Quaderni di Roma - anno I - n. 4 - luglio 1947

GIORGIO CURTI GIALDINO << Credo nella Russia, credo nella sua ortodossia ... Credo nel corpo cli Cristo ... Credo che il nuovo avvento sarà m Russia... Credo ... ,, - si mise a balbettare Sciàtov in preda ali' esaltazione. «Ma in Dio? in Dio?». « lo ... io crederò in Dio». ~ « Io... io crederò in Dio» sembra l'ultima parola lanciata dall'eroe del sottosuolo e tuttavia non detta. Gli è che Dostojevskij non ci dà mai alcuna soluzione positiva, ma soltanto conclude con la problematicità dell'esistenza, che postula bensì, sulla stessa testimonianza coscienziale dell'esperienza del b;ne e del male e sulla stessa presenza nel mondo del male e della sofferenza quale inspiegabile enigma, un Principio, un Dio che questa esistenza fondi e di essa sia Valore; ma la tragedia dei Demoni comincia proprio dove tale riferimento dcli' esistenza al trascendente si insinua nella loro coscienza e di quella fa sentire tutta la gravità. Giacchè l'enigma non viene sciolto e con Sciàtov Dostojevskij potrà ripetere: ,, Anch'io non so perchè il male è brutto e il bene è bello, ma so perchè il sentimento di questa distinzione si cancella e si perde in certi signori». Vale a dire che l'immediata coscienza, che nessuno dei demoni perde, può, sì, indicare, anzi indica e sente la distinzione, ma il perchè così debba essere, essa non ce lo dà. In tal modo l'appello costante che Dostojevskij ripete a quella semplicità e immediatezza di coscienza non è soluzione, ma posizione di problema e quel sentire vergine non è che richiamo a <juella via dalla quale nello svolgersi dialettico della vita ci si è allontanati. Il percorrere diversamente quel cammino è la via della ·fede, in cui la problematicità con la certezza dell'ultimo problema, con la certezza di Dio, voglio dire, si pone su di un altro piano. Ma Dostojevskij cosa sia la fede non sa. Questa è per lui quasi il salto qualitativo di Kierkegaard che resta un mistero come avvenga e ch~cosa sia; rimane quel « qualche altra cosa » che intravede dal sottosuolo, al quale tende; ma che come i frutti di ~ntalo gli sfugge dalle mani, ogni qualvolta tenta di approssimarvisi. GIORGIO CURTI G!ALDINO

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