ANTONINO PAGLIARO Per ciò che riguarda l'italiano, Dante, come si è visto, mostra d'intendere anche quanto doveva influire sulla sua costituzione la vitalità del latino come lingua di cultura, quando afferma il prevalere della lingua del sl nei confronti degli altri due rami dell'ydioma tripharium, in base al privilegio di essere essa la più vicina alla lingua grammaticale (I, x, 4). Già sin d'allora, il confronto si doveva porre per lui fra la pronunzia e la struttura del toscano e quelle della tradizione colta del latino, cosl che nel toscano, nonostante il suo ripudio dei volgarismi, egli veniva quasi inavvertitamente a riconoscere quel « primissimum signum » dell'italiano , ( comune. L'altro privilegio, quello dell'eccellenza dei poeti che della lingua '· • del sì si erano serviti, riporta esso pure al toscano, perchè non vi può essere dubbio che le rime dei siciliani erano a lui note in forma ormai toscanizzata. · Ma, soprattutto, è da attribuire a merito di Dante il riconoscimento di quell'azione di scelta, di raffinamento, che presiede alla costituzione e allo sviluppo di una lingua comune, giacchè questa è frutto di una coscienza linguistica più desta, la quale vuole dotarsi di mezzi espressivi sempre più perfetti, senza scostarsi da quella data « forma interiore». Essa opera come criterio istintivo di scelta, come gusto. È innegabile che questo gusto agisce in funzione del contenuto di coscienza che si vuole esprimere e che, perciò, nella lingua comune opera un più vivo e sorvegliato sforzo stilistico. Quel gusto che a Dante fa ripudiare i vocaboli yrsuta, I, xiv, 4, II, vii, 2, 4, come già a Cicerone gli abiecta atque obsoleta (Ik orat. III, 150), non è di ordine diverso da quello del comune parlante, che evita le espressioni e le inflessioni dialettali, da lui sentite come volgari, per cercare un livello espressivo che lo ponga in una sfera superiore. Che Dante abbia pensato al « volgare illustre » in funzione delle più alte forme poetiche, non toglie nulla alle sue mirabili intuizioni. È certo che egli si riprometteva di trattare nei libri successivi anche della prosa d'arte. Comunque, ha visto la lingua d'arte come un grado, il primo e il più eletto della lingua comune, tanto che di essa ha ricercato il fondamento, l'unum, nell'italianità linguistica. I -fattori che portano alla creazione e allo sviluppo di una lingua comune, sono, per quanto su un piano storicamente più largo, dello stesso ordine di quelli che operano nella formazione di una lingua letteraria, appunto perchè questa è un grado di quella. È fatto facilmente constatabile che l'unificazione linguistica non 1 si attua in blocco, ma è bensì processo perenne, e che il primo grado è appunto quello, in cui una più desta e alta vita culturale cerca un'espressione unitaria consona a questo suo primato: « ut sola optima digna sint ipso tractari » (II, ii, 5) come dice Dante del volgare illustre < 7 >• ..
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