Quaderni di Roma - anno I - n. 4 - luglio 1947

NOTE DI CRONACA o almeno li rende equivalenti. Voglio dire che in tutti, salvo rarissime eccezioni, si nota un certo fare frettoloso, affannato, sommario, come se imperasse i1 timore di perdere l'immediatezza dell'ispirazione; si nota, cioè, la tendenza a valorizzare l'abbozzo, l'appunto di taccuino, la visione provvisoria. Cosl la sintesi definitiva della visione artistica viene fissata tumultuosamente; di qui quel fare ansioso e affrettato che, si diceva, sembra essere comune alla maggior parte degli artisti contemporanei, i quali espongono al giudizio del pubblico opere che meglio che quadri o s'Ìatue potrebbero dirsi ccstudi». Valga a provar tutto ciò l'abbondanza dei dise~ni presentati dagli scultori e l'eccellenza dei disegni stessi. Non credo eccessivo affermare che oggi si disegna assai meglio che non si dipinga e si scolpisca: cioè, insomma, la fase iniziale dell'opera d'arte è quella che oggi più sta a cuore agli artisti o meglio rivela la loro capacità espressiva. Conseguenza dell'esasperato soggettivismo postromantico o generalizzazione d'un gusto? Forse l'una e l'altra cosa: cioè aderenza più concreta all'interiorità biografica dell'artista, a un suo massimamente personale « momento», che non all'opera d'arte del tutto distaccata - (<licenziata>> - dal suo autore. Ma, insieme, la possibilità di vedere in un prossimo futuro estendersi all'esecuzione vera e propria dell'opera d'arte quell'impegno che oggi è soprattutto evidente nell'abbozzo e nella notazione preparatoria. Tutto questo, evidentemente, favorisce la cosl detta deformazione. Poichè l'abbozzo, cioè il· momento in cui l'artista opera soprattutto per se stesso, per fissare in qualche modo il suo fantasma, per sua natura è più legato alla visione arbitraria: è come un soliloquio che non ha bisogno di grammatica e di sintassi; basta che sia, poi, vaiidamente evocativo. E attraverso l'abozzo, quindi, non tanto si potrà vedere !'opera che vive in sè, per forza propria, quanto un documento della biografia dell'artista. Niente di più aderente, come si vede, all'estetica più in voga che è tutta volta a ricercare l'artista anche se la sua personalità è ermetica e incomunicabile; anzi, nella dilettantesca esasperazione della critica attuale, l'ermetismo e l'incomunicabilità sembrano perfino condizionare l'arte stessa; e sarà quindi prodigioso - come un'ineffabile rivelazione - il godimento dell'opera d'arte, che, ipsofacto, si rinno-- ,·erà - esattamente come un'altra opera d'arte - in chi l'avrà compresa. Onde, sul piano storico, ciò che si chiama incomprensibilità si giustifica pienamente. Cosl l'involuzione del gusto diviene - ed è divenuta - preoccupante per chi, contro tanto intricato pensare, voglia opporre il semplicismo del buon senso e la validità della chiarezza dell'arte antica. Cosl, per l'appunto, è parimenti giustificata l'indiffçrenza del pubblico di fronte all'arte contemporanea; e ancor più l{iustificata la ribellione: ciò che accade fatalmente quando l'arte viene a contatto intimo, effettivo, concreto con la vita e coi suoi reali presupposti: caso, per esempio, del committente, cioè di colui che vuole per se stesso, per la propria casa, per proprio uso (e non per estrinseco .affarismo) un'open d'arte; e ancor più quando questo committente ha una casa e consuetudini su cui impera ed è indiscutibile una radicata e necessaria tradizione, la quale è, per restar nel seminato, tradizione di opere d'artç «finite» e definite, anCh'esse sovranamente indiscutibili. C'è da stupire, dunque, se la Chiesa cattolica, per voce della Congregazione del Sant'Uffizio, ha gettato un grido d'allarme contro la «deformazione»? Tra questi due fatti - l'abbondante e sommario e frettoloso operare degli· artisti e l'« alto là» del Sant'Uffizio (10 dicembre 1946, divulgato il 28 marzo 1947 dal!'« Osservatore Romano») - sembra svolgersi la vita artistica di questi nostri ultimi giorni; e conviene un poco documentarla.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==