Quaderni di Roma - anno I - n. 4 - luglio 1947

• QVADERNI DI ROMA RIVISTA BIMESTRALE DI CVLTVRA DIRETTA DA GAE,TANO DE SANCTIS ~s1B1r cOMPACTA ~m111 p ANNO I - LUGLIO 1947 - FASCICOLO 4 SANSONI - EDITORE

Comitato di Redazione G. DE SANCTIS, presidente • R. ARNOU • G. COLONNETIJ G. ERMINI • A. FANFANI • P. P. TROMPEO Segretario di Reda:zione P. BREZZI Direzione e Redazione .CASA EDITRICE SANSONI · VIALE GIULIO CESARE, 21 • ROMA INDICE A. D. SERTILLANGEs O. P.: La creazione dell'anima umana . 301 GIORGIOCuRTI G1ALDINO: Il problema religioso di Dostojevskij e le memorie del sottosuolo . . . 309 RoooLFODE MAITEI: Le passeggiate solitarie 327 GIUSEPPEGRosso: Labeone e Capitone • Tradizionalismo e conformismo nei giuristi . . . . . . . . . . 335 Ezto V A NONI: Criteri politici dell'organizzazione economica 340 ETToRER.:.10rr1 : Il problema biologico nel pensiero odierno 358 Rassegne: La natalità e la guerra (ANTONIOTtZZANo) . . . . • . 371 Recensioni: Hermann Hesse (GIUSEPPESAtTo); Pommery Louis (AMINTOREFANFANI) 376 Note di Cronaca: Cronache politiche Cronache d'arte (A. P)

LA CREAZIONE DELL'ANIMA UMANA Il problema della creazione, per quel che concerne l'anima umana, si pone su di un doppio terreno: quello della filogenesi, per spiegare, nella ipotesi dell'evoluzione, il sorgere del principio pensante in seno alla natura generale, e quello dell'ontogenesi, per rendere conto del fatto, questa volta evidente, del pensiero individuale risultante apparentemente da un processo puramente fisiologico e fisico. Noi vorremmo studiare brevemente questi due casi alla luce della filosofia tomista, di cui le risorse da una parte, le esigenze dall'altra, sono spesso disconosciute, in tale materia, dai suoi seguaci. La storia della vita, sul pianeta, permane, secondo il comune parere, in una oscurità profonda. La teoria dell'evoluzione, sia in generale, sia soprattutto in quello che riguarda l'uomo, non è affatto dimostrata. Che se per questa mancanza di prove o per qualche ragione di filosofia generale si respinge questa teoria, il caso della creazione dell'anima è completamente sistemato: è un fatto primo, che non si riallaccia ad alcun antecedente di carattere causale, ma che risulta unicamente da una iniziativa divina: « Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza» (Genesi, I, 26). Nulla, assolutamente nulla, nella scienza attuale, obbliga a respingere questa supposizione. Avendolo detto ben chiaramente, possiamo con più facilità esprimere il nostro sentimento, che è del tutto favorevole alla tesi dell'evoluzione, per mille ragioni che si riallacciano a quello che Claude Bernard chiamava una persuasione riflessa, nell'assenza di prove formali. Si pone allora per noi il seguente problema: « come conc~pire il sorgere dell'umanità pensante nel corso dell'evoluzione generale delle specie ? c'è continuid ? c'è un taglio netto ? e questo taglio, se esiste, di che natura è ? è fenomenico e osservabile agli occhi dello scienziato ? è puramente metafisico e indiscernibile sul terreno dell'esperienza ? ». La risposta alla prima domanda è categorica e non ammette per noi, filosofi spiritualisti, alcuna specie di discussione. C'è un taglio netto fra ,.

