LA DOTTRINA LINGUISTICA DI OANTE 495 Vediamo ora per quali vie Dante giunge alla determinazione della comunione linguistica, che è alla base di un dominio dialettalmente vario, cioè della « lingua » nel senso « storico » della parola. Egli muove dalla nozione dell'unità costituita dal genere, in cui vi è la misura alla quale riferire le manifestazioni concrete, particolari. Nel cercare di determinare la lingua come genere nei confronti della varietà dei dialetti, Dante arriva alla precisa nozione di cclingua italiana», I, xvi, 3-4: « Quapropter in actionibus nostris, quantumcunque dividantur in species, hoc signum inveniri oportet quo et ipse mensurentur. Nam, in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus (ut generaliter illam intelligamus); nam secundum ipsam bonum et malum hominem iudicamus; in quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus; in ,quantum ut homines Latini agimus, quedam habemus simplicissima signa et morum et habituum et locutionis, quibus latine actiones ponderantur et mensurantur. Que quidem nobilissima sunt earum que Latinorum sunt actiones, hec nullius civitatis Ytalie propria sunt, et in omnibus comunia sunt: inter que nunc potest illud discerni vulgare quod superius venabamur, quod in qualibet redolet civitate, nec cubat in ulla »: ccperciò negli atti nostri, in quanto si distinguono in ispecie, si deve trovare questo segno, -in base al quale anche essi siano misurati. Infatti, in quanto operiamo come uomini in senso assoluto, abbiamo la virtù (per intenderla in senso generale), poichè secondo essa giudichiamo l'uomo buono e cattivo; in quanto agiamo come cittadini, abbiamo la legge, in base alla quale il cittadino è detto buono e cattivo; in quanto agiamo come Italiani, abbiamo alcuni segni essenziali e di costumi e di atteggiamenti e di idioma, rispetto ai quali si soppesano e si misurano le azioni italiane. E appunto questi, che sono i segni più perfetti di quelle che sono le azioni proprie degli Italiani, non sono specifici di nessuna città d'Italia e in tutte sono comuni; fra essi ora si può discernere quel volgare di cui sopra andavamo in traccia, del quale in ogni città vi è sentore e che in nessuna ha sede ». In questo passo è chiaro che Dante intuisce la fondamentale unità della lingua del sì alla base delle varietà dialettali, alla stessa maniera con cui ha intuito l'unità sostanziale dell'ydioma tripharium, di cui la lingua del sì, la lingua d'oU e la lingua d'oc sono manifestazioni diverse. Egli considera questa unità come inerente alla stessa unità di popolo, la quale si attua nei costumi, negli istituti, in tutti gli aspetti della vita. In quanto Italiani parlanti, noi abbiamo delle caratteristiche fondamentali comuni, alla stregua delle quali bisogna giudicare tutte le diversità dialettali. Orbene, questa concezione è di una modernità che sorprende.
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