L'AZZURRO DI CHARTRES Diciamo piuttosto che se il tono del canto qui sembra abbassarsi, questo abbassamento ha pure una sua ragione: ne abbia Dante avuto chiara· coscienza, ovvero abbia obbedito al suo istinto di poeta, parènesi e dida- -licalìacontribuiscono a quello che si potrebbe chiamare « equilibrio estetico ». In questo oceano di suoni e di luce che è il Paradiso, in cui le onde succedono alle onde, ci sono, e ci devon essere, anche le pause: durante le quali, mentre un'onda si va affilì_volendoalla riva e l'altra si gonfia pronta a scrosciare, l'orecchio del lettore si riposa e si dispone a ricevere la nuova effusione di gaudio poetico. Il lettore sa già che dopo il trionfo di Cristo e di Maria lo aspetta nel prossimo canto quello degli apostoli e del primo pontefice. Alla fine del canto XVIII, Dante attribuì a papa Giovanni XXII una disdegnosa noncuranza verso il povero pescatore di Galilea a cui Cristo affidò la sua Chiesa. Come ha ben notato Alessandro Casati, la passione partigiana non lasciò vedere al poeta quanto di virtù personale, di dottrina teologica e di fervore apostolico era in quel pontefice, reo soprattutto, ai suoi occhi, per aver condannato i francescani estremisti, i così detti « spirituali », e impinguato l'erario papale. A quell'allusione risponde in questo canto l'accenno all'oro, di cui gli apostoli non si curarono. E la prossima apparizione del Pescatore, in tutta la sua maestà di vicario di Cristo e custode del Paradiso, è annunziata con quelle rime regali e imperiali - vittoria, gloria - di cui poi abuserà la poesia cortigiana, ma che qui rifulgono come le gemme di un diadema. Dinanzi al Pescatore, Dante avrà il privilegio di fare la sua profession di fede, di dichiararsi, come fu, fedelissimo « puer Ecdesiae >>. PIETRO PAOLO TROMPEO
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