Quaderni di Roma - anno I - n. 4 - luglio 1947

IL PROBLE~!A RELIGIOSO DI DOSTOJEVSKI) non vi sono insomma degli atti che possano essere considerati fuori di tutto il complesso spirituale da cui sono prodotti e che possano essere fissati nella loro astrazione e nella •loro esteriorità: ogni atto per lui è manifestazione invece di un atteggiamento fondamentale, quale risposta al problema che l'individuo pone di sè. La poliedricità dell'atto e del sentimento - questa è la scoperta della sua psicologia - gli infiniti valori che essi possono assumere dipendono in ultima analisi, dunque, da quell'atteggiamento che l'individuo ha preso 'cli fronte a se stesso, che è problema morale: bene o male, cioè: Io o Dio ? Dualismo ? Per molti Dostojevskij è dualista. Dualista in un senso forse manicheo, dualismo di forze che si contrappongono incessantemente e lottano, si dialcttizzano tra loro, radici ultime dcll 'agire umano, e coesistono e formano la bipolarità e il doppio volto dell'atto. Fino a scambiarsi: bene che è male, male che è bene, insieme, indifferentemente. In questo senso Dostojevskij non è dualista: Dostojevskij non ha fatto mai questi scambi, nè la poliedricità del sentimento e delle passioni ha in lui un tale valore. C'è sempre in ogni caso, e lo vedremo, quella fuga dal bene che è la voluttà in tutte le sue forme, ed è l'autentica ribellione seduttrice dell'Io che si pone come Dio, o la contraddizione che è un sofisma; e l'una e l'altra, come Dostojevskij stesso avvertirà, sempre più o meno implicitamente coscienti nel soggetto. Queste verità psicologiche che abbiamo mostrato e che per Dostojevskij sono verità morali, spesso hanno fatto vedere in lui direi un vitalista per il quale importa l'intensità dell'esperienza soltanto e non importa il male. In Dostojevskij, invece, c'è sempre il senso del bene e del male e interessa il bene, cioè il Valore che fondi la vita. In questo senso non solo non c'è l'irriducibile contraddizione della coscienza, ma il male non è che ribellione al bene, tanto più fortemente avvertita quanto più si cerca di affogare quello nella dissipazione e nell'acquavite della bettola. Se ci si volesse domandare poi perchè il bene si fugga e non si faccia, perchè lo si anneghi, perchè il male: gui si troverebbe il problema che agita tutti i romanzi di Dostojevskij. L'atmosfera di essi è un'atmosfeta grigia, opprimente, si potrebbe dire di incubo, spesso allucinata: sembra che ogni personaggio si consumi in se stesso e sia solo, assolutamente solo in un deserto dove egli non oda che la sua voce. Sembra che tutti i personaggi di Dostojevskij, si prenda Stavròghin il grande peccatore, fuggano dal bene fino alla follia o che come Sciàtov ricerchino questo senza trovarlo o che ancora come Kirillov neghino risolutamente Dio, con forza, per affermare l'Io nella sua potenza e assolutezza, a prezzo della

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==