NOTI DI CRONACA ••• Per quanto precede, più che le mostre degli artisti maggiori (Morandi all'inaul!"urazione dell'« Obelisco», dicembr~ 1946; De Pisis alla « Palma », gennaio 47; Mafai ali'« Athena », aprile 47) ci interessano quelle dei minori, dove si verifica appunto quell'ostentare una speciosa immediatezza che minaccia di di\'enire moda e più fomenta la «deformazione». Ecco, per esempio, Troso che nelle opere esposte alla Galleria Po nel dicembre e alla Galleria di Roma nell'aprile, appare preoccupato più di «aggiornarsi» che d'esser fedele a se stesso; De Tomi («Cortile», dicembre 46) che insegue a ogni costo e con appariscente agitazione formule e manierismi già passati in giudicato. Ed è strano e significativo constatare che i giovanissimi e le pittrici, al contrario, tendono alla severità della scuola e della ricerca analitica (Franco Vìola, Adriana Pinkerle, Raffaella Macrì); ci auguriamo che anche questo s;a un buon segno: e attendiamo che tali artisti cì offrano la loro più concreta maturità. Chiuso in una sorta di esclusivismo personalistico, in una smaliziata sicurezza di sè, e quindi fuori d'ogni possibile discussione, Carlo Levi, soprattutto intelligente esemplificatore delle cifre parigine. Troppo poco ci ha detto Turcato intento a stabilire, forse un po' artificiosamente, nn piglio da «scuola»; niente di nuovo, se non l'inquieto inseguire novità a ogni costo, ci hanno rivelato Sassu alla Galleria « S. Agostino» (maggio), Afro allo « Zodiaco» (dicembre-gennaio), Capogrossi alla « Finestra» (gennaio), Birolli alla « Margherita » (febbraio), e via via Scialoja, Stradone, Ciarrocchi, Sadun, Cappellini, Chiglia, Mclii, Franchina; e poi ancora la pleiade di nomi grandi e piccini. (Ci ha delusi - ma speriamo si tratti soltanto di un episodio - la mostra di Omiccioli al «Cortile»: e diamo ancora la colpa a quella fretta. che troppo spesso induce gli artisti a scambiare gli abbozzi per quadri finiti e a rifugiarsi nelle cifre grafiche e nel disegno). Ma tutti, pure in questa apparente oziosità, sembrano impegnati a manifestarsi senza controllo: ciò che, invece di costituire - come sembrerebbe - un demerito, va considerato come un aspetto positi"o del gusto; e se non positivo, almeno efficente e perciò degno d'essere attentamente seguito. Ma l'av\'enimento più impartantc, il vero «avvenimento)> nel mondo artistico di questi ultimi mesi, è stato l'« Omaggio a Manzù » (Galleria Palma, 3-20 maggio). A Manzù, in altri tempi, è toccata una sventura, forse la maggiore s\'entura che a un artista militante possa toccare: suscitare lo scandalo. Sl che il parlar di lui ha costretto a parlare di cose estrinseche e a condannarlo o esaltarlo in polemiche marginali; cioè a far nascere il dubbio se la sua fama si debba alla suo genuinità d'artista o, per l'appunto, a quei moti\'i estrinseci. Nè oggi il tono di certa critica appare mutato. E il pericolo è di perdere un artista, di non capirlo, di escluderlo dalla via che dovrebbe - se artista è - condurlo verso il pubblico e quindi - non mi stanco d'insistere - ,·crsò il committente. Sarebbe vano, credo io, affermare ancora una \'Olta che Manzù è un artista 2utenuco e forse il maggior scultore vivente. Basti ricordare quel che se ne disse negli anni passati, quando Cesare Brandi gli dedicò una nota su « Le Arti» (1941, pp. 202-204) ricca di spunti autenticamente critici e impegnativa per i raffronti ,cutamente adombrati (Donatello, Francesco di Giorgio, Carpaux, Houdon, Cor1 eggio); valida, insomma, a includere Manzù nella storia dell'arte. E in quei tempi, come ancora oggi, il repertorio critico non ha risparmiato la sua terminologia ufficiale nel tentativo di definire la personalità dello scultore bergamasco: tradizione lombarda, spazio, luce, plasticismo evocato, ccc. Certo è che a l\lanzù s'addice una critica assai mcditnta che definisca prima di tutto l'emancipazione spontanea del-
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