Quaderni di Roma - anno I - n. 4 - luglio 1947

I 312 GIORGIO CURTI GIALDINO loro vita; che tutti insomma siano condotti ciechi come nei versi di Puskin premessi agli stessi « Demoni », da una forza maligna e infernale: ì. Non c'è traccia della strada Ci siam persi, che facciamo ? Un demonio ci conduce E ci porti in qua e in là. Con questa ossessione sembra che Dostojevskij non sappia creare che gigantesche figure di peccatori e non riesca mai a trovare, mentre lo ricerca, « l'uomo che sia assolutamente buono», che senta infine soltanto e non altro che « demoni » nella loro tragica problematicità. Ma il male non cessa di essere tale; e se Dostojevskij non è fariseo e non giudica mai dall'esterno, se Dostojevskij non condanna una sola volta coloro che peccano, non rigetta la legge peraltro e condanna il peccato senza il minimo dubbio. Quale esperienza intima e tremenda, il male si giudica in se stesso e mai dal di fuori: « Ama l'uomo nel suo peccato ,, dirà nei « Fratelli K.aramàzov »; e ciò non soltanto perchè « ognuno è colpevole in tutto dinnanzi a tutti», ma perchè il male è parte della problematicità esistenziale e racchiude nel suo seno, come si diceva, quella luce di cui nello stesso tempo è negazione e che le tenebre non possono spegnere. Con l'esperienza dolorosa del maic si entra insomma nel mondo morale; e altro mondo Dostojevskij non conosce all'infuori di questo, ove il senso della colpa è vissuto in tutto il suo dramma profondo e dove l'amoralità, questa zona dell'indifferenza e della superficialità, o non ha luogo o si riduce anche essa al peccato. Di più: la condanna che Dostojevskij si rifiuta di formulare nei confronti dell'uomo che il male travolge viene inesorabilmente applicata in questa sfera dell'amorale, valendo per"Tùi l'intensità dell'esperienza, ciò che anche si vedrà nelle «Memorie», intensità di esperienza morale. Bisogrta dire che le beffe scettiche dell'uomo e del sottosuolo nulla hanno a che fare con quello stato amorfo di indifferenza morale e che . tutt'altra ne è la radice. Qui, nelle « Memorie», nessun agnosticismo in ~enso deteriore, nè scetticismo accademico ed ozioso, dove la negazione invece si risolve in una vissuta sofferenza e il 110 assume tutta l'ansia e la pienezza del sì in una irrequietudine che può ricordare la nietzschiana follia dell'assoluto: « Ebbene come mi tranquillizzo io, per esempio ? Dove sono per me le cause prime sulle quali io posso poggiarmi, dove è la base di esse ? Io mi esercito a riflettere e la riflessione mi dice che ogni causa prima subito ne trascina dietro di sè un'altra anteriore e così via

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