Quaderni di Roma - anno I - n. 6 - novembre 1947

LA DOTTRINA LINGUISTICA DI DANTE Concludendo, a me pare che gli elementi nuovi apportati dal trattato dantesco nei confronti della speculazione linguistica antica e medievale e come anticipazione delle moderne concezioni si possano così riassumere: considerazione del linguaggio come « forma » e del «segno» come « libero»; riconoscimento del divenire delle lingue e della storicità del fatto linguistico; rilievo del fattore sociale; nozione di «lingua» come comunione linguistica nei confronti di un dominio dialettalmente differenziato; nozione di lingua comune come tendenza cosciente all'unificazione, che si attua attraverso il magistero dell'arte e il prestigio e l'azione del potere politico. ANTONINO p AGLIARO (i) L'affermazione.: del ~larigo che il volgare illustre « non è lingua totalitaria di una nazione, puchC:: h:1 vocaboli, forme e costrutti coi c.1rattcri propri soltanto dell'arte superiore i, (o.e., p. 146) parte d:tl presupposto che si diano lingue comuni interamente realizzate nella coscienza e nell'uso di un popolo. $intanto che non sia canonizzata e non diventi i< gramatica >i come il latino ai tempi di Dante, una lingua comune è in perenne processo di attuazione: l'unificazione avviene nelle sfere espressive della vita più co~scia di sè e guadagna per gradi i settori più modesti della vita pratica. Essa trova per primi creatori e aclcrcnti i <( doct0res ", gli uomini di cultura, e poi si estende, in forza di un suo prestigio, agli strati culturalmente meno progrediti e, intanto che si estende, li fa progredire, perchè li porta in contatto con il mondo siupcdore che nella lingua comune si esprime. Vero è che fra t< lingua comune >> e 1< nazione » il legame è strettissimo.

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