Quaderni di Roma - anno I - n. 5 - settembre 1947

NOTE DI CRONACA Comunque a Parigi, durante i mesi estivi, si sono riuniti i delegati di si:dici paesi europei per formulare il piano richiesto dagli Stati Uniti. Essi agli inizi di settembre hanno (atto un primo bilancio dei lavori compiuti che, però, ha suscitato le critiche del Governo di Washington. Gli Stati Uniti, per bocca del Sottosegretario di Stato Clayton, hanno rilevato che i « Sedici » non si sono curati tanto di formulare un piano organico di ricostruzione europea, quanto di addizionare le cifre relative ai bisogni di sedici nazioni del vecchio continente- Per questo - dire Washington - non c'era bisogno di una conferenza così laboriosa. Bastava che i singoli governi, uno ad uno, trasmettessero agli Stati Uniti queste cifre e tutto sarebbe stato assai più semplice. Si tratta invece di stabilire una coopèrazione europea alla quale poi l'America darà il suo aiuto: perchè, per esempio, non intendersi sulla ripartizione della mano d'opera, che sovrabbonda in taluni paesi e, invece, in altri manca ? Perchè non affrontare con maggior decisione il. problema dell'unione doganale? Sicchè i «sedici» hanno dovuto riprendere le loro fatiche: un nuovo disegno è stato preparato dopo i rilievi di Clayton e i frutti di tanto lavoro, mentre scriviamo, sono a Washington aJl'esame del Dipartimento di Stato. Un ostacolo grave e, in certo senso inatteso. al compimento dei desideri americani è dato dalla crisi britannica. Di questa crisi molto si parla ma non sempre con conoscenza di causa. In un mondo in cui le regole classiche dell'economia rappresentano eccezioni, quando il tallone aureo e la bilancia commerciale attiva sono per molti paesi un vago ricordo, la Gran Bretagna rimane ferma sulle posizioni ortodosse e non intende abbandonarle. La politica del governo laburista di Londra, in questa materia, è estremamente rigorosa: non bisogna spendere più di quello che si guadagna e quindi non bisogna accettare crediti esteri - nella fattispecie americani - se non quando si è certi di ·poterli pagare con le esportazioni. Senza di che l'autonomia economica e la stessa indipendenza politica dell'Inghilterra sarebbero in pericolo. Questa crisi, in parte, dipende dalla guerra, in parte dalle trasformazioni interne dell'organizzazione economica inglese. La Gran Bretagna, sotto la guida del governo laburista, procede più che a riforme di struttura imposte da motivi ideologici ad un rinnovamento dell'organizzazione economica: le nazionalizzazioni, di cui tanto si parla e che sembrano rispondere a postulati socialistici, in realtà sono accolte senza eccessive resistenze anche dagli ambienti conscrntori, perchè rispondono a criteri di modernità destinati ad accrescere la produzione ostacolata negli ultimi decenni da legislazioni vecchie e particolaristiche. Per esemp[o, la Gran Bretagna, innanzi all'aumento della richiesta del carbone sia nel mercato interno che in quello estero determinato dagli sviluppi industriali e dal miglioramento del livello di vita, non era più in grado di soddisfare la domanda soprattutto perchè !e piccole industrie estrattive non erano in condizione di migliorare gli impianti. La nazionalizzazione, malgrado Je conseguenze negative che in un primo tempo ha provocato, alla lunga dovrebbe adeguare la disponibilità ciel combustibile alle esigenze di un'industria metallurgica in continuo sviluppo. L'Inghilterra, infatti, per risollevarsi ha bisogno di esportare e tende alla conquista di sempre nuovi mercati, in concorrenza in ciò con gli Stati Uniti. Ne deriva quindi una rivalità non dissimulata tra l'economia del dollaro e quella della sterlina che induce l'Inghilterra a restringere le esportazioni degli Stati Uniti e a. cercare mercati in altre zone. '

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