302 A. D. SERTILLANGES O. P. l'attività fisiologica e fisica da una parte, quale si manifesta nelle specie animali, e l'attività pensante dall'altra. L'apparire del pensiero è, nella evoluzione dell'universo, un fatto interamente nuovo, come un sorgere d'un astro dopo una lunga notte. Le ragioni ne sono date dai filosofi quando trattano della spiritualità dfll 'anima pensante. L'essenziale della prova consiste in q~esto: che il pfosiero porta in sè, all'analisi, caratteri irriducibili alle condizioni fisiologiche e fisiche che lo precedono e lo provocano. Queste condizioni lo provocano, ma non lo spiegano. Ci vuole un nuovo apporto, che non può essere che trascendente. In breve, il pensiero è un fenomeno extra-cosmico o acosm1co. Tale è il quadro della prova. Ma quali sono questi caratteri detti irriducibili alle condizioni antecedenti d'ordine cosmico ? Si tratta della universalità del pensiero e della sua riflessione su se stesso per giudicarsi, controllarsi, rilevare le proprie leggi e i propri condizionamenti, cosa che non potrebbe fare una funzione impegnata essa stessa in ciò che si tratta cosl di sorvolare come qualche cosa d'altro. Se un aviatore guarda dall'alto scorrere un fiume, non si dirà ch'egli stesso è nella corrente e che è questa corrente a deporlo sulle rive del cielo. C'è qui una questione di livello ontologico piuttosto che di potere. Se si dicesse soltanto: la materia non può produrre il pensiero, si potrebbe contestare dicendo: non conosciamo i poteri della materia. Ma noi diciàmo: il pensiero è superiore alla materia, e questo si vede poichè esso giudica la materia, poichè esso la guarda cambiare e misura i suoi cambiamenti senza per questo cambiare in se stesso: poichè esso concepisce il mobile in forma d'immobile, il tempo in forma d'intemporalità, lo spazio in forma d'unità indivisa e indivisibile. Il pensiero accede alle idee che l'w1iverso realizza trascurando la loro immersione in questo universo, come sè·-esse costituissero un universo a parte, un universo platonico, un in sè. Esse non sono in sè; sono in lui; ma ciò pro11ache. esso stesso, per quanto le concepisce, non è nelle cose, non è un fenomeno delle cose; è loro superiore, pur ricevendo la loro impronta, impronta che gli viene dalle immagini congiunte, intermediarie tra le realtà dove s'incarnano le idee creatrici e lo spirito che deve captarle. In altri termini, lo spirito risale dall'idea realizzata al disotto di lui all'idea di realizzazione ch'egli stesso concepisce; dall'opera d'arte all'arte di cui è il confidente, allo spirito del mondo. Questo bisognerebbe sviluppare e non ne abbiamo il modo; ma al filosofo basta il germe d'un ragionamento; la sua riflessione fa il resto. L'essenziale è di comprendere che il pensiero è una evoluzione interiore,

LA CREAZIONE DELL'ANIMA UMANA e che ci deve essere omogeneità, iden~ità di livello ontologico tra l'inizio, il centro e il termine. L'inizio è il soggetto pensante stesso, secondo che è pensante; il centro è la fonzione di pensare; il termine è il risultato di questa funzione, cioè il pensiero acquisito. Bisogna in ogni modo che essendo il pensiero acquisito, concetto o verità, manifestamente superiore a quel che esso esprime del concreto, e non essendo quindi concreto esso stesso, vale a dire impegnato nella materia, sottomesso allo spazio e al tempo, non lo sia neanche la funzione, nè il soggetto che pensa, per quanto pensa. Questo è rigoroso e sicuro, quanto le evidenze prime, e quindi d'un ordine di certezza superiore perfino a quello delle scienze sperimentali. Se si ammette questo, si deve concludere, con beneficio dell'anima pensante, con una creazione; perchè ogni venuta all'essere senza presupposizione alcuna nell'ambiente in cui essa si produce è una creazione. Se quindi l'anima pensante è extra-cosmica per natura propria, e dunque senza presupposizione del suo ordine nell'ambiente in cui essa sorge, nella corrente da cui essa sembra uscire, non si può attribuire il suo sorgere altro che a un supplemento d'attività proveniente dalla Fonte di tutto l'essere; i filosofi agostiniani del Medio Evo avrebbero detto una illuminazione, intendendo con ciò una novità ontologica e non solo fenomenica, in altri termini, una creazione. La questione si pone adesso del rapporto tra questo supplemento di attività creatrice e le attività cosmiche il cui concorso non è sospeso, quando si tratta del sorgere dell'essere umano. Nella nostra ipotesi dell'evoluzione, l'uomo non è sorto tutto d'un pezzo in una natura estranea alla sua costituzione. Come essere pensante egli procede da Dio; ma come essere sensitivo, come essere vegetante, come essere fisico, è figlio della natura generale. Come si accomoda questo ? Come avviene la congiunzione, se c'è una congiunzione ? E se si scarta l'idea d'una congiunzione tra un principio pensante creato a parte e un vivente che procede dalla natura generale, come concepire la coesistenza iniziale di questi due elementi d'una stessa umanità ? Ecco dove attiriamo l'attenzione di tutti, in particolar modo dei filo- ~ofi tomisti, le cui concezioni, su questo punto, non sono sempre corrette, voglio dire dal punto di vista del loro proprio sistema. Si parla di una introduzione o infusione dell'anima in un corpo precedentemente preparato dalle potenze della natura, e questo può capirsi correttamente: prova ne sia che s. Tommaso stesso usa correntemente questo modo di parlare.

