LA DOTTRINA LINGUISTICA DI DANTE 497 varvi, l'affermazione di una comunione linguistica italiana gli era sembrata condizione pregiudiziale. Lo sviluppo della dimostrazione lega la lingua comune alla comunione linguistica nel senso che abbiamo sopra indicato, mediante l'attribuzione di un valore, che non è soltanto distintivo, ai « primissima signa ». Noi oggi sappiamo, e Dante, come vedremo, sapeva, che l'affermarsi di una lingua comune su un dominio dialettalmente differenziato, è dovuto a circostànze varie, politiche o culturali, che danno la prevalenza alla parlata di una regione, di una città o addirittura di un ceto. Cosl è avvenuto per la koiné greca, affermatasi per il prestigio politico e culturale di Atene, cosl è avvenuto per l'italiano, per il francese, per il tedesco. Ma Dante non si trovava, come noi ci troviamo, di fronte al fatto compiuto e l'arco della sua mente si tende nello sforzo di anticipare l'avvenire. Se, egli dice, l'italianità linguistica ha la sua essenza e la sua misura in alcuni caratteri fondamentali, « primissima signa », il volgare illustre, cioè la lingua comune, non può aversi se non attraverso lo scoprimento di questi caratteri e il riferimento ad essi di ogni particolare uso dialettale; accettazione, quindi, di ciò che si conforma ad essi ed eliminazione del deviato e del difforme. Qui è chiaro che Dante intende i caratteri distintivi in funzione di un valore non strettamente linguistico. Per noi un fatto fonetico, morfologico o lessicale, che distingua un'area dialettale o una lingua, è guardato in se stesso, nella pura funzione distintiva. Invece per Dante, e in ciò certo si ha influenza aristotelica, i « primissima signa >> sono «nobilissima», cioè perfetti: « per questo vocabulo nobilitade s'intende perfezione di propria natura in ciascuna cosa», Convivio, IV xvi, 4. Era inevitabile che la nozione di « perfezione » portasse con sè quella di elegaoza, raffinamento, elevamento, purificazione. Ed è appunto su questa via che Dante cerca d'individuare il volgare illustre, cioè la lingua comune nel suo primo momento formativo. Non è qui nostro assunto di esaminare questa nozione dantesca della lingua, considerata sotto l'aspetto dell' eloquentia, cioè del << ben parlare » <5>. Vogliamo, tuttavia, rilevare come nel definire il carattere di quel volgare, che potesse assurgere ad espressione dell'italianità, libero dalle scorie del particolare e del municipale, Dante abbia veduto in azione gli stessi fattori che effettivamente contribuiscono all'unificazione linguistica. L'attributo di «illustre» che e)!li dà a tale v:;lgare è spiegato con il fatto che esso risplende del magistero dell'arte, illumina ed eleva gli spiriti ai quali si volge, arreca (s) I Per questo aspetto si consulterà utilmente il recente studio di Fr. Di C:::ipuav. enuto a mi:1 conoscrnza quando b presente nota cr3 stata giJ. composta, Insegnamenti rerorki medievali e dottrine e.<tetiche moderne nel <1 De vulgari e!oquentia )) di Dante, Napoli, s. d. (ma posteriore al 1945), in cui sono snudiati con erudizione moti\'i spccubti\'i e retorici - note\lole è la tr:iuazione sulla discretio - clelb tradizione medicn.lc. che D;inte :tccoglic nella sua dottrina].
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