Quaderni di Roma - anno I - n. 6 - novembre 1947

LA DOTTRINA LINGUISTICA DI DANTE 493 constructio » la possibilità di determinare un significato mediante il concorso di parecchi vocaboli e per « constructio prolatio ,, l'espressione concreta di tale connessione, cioè le variazioni morfologiche e, pare, anche l'accento in funzione espressiva. Cfr. Marigo, o. c. p. 35 sg. Egli si muove nell'orbita della tradizione grammaticale e logica dell'Occidente, che eleva a categorie universali la struttura grammaticale del iatino <3>. Questa universale e perfetta espressività è andata perduta secondo Dante, a seguito della confusione babelica: cosi afferma ancora nel De vulgari eloquentia, ma nella Commedia abbandona, come si è veduto, tale opinione, per affermare che all'epoca della torre babelica l'unità originaria si era ormai trasformata, in conformità al principio dell'incessante mutarsi degli uomini e di ogni cosa umana. La classificazione in tre gruppi delle lingue di Europa e la loro distribuzione, come poi la distribuzione dei dialetti italiani, costituiscono veramente quelli che il D'Ovidio chiama gli « errori glottologici » di Dante. Assai approssimativa ed incerta, fondata soprattutto su notizie e esperienze indirette, è la visione che Dante dà dell'Europa linguistica. Naturalmente meno erronea ed irreale è la visione che egli riesce a fissare delle lingue, delle quali aveva maggiore esperienza. Qui la nozione dell'unità genetica che permane, pur nella differenziazione delle lingue e dei dialetti, 19 ha avvicinato talvolta al vero. Non è stato sinora, per quel ch'io so, posto nel dovuto rilievo come Dante non identifichi l'ydioma tripharium, che è alla base delle tre lingue romanze a lui note, france~e, provenzale ed italiano, con il latino. La triformità di tale idioma è provata per lui dal fatto che alcuni esprimono l'affermazione con oc, altri con otl, altri con sì, mentre la comunione originaria ha la sua conferma nel fatto che molti concetti sono espressi con gli stessi vocaboli, I, viii, 6: « signum autem quod ab uno eodemque ydiomate istorum trium gentium progrediantur vulgaria, in promptu est, quia multa per cadem vocabula nominare videntur, ut Deum, celum, amorem, mare, terram, est, vivit, moritur, amat, alia fere omnia». Non poteva certo sfug- (3) Dante usa qui constructio nel significato che la paroln ha neJ\a grammatica medievale, cioè la struttura della frase e del periodo latino cor!sidcrat'arispetto all'ordine logico come si dispiega nell'ordinamento analitico delle lingue romanze: perciò, veramente <(sintassi,,. Corrisponde questo al gradus insipidus della co11strucrio retoricamente intesa. la qualt epperò, in qu:into è << rcgulata compago dictionum n, può essere volta ad intendimento d':ute cd è nei suoi gradi più scaltriti non più sintassi, ma stile (Il, vi, 1 sgg.). Cfr. l\farigo, o.e .. p. 206. Sabb:tdini. // metodo degli umanisti, Firenze s.d., p. 20. La comtructio verborum in Cicerone è sopratutto << stile )1, del quale fa parte insieme con l'e/ectio verborum (De oratore, 1, 17).

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