A. D. SERTILLANGES O. P. Non per questo l'espressione è meno disgraziata, perchè equivoca, e se il grande pensatore stesso non se ne lascia ingannare, s'ingannano però i suoi discepoli. Molti ragionano come se l'anima fosse creata a parte, e introdotta successivamente in un corpo a questo scopo preparato, senza rendersi conto che in· questo caso l'unità umana è spezzata, che l'eredità spifituale diviene interamente inspiegabile, e che da tomisti, quali pretencio~o essere, essi passano nel campo dei platonici, che immaginano un'anima-spirito in un corpo-materia, un « pilota in una nave », diceva Platone, « un'anima che trascina un cadavere», diceva Epiueto, << un animale invisibile all'interno di un animale visibile» diceva Titchener beffardamente. Se vogliamo essere tomisti per davvero, e se, nel mondo contemporaneo, si vuol essere d'accordo con la scienza sperimentale, senza cadere nel materialismo, dobbiamo concepire il nostro caso in modo da non infirmaré l'unità umana, e per di più la continuità fenomenica degli avvenimenti che analizziamo. Perciò il taglio che abbiamo or ora affermato tra gli antecedenti dell'umanità e l'umanità stessa, non è dell'ordine fenomenico; è puramente metafisico. E se il metafisico trascina in un certo modo il fisico, in nome di questa unità umana di cui noi difendiamo la causa, si tratta d'una causalità immanente della quale la scienza, guardando dal di fuori, non sospetta nulla. In modo che, per la scienza, il sorgere alla luce del pensiero nel corso dell'evoluzione della spc:cie, si presenta semplicemente come un fenomeno nuovo risultante da condizioni nuove nello sviluopo dell'organizzazione anteriore. Ed è proprio cosl. Dal punto di vista di s. Tommaso, ed egli lo dice a più riprese, il sorgere dell'anima in un organismo preparato a riceverla è un fatto necessario, un fatto naturale, per niente miracoloso. Eppure non per questo è meno una creazione. La conciliazione di ~~esti due punti di vista non può concepirsi altro che se la pretesa infusione dell'anima è in realtà un'azione immanente, in collegamento con le attività naturali constatate dalla scienza, in modo che vi sia un solo processo, una sola azione generatrice, un effetto di Dio << misto alle sue opere», come dice s. Agostino, e un effetto della natura unita a Dio. Questo senza confusione degli apporti, certamente, ma anche senza separazione, Dio creando l'anima nel corpo, mediante sovranimazione interiore, e non creando l'anima per porla nel corpo, come suggerisce l'istinto antropomorfico. Un leggero passo innanzi del nostro spirito nel senso del << panteismo cristiano», di cui parlano certi critici, ci aiuterebbe a capire questa congiunzione d'una spontaneità naturale e d'una autentica creazione divina. Dio e la natura non sono due cose. Si sa che per s. Tommaso, la creatura non fa addizione a Dio,' e che in varie occasioni che dànno luogo a gravi

