314 GIORGIO CURTI CIALDINO vita, e quale è il valore di una siffatta posizione scettica se non nell'intrinseco riconoscimento della propria insufficienza, dell'insufficienza cioè della negazione nella quale tutto si vanifica, fatta mentre si ha una ne_ces- ~ità insopprimibile di essere qualche cosa ? « Oh se almeno io non facessi niente soltanto per infingardaggine ... ';Mi rispetterei perchè almeno come infingardo avrei una qualità precisa della quale potrei essere sicuro ... Ciò significa che decisamente sinceramente ci sarebbe qualche cosa da dire di mc. "Infingardo" ! f. una professione e una determinazione, è una carriera insomma». E riesce anche chiaro il tono beffardo, perchè in realtà l'uomo del sottosuolo, nel sentire l'esigenza della· positività. non sa ritro\·are che quella fal<ata degli « uomini positivi », e di essa avverte tutta la sproporzione non potendosene appagare. L'uomo del sottosuolo, insomma, negando una posizione, la posizione areligiosa di quegli « uomini positivi », non ha fatto che accettarne i presupposti, partire da essi e negare la loro validità: egli postula bensì una « qualche altra cosa assolutamente diversa», la sente, la desidera ardentemente, ma pensa di non trovarla mai. on diversa è la situazione di Dostojevskij: l'uomo, la vita, l'esistenza non sono senza Dio; ma Dio che non sia una vana parola, la fede cioè nella sua pienezza, dove, come trovarla ? In quella lettera già citata, che è tutta di una fondamentale importanza, scriveva Dostojevskij alla signora Fonvizin: « Le dirò di me che io sono figlio del mio secolo, figlio dell'empietà e del dubbio e probabilmente (ne sono convinto) resterò tale sino alla fine della mia vita. Come terribilmente mi ha tormentato (e mi tormenta ancora adesso) questa nostalgia della fede, che è tanto più forte quanto più numerosi sono gli elementi che le si oppongono. Ciò nonostante il Signore Iddio mi concede ogni tanto dei momenti di tranquillità: in tali momenti mi creo una fede mi:i--propria, nella quale tutto mi diventa chiaro e sacro». In un altro frammento epistolare tratto da una lettera a Màjkov ancora diccv~ Dostojevskij a proposito dei « Fratelli Karamàzov »: « Il problema principale che attraversa tutte le parti (del romanzo) è quello stesso per il quale coscientemente e incoscientemente mi son tormentato tutta la vita, il problema dell'esi~tenza di Dio. L'eroe nel corso della sua vità è ora ateo, ora credente. ora fanatico e settario, ora di nuovo ateo». L'importanza· di tali testimonianze è decisiva per la comprensione delle « Memorie ». Dostojevskij, cioè, non va forse pit1 lontano sulla via della positività di questa aspirazione nostalgica e di questa tragica ricerca; ma rimane con l'autore delle ,, Memorie» in tale sofferente esperienza religiosa, quando nelle stesse « Memorie », superata la negazione, si fa una luce che tuttavia non si riesce ad afferrare. E si pensi ad esempio a due
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