose si dissero, in vario modo, ma trovarne di nuove e fresche ( ve«p&.) e offrirle alla prova, questo è grande rischio » (6). Fuoçi dal tempo, il poeta è fuori dalla colpa (7). Questo è il senso della difesa che Telemaco fa di Femio di fronte a Penelope: l'aedo non serve interessi contingenti, non entra con una sua intenzione di cglpire e ferire nella vicenda delle nostre passioni, ma canta per dilettare, seguendo il (1) OMERO, Odùt., XXII, 347-348. Cfr. UNTERSTEJNER, Per una tt<;,ia della poetica classica, cit., pag. 338. (2) ◊MERO, Il., Il, 485. (3) Es1000, Teog., 38. (4') ◊MERO, Odiu., I, 351-352. (5) Il DELLA 'VALLE, nelle cit. Lezioni di Poetica rlauica (I, pagg. 15-17) confuta con molta chiarezza le due tesi a cui mi rifedsco nel testo, cioè quella di EGGER (ESJai 1ur /'hisloi,e de la cri1Jq11e- chez lei Grec1, cit., pag. 4), per cui dal passo in questione risulterebbe che « il canto migliore e più gradito agli uditori è l'ultimo che essi hanno inteso, evidentemente perché il piacere è meno Jontano e l'impressione è più recente e più viva»; e quella di E. DRERUP (in Homer, Die Anfiinge de,- hellenùrhen K11/t11r, !Monaco, 1903, pag. 31, e in Homerùrhe Poetik, Wiinburg, 1921, v. I, p. 75 sgg.), per il quale si tratterebbe di preferenza del pubblico aedico per l'improvvisazione sui fatti più recenti o per la più recente im• provvisazione. (6) PINDARO, Nem. VII/, 32-34. (7) ÙMERO, OdiJJ., I, 347-348.
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