LA CREAZIONE DELL'ANIMA UMANA problemi teologici, Dio e la creatura possono agire al modo di un unico principio. Nulla impedisce qui,9di, nel nostro caso, di vedere in un medesimo fatto, cioè l'ominizzazione dell'antenato pre-umano, l'incontro di una corrente naturale e di una attività trascendente, in modo che il sorgere del pensiero sia al tempo stesso il termine naturale delle attività fisiologiche anteriori e un effetto di creazione. Ciò è tanto più normale in quanto questo incontro è stato previsto sin dalla prima istituzione delle cose. La materia non è che per lo spirito; in virtù della propria destinazione essa sale allo spirito; tutta la filtrazione biologica operata nel corso dell'evoluzione ne porta testimonianza: es•a deve quindi adattarsi naturalmente allo spirito benchè non possa farne la conquista da sola. C'è qui qualcosa di sottile che a molti sfugge e che è tuttavia di grande conseguenza. Perchè ne consegue che l'anima umana è a casa sua in questo universo, invece di esserci èome un'estranea, come caduta dal cielo, senza collegamento organico con quello eh' essa è tuttavia incaricata di organizzare mediante il proprio lavoro. Si dice spesso ·che l'anima è quaggiù come in esilio. Questo si può comprendere sotto certi rapporti; ma l'espressione è poco filosofica; perchè se l'uomo è veramente uno, proprio ciò che predomina in lui, come l'intendimento, non potrebbe essere in esilio là dove t'uomo vive. E questo è tanto verò che, secondo il pensiero cristiano, l'anima separata dal suo corpo aspira come un naturale desiderio alla ricostituzione dell'unità antecedente e intravede per più tardi, dopo la catastrofe finale, la ricostituzione del suo universo stesso. I nuovi cieli e la nuova terra, e la resurrezione della carne, fenomeni solidali, hanno proprio questo significato. II Ecco ora il secondo caso da esaminare. L'umanità esiste come specie e si riproduce per generazione. Se siamo d'accordo che un'anima pensante, per le ragioni sopraddette, è necessariamente oggetto di creazione, noi dobbiamo una volta di più congiungere un'azione naturale, cioè lo sviluppo embrionale, e un intervento trascendente. E ancora una volta di più siamo di fronte ad interpretazioni filosofiche differenti, cosa che non ha nulla di singolare; ma quello che stupisce, è vedere in disaccordo con se stessi i seguaci di una medesima filosofia: intendo la filosofia tomista. Più di un tomista crede, come i dualisti del genere platonico o cartesiano, che l'anima è presente alla materia embrionale sin dalla concezione stessa e che è essa a fabbricare il suo corpo. Questo pare del tutto naturale:

