'( ..... ANTONINO PAGLIARO gloria all'artefice. L'altro epiteto di «cardinale» ha la sua ragio ne nel fatto che il volgare illustre è come il fulcro intorno a cui si muovon o le parlate municipali e la sua azione importa un regredire degli atteggiamenti linguist1c1pm rozzi cd un progresso di quelli elevati e culti. Gl i epiteti di « aulico » e di « curiale» stanno a indicare gli ambienti, dov e maggiormente s'adun;i la forza coesiva della comunità e nei quali, in virtù di tale funzione accentratrice, più si tende all'unificazione linguis tica e, cioè, la corte come centro del potere politico, e la curia come eserci zio, per dir così, periferico di tale potere. Da tutto questo appare chiaro come Dante veda nell'unificazio ne linguistica un'opera di cosciente ricerca e di creazione, presente s empre a se stessa, da parte di una minoranza eletta, che, attraverso il magist ero dell'arte e il prestigio di forme più raffinate di vita spirituale e con l'ap poggio del potere politico accentratore delle forze più vive, dia maggiore uniformità ed ampiezza all'uso linguistico, mantenendolo, tuttavia, feoele ai suoi fondamentali contrassegni genetici. Difatti, la nozione contenuta nell'epiteto «cardinale» rimanda ancora una volta a quei « primissima signa », a quella essenziale italianità linguistica, a cui Dante vuole che sia commisurata e adeguata ogni più eletta forma di espressione. Questa fedeltà al proprio tipo linguistico, richiesta a quanti si servono della lingua come mezzo di affermazione di valori superiori, sicchè essa stessa sia contrassegno di una superiorità, è nella tradizione d ell'insegnamento retorico antico, del quale è arrivato a Dante più di un'ec o. Il richiamo ali' D.b1v:0µ6ç si trova già, com'è noto, nel terzo libro dell a Rhetorica di Aristotele cd ebbe fortuna negli scritti grammaticali e re torici degli stoici. A Roma la latinitas occupa una parte centrale nella normativa grammaticale e nella prassi linguistica. l.Ati11itas è, secondo Varrone (Funaioli, jr. 268), « incorrupte loquencli observatio secundum romanam lin - guam )), Negli scritti retorici di Cicerone, certamente in tutto o in parte, direttamente o indirettamente noti a Dante ( 6>, la latinità è intesa come (6) Mi sembra che nell'uso linguistico del De Vu/gari eloquentia i,j possa cogliere qualche eco - solo un·cco - del De oratore. L'appellativo di cc docwrcs 11 dato ai poeti in volgare (doquentts doc10res I, ix. 2 etc.. cfr. D'O\'i<lio, Versifica:ione ... cit.. p.. p1 sg.) ha sì riscontro in uso provenzale, ma da ,dcino ricorda il ciceroniano <e Gracci diccndi artificcs et doctorcs », De or. I, 23. dr. 111, 36. 57. 59. L'epiteto di « illustre • dato :ti \'olga:rcrichi:tma gli .e illustria vcrba » (,< lCctis - se. vcrbis - :itquc in!ustribus utntur >1 lii, 150). Il verbo ,< rcdolct » usmo per il volgare illustre, di cui si <e h:i sentore,. ir. ogni luogo e non si trO\'ain ne~suno (I, xv i. 4), richiama il ciceroniano "olcre pcrcgrinum >1 dcll:1 frase che citiamo sopr:i (lii, 4-1). 11 nesso « rerum vocabukt » I, vi, 4 ricorda da vicino " vocabul:i rerum pacne una nata cum rebus ipsis » 111, 147. Un riflesso concettuale e form:ilc si ha forse anche nella formul:i i( nomina sun: conscquentia rerum ,. che Dante ha tolto, ad:it1:1ndo,dalla Glossa al Corpm iuris rivilis dove ricorre in parecchi luoghi: 1t no.mina sunt conscqucnti:i rebus))' cfr. i ardi, o.e., p. 152 sg.. che però spiega la sostituzione dc1 genitivo al dativo come « o una variante nei codici del Corpm iuris, o un:i svista di D:intc, che citav:i a memoria, o del pr~o copista » (p. , 55).
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