!.ABEONE E CAPITONE 337 Quel Labeone che politicamente è un avversario irriducibile del principato (anche se la sua opposizione si traduce in tanti piccoli atti in sè e per sè inconsistenti, ma tali da esprimere un costume e uno spirito), ci appare, anche nel suo atteggiamento di giurista, saldamente radicato nella tradizione; ma il ricordo delle accuse che gli moveva Capitone non lascia traccia, ed egli appare ai giureconsulti posteriori come giurista originale, in quanto il senso della tradizione è per lui forza viva. Con tutte le differenze di posizione storica, epoca e circostanze, di temperamento e forma mentis, di manifestazioni e di tono, potremmo qui ricordare per i tempi a noi vicini la forma di opposizione costituzionale che all'instaurarsi del regime fascista oppose un giureconsulto, Francesco Ruffini, nel nome di quei diritti di libertà a cui egli era profonda- . mente legato, ma che erano in lui forza viva, sì che, come già dissi altrove, in lui vibrava la voce del vecchio Statuto albertino, che prima di cadere levava forte il suo grido, onde lanciare un ponte ad una rinascita avvenire in un nuovo spirito e verso nuovi sviluppi. Si giunge così alle forme eroiche di quel senso vivo della tradizione, che, alimentato nel giurista, erompe pure nella difesa di valori che assurgono ad universali e superano la limitata visuale del giurista stesso. E se anche in qualche aspetto può rivelarsi quella forma di attaccamento al passato che è insita nel tradizionalismo, tutto è avvivato da questo fuoco. Anche la tendenza ad attardarsi su vecchi schemi, che nel conformismo diventa pigrizia mentale, qui è ragione di lotta e nella lotta si consuma e si ravviva, traducendosi in una lotta viva per il diritto. Ma anche all'infuori di queste forme eroiche, la lotta viva per il diritto è costante nell'opera del giurista, soprattutto in tempi turbati come il nostro; tempi in cui il giurista, colla sua preoccupazione della legalità, colla sua ricerca della continuità, non gode certo di una vita facile, nè sempre di una buona stampa. L'accusa di indulgere al passato gli procura sempre l'avversione di chi ha la pretesa di fare o di aver fatto una rivoluzione per aver eretto a sistema l'arbitrio; e già altrove ho notato che proprio taluni giuristi che erano accusati dagli zelanti di un tempo di non capire lo spirito nuovo, oggi vengono accusati dagli zelanti del nostro tempo (che talvolta son proprio gli stessi) di essere stati troppo indulgenti verso le forme di ieri, e di non capire il rivolgimento di oggi. Ecco il travaglio, e insieme la pacata fermezza, dell'opera del giurista; la forza e insieme il limite. Ecco quella visione della continuità del diritto nella vari·età della vita, che nasce da un continuo sforzq di adeguamento, di recezione, di comprensione della realtà storica, da un continuo sforzo, non di sovrapporvi un soffocante schema rigido di legalità, ma di farvi scaturire una viva legalità.
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