154 NOTE DI CRONACA esposta alla Quadriennale del ·31; o richiamare, di fronte al Sogno di Emanuele Cavalli (che nei VaJi morandeggia), il troppo presente modello del Nudo di cui tanto si parlò alla Mostra di Pa.lazzo Venezia del '45 per la discussa attribuzione al Piazzetta. Potrei riposarmi imbastendo un vecchio discorso sui Modigliani capitati come ospiti bene accolti a questa Quadriennale o riaccendermi di entusiasmo (del tutto alla moda) per l'espressionismo di Stradone; e poi indagare il cézannismo fuso col morandismo di Trombadori, e ancora il cézannismo voglioso di cubismo di Tornea, del buon gusto da arredatrice di Cesarina Gualino, della scomposizione e ricomposizione cromatica di Borra, dell'espressionismo sicuro di Sforni, del gran colore di Crisconio, dello smagliante dipingere di Pasquarosa Bertoletti, devota a Matisse e eccellente pittrice; dell'omaggio a Medardo Rosso che Gerardi tributa coi suoi ritratti, della nostalgia (perfino) di divisionismo evidente in Vincenzo Ciardo, del cubismo vuoto di De Grada, della furia a freddo di Bartolini, e anche del pro• grammatico Inga11110 di Sciltian che sembra aver contagiato i suoi vicini di mostra (l'incoerente Gazzera, Bueno, Krumm e Annigoni); e anche del purtroppo involontario omaggio a Rouault di Zigaina, o del possibile accostamento di Dal Monte a certe ormai non più incantevoli allucinazioni della Fini; e finalmente notare che, c111antoa potenza di luce e colore il quadretto di Michele Gigotti non è secondo a nessuno (anche se il soggetto si decifra a fatica) poiché non si lascia trascinare a intemperanze di neoplenarismo come, per esempio, Riccardi e Monti. Ma anche questo discorso, che potrebbe protrarsi all'infinito, finirebbe col non discriminare gli artisti, che son tutti - senza sensibili graduatorie - abili e sensibili assertori dei pii, validi termini del linguaggio dell'arte. Di tutti e ciascuno si potrebbe tessere lodi; ma nessuno si potrebbe celebrare per un'opera che avesse la validità di un'effettiva opera d'arte. E così, da un lato, tutti sembrano impacciati dai loro stessi meriti al di qua della soglia del vero successo; e, d'altra parte, il nostro (e, se non mi illudo, non soltanto il nostro) discorso precipiterebbe nell'ermetico e specialistico linguaggio che agli artisti non interessa e il lettore cosidetto « non provveduto » non comprende. Inutile, quindi, è far della critica a questo modo, come - mi si perdoni l'eccesso verbale - è inutile dipingere e scolpire a quel modo se, poi, il pubblico diserta le mostre e il compratore si fa sempre più raro. Lungi da me l'idea di dar consigli all'artista: vano sarebbe dir loro come dovrebbero dipingere o scolpire: l'arte non s'insegna e chi pretende d'insegnarh dimostra di non capire che cosa l'arte sia e spesso riesce soltanto a far danno; ma non bisogna disorientare gli artisti prospettando loro teoriche affermazioni su che cosa sia l'arte stessa o quale sia il gusto o la moda. A furia di dire che l'arte consiste nei puri valori formali, facendo balenare questi allucinanti fantasmi sotto i nomi sempre imprecisi di proporzione, composizione, volumetricità, spazialità, tono, colore, gli artisti son caduti in una sorta di tecnicismo, ermetico come tutti i tecnicismi, dimenticando che per dar corpo reale a quella filosofica astrazione che si chiama arte bisogna compiere opere d'arte; cioè opere, che è quanto dire oggetti fatti dalJ'uomo e perciò traenti la loro validità dall'umanità stessa, non già da una mera e agnostica esperienza del sensibile, ma da un atto dello spirito che sintetizzi l'esperienza e incrementi l'umanità nella sua essenza. Si acquietino gli artisti nella placida necessità di dipingere paesi, fiori, ritratti, santi, sacre Famiglie; certamente tali paesi o ritratti o santi non saranno opere d'arte senza quei valori formali; ma soltanto perché, attraverso questi valori formali, quei soggetti (o oggetti) diverranno realtà certa e perciò sensibile e necessariamente procedente dallo spirito. Soltanto così, voglio dire, quei soggetti saranno «veramente» paesi o ri-
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