RASSEGNE 133 modi giudizi sul tipo del seguente: « quand le batisse va tout va », sono probabilmente veri, ma a rapporti invertiti. lò noto, del resto, come l'edilizia segua un suo spiccato andamento ciclico, che si differenzia da· quello generale del!' attività economica. Questo sia detto, prescindendo da una sia pur sbrigativa valutazione dell' attuale stato di cose, che darebbe ancora maggior peso al punto di vista illustrato. L'accettazione del criterio di massima, che sia necessario contenere. la produzione edilizia entro limiti piuttosto rigorosi - comunque si creda di tradurre tecnicamente in pratica tale principio orientatore - non si oppone certo a una valutazione e soluzione discrezionali di definiti stati di emergenza. In questi casi, motivi di giustizia, oltreché economici, impongono rimedi il più possibile pronti ed efficaci; né è tollerabile, al riguardo, che sorgano eccessive preoccupazioni per il finanziamento. Dar ricovero ai senza-tetto non può essere una attività da cui ci si attende un reddito - indipendentemente dal fatto che spesso ciò sia di primaria utilità per il Paese, - ma è un dovere della comunità, un costo che deve essere sostenuto in solido, in misura prevalente. Oggi lo Stato affronta questo problema, sia direttamente, sia sostenendo le iniziative di Enti Pubblici e di privati. Ma forse si potrebbe operare più razionalmente, realizzando una maggior concentrazione degli sforzi e dei sussidi là dove più urgente è il bisogno. Secondo questo punto di vista, i noti decreti d'emergenza lasciano alquanto a desiderare, sia nella loro formulazione, che nell'interpretazione usuale. Il decreto 10 aprile '47, n. 261, reca - come sappiamo - norme per la sistemazione dei senza-tetto. Nella pratica applicazione, le provvidenze elencate dal decreto vengono concesse in ogni caso in cui ci sia stato un sinistro aJle abitazioni per eventi bellici; si presume che, laddove c'era un tetto e questo è andato distrutto o danneggiato, ci sia gente che ne è rimasta senza o deve patir disagio - dalla considerazione subbiettiva del bisogno si passa a quella obqiettiva del sinistro, e con ciò si elude lo spirito della legge; e lo sforzo statale viene a diluirsi. Sotto la stessa visuale, si potrebbe muovere una critica anche al decreto 9 maggio '47, n. 399, facendo osservare come i premi d'incoraggiamento non andrebbero in realtà a chi costruisce case per meno abbienti; essi sono infatti tanto modesti, da non abbassare i costi di produzione in misura tale, che gli affitti delle nuove case possano arrivare alla portata dei meno abbienti, e quindi sembrano creare, in concreto, un vantaggio ai costruttori di case per gente ricca. Infine - e non ultimo argomento - il concorso dello Stato, in base ai due decreti, non viene distribuito secondo un programma, che tenga conto della varietà e diversa urgenza delle situazioni locali, ma dietro richiesta, e cioè viene tendenzialmente a rivolgersi là dove le condizioni generali del reddito e della ripresa produttiva lo renderebbero meno indispensabile (1). Per non venir fraintesi, sarà bene chiarire che quando affermiamo la necessità di limitare in linea di massima l'attività edilizia, non pensiamo tanto all'eventualità di restrizioni e divieti - che pure, in qualche caso (abitazioni di lusso, teatri, ripristino di monumenti là dove un semplice « riatto conservativo», per usare l'espressone del Boldrini, sarebbe per diversi anni sufficiente), non guasterebbero - quanto all'opportunità di non concedere quei contributi in capitale e sopratutto quell'esenzione venticinquennale, senza dei quali oggi è difficile che si possano costruir case. Rimane peraltro un notevole margine all'azione statale, entro il quale però è bene - per il principio accettato - muoversi agli inizi con una certa cautela: è il campo (t) Si può avere un'idea di quanto avviene nelle zone più povere dal saggio: Da1111i di guerra e ricoslr11zione edilizia in Siàlia, di L. ARCURI DI MARCO, uscito sul Bollettino mensile del Banco di Sicilia, luglio '47.
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