Quaderni di Roma - anno I - n. 6 - novembre 1947

LA oorrRINA LINGUISTICA DI DANTE 49r mente distinto dalla barriera naturale del corpo, può aversi solo in quanto si possa stabilire un rapporto di ordine spirituale a mezzo di un dato sensibile: a ciò risponde bene il linguaggio, che, come suono, stabilisce un rapporto fra due senzienti e, come significato, comunica alcunchè di rationale dall'una all'altra «ratio». I, iii, 2: « Oportuit ergo genus humanum ad comunicandas inter se conceptiones suas aliquod rationale signum et sensuale habere; quia, cum de ratione accipere habeat et in rationem portare, rationale esse oportuit; cumque de una ratione in aliam nichil deferri possit nisi per medium sensuale, sensuale es·se oportuit. Quare si tantum rationale esset, pertransire non posset; si tantum sensuale, nec a ratione accipere nec in rationem deponere potuisset » : « fu necessario, dunque, che il genere umano per comunicare fra sè le proprie idee disponesse di qualche segno sensibile e razionale; chè esso, dovendo da ragione ricevere ed a ragione portare, fu necessariamente razionale; e non potendosi d'altra parte riferire da una ragione all'altra se non per mezzo sensibile, fu necessariamente sensibile. Pertanto, se fosse soltanto razionale non• potrebbe passare dall'uno all'altro, se fosse soltanto sensibile non potrebbe da ragione ricevere ed a ragione portare ». Sono da rilevare in questa concezione due punti particolari. Anzitutto il riconoscimento dell'arbitrarietà del segno e più precisamente della libertà della parola come complesso di segni variamente organizzati. Tali arbitrarietà (« aliquid significare ad placitum ») è legata da Dante con la libertà inerente allo spirito (ratio), mentre gli animali che obbediscono all'istinto sono legati nel comunicare a certi atti o manifestazioni emotive (« per proprios actus vel passiones », I, iii, 1). La facoltà del connettere suono e significato è data all'uomo da natura, ma l'attuazione, la modalità di tale connessione è ad arbitrio degli uomini, cioè della libertà che è inerente alla loro « ratio »: opera naturale è eh 'uom favella; ma, così o così, natura lascia p<>ifare a voi, secondo che v'abbella. Par. XXVI, 130-2 Epperò, si pose anche a Dante il problema della possibilità di obiettivare il valore del segno, in maniera che esso possa diventare simbolo, come diremmo oggi, di un significato. Se gli uomini sono diversi gli uni dagli altri, com'è possibile che essi trovino una comune determinazione nell'attività espressiva, in altre parole, una lingua che esista al di fuori di essi come realtà obiettiva? Qui soccorre a Dante la tradizione biblica della confusione babelica, da lui interpretata in forma nuova ed originale. Determinatasi la dispersione dell'unità linguistica originaria, gli uomini che erano

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