• l 8 NELLO VIAN quel libro. Sul quale, pur da lui ritenuto artisticamente « il più bel romanzo » dello scrittore veneto ( 1), il giudizio che esprimerà risulta severo. Noterà, in margine quasi di quella sua antica lettura: « Ma la duplicità e l'incertezza in cui la mancanza del taglio netto lo misero, gli tolsero d'aver chiara la luce della coscienza, gli lasciarono nel cuore il pungiglione che lo tormentò tutta la vita». E ancora, evangelicamente: << Nel futuro il Fogazzaro dimenticò il neque nubent neque nubentur, sed erunt sicut angeli Dei in coelo » (2). Più ampiamente egli formulò il suo giudizio morale a questo riguardo, richiamando ancora una volta la sua esperienza giovanile, in una lettera al Gallarati Scotti: « Il Fogazzaro è il poeta del sentimento tenero, delicato, profondo, d'un cuore caldo e passionato che aveva bisogno dell'amore, che aveva bisogno della donna per salire a Dio, per ispirarsi e operare; e quando, essendo così, dette l'esempio della rinunzia per obbedire a Dio, fece del bene a me che, nel desiderio giovanile di vita, nell'egoismo dell'amore torto e nell'orgoglio ribelle, pensavo e sentivo che alla passione non si comanda.... Ma non è vero che nella sua poesia abbiamo spesso anche l'qstentazione di sentimento, e il sentimentalismo, falso, perché non manti~e quello che promette? Il F. è il poeta dell'amore ideale che, terminando nel pensiero, tra due persone non libere, può esser un principio di purificazione, ma non è la purificazione; ma, se è pensiero di donna d'altri, o comunque leggerezza che scherza col fuoco, e non lega né scioglie, è un compromesso con la coscienza che fa cercare quello che non si deve, che fa avere un altro oggetto esclusivo oltre quello per cui l'amore sopra ogni cosa è dovere e i minori subordinati ad esso, che è insomma una duplicità e una stortura degli occhi dell'anima. E non è anche questa un'antica falsità, quella del romanzo e dell'amor cortese, e che in fondo, diventata costume, si fissò nel cavalier servente e nella « pudica d'altrui sposa a lui cara»? (3). Tacendo il nome del Fogazzaro, per il quale egli non dimise mai la riverenza, ma con allusione certa al suo mondo morale e artistico, parlerà un giorno quasi con durezza di « quel salotto dove il grano d'incenso mistico fuma sui carboni accesi delle passioni sensuali » (4). Bellissima espressione, non di critico ma di moralista, che pur giunge a colpire il punto meno saldo dell'arte fogazzariana. Si potrebbe pensare che codesti giudizi siano frutto della più matura riflessione del Salvadori. In realtà, fino dal 1888, quando ancora non aveva scritto le alte parole della prefazione al Canzoniere civile, esprimendo a Filippo Crispolti il desiderio di vedere fatta da lui « la storia del lavoro \· (1) Ricordo comunicato dal dott. Giulio·Carcani. (2) GALLARATSI corri, li rfonovamenlo di G. Salvadori, cit., pagg. 32-33. (3) SALVADORI, Lettere, pagg. 284,285 (da lettera del 1920). (4) In tewra a Carla Cadorna, 1920 (SALVADORI, Lei/ere, pag. 293).
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