Quaderni di Roma - anno I - n. 6 - novembre 1947

LA DOTTRINA LINGUISTICA DI DANTE tino, sbaragliando e dissipando, checchè Dante potesse forse ancora addurre in loro difesa, le teoriche artifiziose e le troppo sottili distinzioni del De 11ulgarieloquentia » (Le origini della lingua italiana in Gli albori della vita italiana, p. 253). . I due insigni studiosi hanno, mi pare, torto a prendersela con il De vulgari eloquentia. Essi proiettano la questione della lingua ai tempi di Dante negli stessi termini, oserei dire,assurdi, nei quali si è trascinata per cinquecento anni. Come poteva Dante riconoscere il valore della toscanità nei suoi termini reali, se la bilancia piegò' a favore del toscano, e del fiorentino in particolare, poichè per l'appunto Dante stesso gettò sul piatto il peso formidabile della Divina Commedia? Ma anche con la Commedia egli non si pose contro i principi di unificazione posti in quel trattato, ma li applicò con maggiore larghezza e spregiudicatezza che non nelle rime e nella prosa volgare, in conformità al « genere )), alla vastità umana della «Commedia)). La lingua del poema è pur essa lingua d'arte, cioè creazione riflessa e sorvegliata da ùna «ratio)) linguistica, che sceglie e plasma a suo modo la materia del dire, anche quando questa derivi dalla « materna locutio )), Epperò, sono questi problemi complessi che ci porterebbero molto distante. A noi qui basta il rilevare come l'avere attratto il De vulgari eloque11tia nel giuoco della polemica sulla lingua abbia assai nociuto ad un'esatta comprensione e valutazione della dottrina linguistica di Dante. Le storie della linguistica non ne toccano o ne fanno solo fuggevole cenno. Lo stesso Croce nella parte storica dell'Estetica non ricorda (4' ed., p. 206 sg.), ma lo fa a titolo di onore, se non la definizione della parola come segno (rationale signum et sensuale). La meritoria opera del Marigo (« De vulgari doquentia )) ridotto a miglior lezione e commentato, Firenze 1938), che ci fornisce un'attenta esegesi della lettera del testo, non si è proposta di definire in particolare la posizione del trattato nella storia della teoria della lingua. Questo ba fatto invece il Nardi nel suo pregevole saggio ripubblicato nel volume Dante e la cultura medievale, Bari 1942, Il linguaggio, p. 148 sg., ma solo in riferimento alla speculazione medievale. Noi qui ci proponiamo di stabilire il valore, per dir cosl attuale, della dottrina linguistica bandita da Dante nel De vulgari eloquentia. I punti più importanti su cui, a nostro parere, cade più vivida la luce del pensiero dantesco, sono la nozione del divenire delle forme espressive in rapporto con il trasformarsi degli uomini e delle società umane, la nozione di comunione linguistica in rapporto con la varietà dei dialetti e delle parlate locali, la nozione, infine, di lingua comune come opera cosciente di elezione. Ve ne è abbastanza per collocare Dante del De vulgari eloquentia fra i classici della teoria della lingua.

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