386 NOTE DI CRONACA i',irtista da Medardo Rosso, superato esattamente sul piano della visione impressionistica. Mentre Rosso era soprattutto pittore, intento a schiacciare i piani come p!!r una visione a distanza, lasciando che il vero mode1lato vincesse ogni .1pprossimazione per virtù dell'evocazione suscitata nell'osservatore, h1anzù al contrario è soprattutto un modellatore; ma un modellatore che afferma la forma plastica in uno spazio suo proprio e non determinato <lall'impressione visiva come, appunto ~vviene per la scultura di Rosso. Ma quella forma plastica cerca soprattutto di !i/fermarsi nel sentimento lirico del « soggetto», che non è ritrovato da chi contempla l'opera ma preesiste nell'artist?a. In altri termini, mentre Rosso ci induce a compiacerci nel soggetto di genere (Bambina malata, la Portinaia, la Megera, ecc.), cioè nel far rinascere in noi b commozioric d'una nostra precedente esperienza, Manzù impone il «suo» soggetto, quello che prima di ogni cosa lo commosse tanto da indurlo a renderlo visibile. E questo «soggetto» egli lo impone come visione pura, cioè come materia escJusivamentc visiva, ponendo lr sur snatue in rositurc determinate, quasi sempre di scorcio, cioè obbligandoci a goderle attraverso punti di vista singolari, come se fossero proiettate su piani ria lui voluti, in uno spazio che è l'ambiente più adatto a c1uelle <<cose,, scolpite. Visione plastica, quindi, per eccellenza; :-inzi, spazio essenzialmente plastico in cui la figura vive con !a realtà dell'evidenza. E perciò nessuna ricerca astratta <li formalismo (di qui la tradizione perfettamente osservata da Manzù) ma traduzione di valori visivi del soggetto, con la sua attitudine psicologica a esprimere determin0ti sentimenti. Nulla, quindi, di e< gcner'ico », ma, di preferenza, ritratti. Si direbbe tutt'anima 1a « Polacca», ,·ero capolavoro di indagine spirituale; equilibrata ,prodigicsamenle, grazie a virtù emotive, la «Francesca»; vero «ritratto» quello della « Signora Vitali». Di Manzù non si teme di dire che attraverso la figurazione crea clementi positivi. - reali più che mai - di vita vera, concreta, sperimentabile; e perciò egli è il più adatto a far scendere )a sua commozione, anzi - si noti - la commozione che il « suo» soggetto gli desta, fino a noi, dentro di noi. È, insomma, artista comunicativo secondo 1a più schietta e semplice accezione della parola. Perchè, finalmente, è stato detto che il soggetto è ciò che più conta nell'arte; be~ inteso (non si gridi all'eresia critica) quando quel soggetto ,,ive esclusivamente per virtù della forma, che è l'unica cosa ver:-nnente necessaria - prima nell'artista e poi in noi - e che perciò assorbe in se stessa tutto il mondo, prima intuito e poi espresso. Insomma, quella «cosa» che l'artista intravede in sè, non consiste se non nella forma in che si c~ncrcta; ma 9,uesta stessa forma ricondurrà inevitahilmente alla «cosa». Che sarà nuovissima ogni volta, sia nell'artista e sia in noi, per virtù dj quell'intransigente necessità d'una non ripetuta e irrepetibilé forma. E si legga, a questo proposito, quel che ha scritto con la consueta acutezza e forza di convinzione, ma questa voli:, forse con finezza e perspicuità maggiori del solito, Vladimiro Arangio Ruiz in un articolo (è forse anche questo uno dei più notevoli avvenimenti n'el campo dell'arte di questi ultimi tempi) sul « Giornale d'Italia» !lei 5 giugno scorso. Ora, a quanto sembra, Manzù è uno dei prO\'OCatori del Documento del Sant'Uffizio cui si è accennato. Causa: la famosa « Via Crucis», troppe volte discussa e fotografata. Devo ritenere che nessuno abbia mai potuto supporre che quella « Via Crucis» o la << Grande Pietà)) cercassero sistcrnazione in qualche chiesa; tanto più che sarebbe far torto alla vigile cura degli ecclesiastici che custodiscono le supreme necessità del culto. Manzù per primo, son certo, si rifiuterebbe di proporre alla pietà dei fedeli quelle opere. Ma certo è che quell'attrazione del tema cristiano sempre desta in Manzù, e quella sua capacità di trasmettere il valore
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