NOTE DI CRONACA 155 tratti o immagini sacre; non confonda dunque l'artista il mezzo col fine. Il mezzo sarà il linguaggio, cioè il modo di esprimere, cioè la consistenza dell'arte; ma questo mezzo non avrà ragion d'essere se non si concreterà in una creatura inconfutabilmente umana e perciò appetibile e comprensibile. Colui che guarderà o acquisterà l'opera d'arte ,dirà di possedere una Madonna, un ritratto, un paesaggio; non saprà dire, forse, perché quel quadro gli dia gioia e tanto meno perché egli sia tanto certo della « verità » del soggetto rappresentato; ma ciò, al!'artista, che cosa importerà? 1La sua vittoria sarà piena, perché con quei suoi mezzi, cioè con quel suo linguaggio, avrà fatto dimenticare j mezzi stessi nell'evidenza di una creatura integralmente vera, cui non si chiede di che cosa sia fatta, ma che si gode come parte integrante della propria vita. (Mi si perdoni se mi sono ripetuto; ma questi erano gli ossessionanti pensieri che mi accompagnavano dopo la visita alla Quadriennale). Ed è stato opportuno, a questo proposito, che accanto ai viventi unilaterali assertori di astratte qualità pittoriche, gli ordinatori della Quadriennale abbiano aJ. lineato qualche saggio di mostra retrospettiva. Sarebbe molto istruttivo, anzi, accentuare il confronto fra l'attuale pittura e quella di ieri, quando ancora il « teorismo » non aveva preso il sopravvento. Colao, per esempio, pur modesto pittore, pur coi suoi ricordi di Fattori, dimostra ben chiaro come anche per lui, )._ e per i suoi contemporanei - fossero vivi i problemi eterni del tono e del colore, anche se non isolati e avulsi dalla piena rappresentazione pittorica. Nathan, poi, dimostra come certa cultura dell'antico, « del classico » non sia esclusivo gusto di qualche vivente che se ne crede scopritore originale. Martini poi, dimostra bene come la scultura già da allora si avviasse - e forse sarà Manzù a salvarla - a mera pittura, con la .scomposizione oltranzista delle forme e con la ricomposizione affidata tutta a una sintesi jmpressionistica; salvo, per certi riguHdi, l'incompiuta (lo voglio sperare) e possente Pietà. (E a proposito di pittoricismo e scultura, penso che i due ritratti di Leoncillo, artista di potente efficacia, messi a confronto coi disegni tanto evidentemente morandiani, potrebbero suggerire positiva attenzione alla critica). Ma non si può chiudere un discorso, quale che sia, su questa Quadriennale, senza spendere una parola sul fatto più appariscente: l'astrattismo. · ·se ne è molto parlato, specialmente dopo la Mostra di pittura francese di un anno fa. Vessillifero de!J'astrattismo è in quest'ultima ondata Alberto Magnelli, che torna a noi decorato del titolo di successore di Klee e di Kandinski; ciò che, francamente, conferisce alla sua personalità una certa eleganza di suggestione. A parte il sapore di moda, questi quadri astrattisti appaiono, a chi non sia iniziato, come zone campite di colore, zone che attraverso i loro contorni nulb suggeriscono che possa comunque stabilire un richiamo o un legame con la realtà dell'esperienza. Un critico ha chiamato talune di queste forme elementarissime: «amebe», per la rassomiglianza con certe ,illustrazioni di testi di biologia o di istologia, le quali dimostrano cellule o atomi o protozoi, che, pur non avendo nulla in comune con le nostre conoscenze visive, pure sono ,per certo il fondamento inderogabile di quei complessi organizzati che poi costituiscono il nostro mondo naturale. Al profano che le contempli, queste tele dipinte possono suscitare anche ammirazione per la preziosità dei colori, e per i loro rapporti, per quella indefinità suggestione, che per esempio, le trame dei binari della strada ferrata o le
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