IO NELLO VIAN « Può intendere e amare il Suo poema chi· ha sentito non coli'intelletto ma col cuore Beatrice: e dopo si sia convinto che neanche Beatrice, e sia pur quella del Paradiso, può essere lasciata a chi abbia _a_ccoltoil dolce lume che salì dal mare di Tiberiade, se essa rende necessario l'inganno. Bisogna essersi sentito progressivamente conquistato da quella luminosa parola di dolore e d'amore, per capire, tremando, il giudizio di Eva: ma allora si capisce bene che quanto più d'inganno v'è tanto meno v'è amore vero, quanto più si cerca ricevere tanto meno si può dare » (1). Nel marzo 1903, con alcuni giovani amici, andò ad ascoltare una lettura di versi che il Fogazzaro tenne in Roma, per invito di un circolo studentesco di filosofia e lettere, che si adunava in un palazzo al Corso. La scelta delle poesie che faceva l'autore, sfogliando un suo libretto, incontrò quasi sempre il consenso del Salvadori; e che gli piacessero, lo si vedeva dagli occhi, dal sorriso, dall'applauso con cui salutava la chiusa di ogni composizione. Erano proprio le più vicine al suo sentimento, come a quello del poeta: da A sera fino a Samarith di Gattlan. I versi « Ed anche in me, talora, entrano insieme - Un folle atdor vitale che dispare, - Up dolce viso tenero che resta » del sonetto In San Marco di Venezia, «t'.cco, diranno, il dolce suo tesoro - Ecco le perle ove sapea trovar» dell'ultimo canto del Mistero del poeta, e « Parla, Signore, che il Tuo servo è qui» di Notte di passione trovavano tutti un'eco nel suo cuore. Solo al settecentescamente frivolo Amor amorum, allora inedito, che il Fogazzaro recitò a memoria, non ebbe commento favorevole. Ripensando certamente alla sua definizione dell'amico, a quel tempo più che sessantenne, con arguzia osservò che bisognava dirgli come Beatrice a Dante: « Alza la barba! ». Quanto ai romanzi, rilevò una volta che l'arte del Fogazzaro fa migliore prova nella presentazione di personaggi secondari, mirabilmente vivi e originali, che in quella dei protagonisti, per i quali egli non riusciva a « spogliarsi di se stesso» (2). Per il Piccolo mondo antico, uscito da qualche mese, rinnovò il pensiero espresso per il Daniele Cortis: « Sa Ella che io non ho ancora potuto leggere il Suo ultimo romanzo? Eppure ne son desideroso; perché spero ch'Ella abbia fatto salire un altro gradino nella Sua ascensione purificantesi, ali'Amore del quale è stato il poeta » (3). E nel Piccolo mondo moderno, scrisse all'autore di avere trovato « pagine d'intuito profondo e, a tratti, una nettezza di concetti e una libertà negli affetti, che m'hanno commosso e rallegrato » ( 4). Ma per il Santo intese di non potersi limitare al giudizio artistico. Nella condanna all'Indice I ( 1) SALVADOR!, Lettere, pagg. 76-77. (2) Ricordi testualmente comunicati dal dott. Giulio Carcani. (3) Lettera del Salvadori al Fogazzaro, Roma, 2 febbraio [1896] (inedita). (4) Lette~a del Salvadori al Fogazzaro, Roma, 12 giugno 1903 (inedita).
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