A. D. SERTILLANGES O. P. perchè l'animismo primitivo esiste ancora tra di noi allo stato di istinto. In realtà nu)la è meno semplice. Ma in ogni caso un tomista dovrebbe sapere che un'anima, forma d'esistenza d'un vivente, non può precedere questo vivente, non più di quanto la rotondità preceda la sfera (questo paragone è di Aristotele), non più di quanto la forma di una statua pre- <;,_edla statua nel folle progetto d'intagliare il proprio marmo. Del resto, ifna forma d'esistenza non è un agente; essa viene al compiersi dell'attività dell'agente, come suo termine. Si può dire, è vero, che l'anima umana è una forma d'esistenza speciale, che gode d'una autonomia esistenziale in rapporto alla sua materia. Ma questo non cambia nulla; perchè è proprio il principio spirituale stesso, a11imus e non solo anima, ad essere la forma d'esistenza del corpo umano (Cfr. Summa Theolog., quaest. 76, art. 1): essa subisce quindi il regime ordinario delle forme e conserva così il suo rango come termine della generazione e non come principio. Questo è molto importante, non solo dal punto di vista d'un tomismo coerente, ma anche dal punto di vista della scienza, che saremmo assai imprudenti a trascurare. L'idea d'uno spirito che fabbrica il corpo, che ·entra in composizione con i fattori biologici della procreazione, provenienti dal fondo della razza come testimonia l'eredità, e inoltre, ciò va <la sè, che presiede alla crescenza, alla nutrizione e alla eventuale riparazione, che non sono altro che la procreazione continuata, questa idea, dico, Claude Bernard l'aveva in orrore, e ciò ch'egli avanzava contro di essa non ha perduto nulla della sua forza, al contrario. Non dobbiamo lasciarci andare a puerilità che le nostre dottrine pagherebbero care; molti scienziati non rimproverano ad esse altro che que- -sto. Vedono all'opera le forze naturali e ci rimproverano di sostituire loro dei fantasmi. Perchè l'anima e le facoltà dell'anima, dal punto di vista -sperimentale e quando si tratta delle azÌ◊!ii e reazioni biologiche e fisiche, sono realmente fantasmi, delle « entità verbali n diceva Théodule Ribot, il mio predecessore nel posto che occupo all'lnstitut de France. E infatti metteva la parola « anima" tra virgolette. Dal suo punto di vista aveva ragione; il suo solo torto era di dimenticare che c'è qualcos'altro. Qual'è allora qui l'agente, l'agente naturale che prepara e deve raggiungere, alla fine del processo, l'azione creatrice dell'anima? È la virtù della specie (uirtus specie1) rappresentata dai fattori fisico-chimici fisiologici debitamente adunati, che passano da germe a germe, attraverso gli individui, sin dall'inizio della razza. Fin dalla prima uominizzazione, questa forza impulsiva è all'opera, assicurando la permanenza della specie ed incontrando, in ogni individuo di cui essa provoca il sorQ'ere, l'apporto trascendente sempre necessario perchè un'anima intellettuale sia.

LA CREAZIONE DELL'ANIMA UMANA Leibniz ha parlato d'una folgorazione permanente della Divinità per il sorgere delle anime. Lampi di pensiero scaturiscono infatti da ogni parte della materia viva e la sopraelevano senza turbare le sue proprie leggi. L'esistente spirituale di ognuno di noi è il prodotto d'una folgorazione speciale giunta al suo rango nel susseguirsi delle generazioni. È come un fenomeno d'illuminazione, secondo il modo di parlare dell'antico agostinianesimo. In 9uale momento del processo generatore si produce 9uesto fatto ? In altri termini, in 9uale momento ha luogo l'a11imazio11e che permette di dire: Ecco, è formato un uomo ? È 9uestione di esperienza. Il problema è di sapere in 9uale momento il soggetto ha la sua attrezzatura fisiologica e psicologica al completo, in modo che in condizioni normali e sotto l'azione degli eccitanti necessari ad ogni vita, egli possa fare atto d'uomo. Questo può aver luogo tra il sesto e l'ottavo mese, secondo i calcoli ordinari. Ma bisogna ben dire che le nostre conoscenze sono ancora assai poco avanzate in 9uesto campo, cosa che giustifica la pratica della Chiesa in materia battesimale. Si va al più sicuro; del resto, la Chiesa, in un caso simile in cui si tratta della salvezza, non si preoccupa dei nostri sistemi. Quello che noi. diciamo fermamente dal punto di vista della filosofia tomista, è che l'esistenza di un'anima intellettuale in una materia che non è ancora adattata al suo funzionamento, è un puro controsenso. L'anima è « l'atto del corpo organizzato avente la vita in potenza»; !"anima intellettuale è quindi l'atto del corpo organizzato avente la vita intellettuale in potenza, vale a dire possedendo tutte le coordinazioni cerebrali che permettono il pensiero. Quest'anima è quindi un compimento e non un principio, in rapporto all'embriogenia umana. Anteriormente non ci può essere che una successione di forme comportanti stati vegetativi, poi sensitivi, e solo infine un'anima razionale. Per s. Tommaso, che non pensava ad una evoluzione delle forme, ciò faceva tre anime, ognuna delle quali si sostituiva alla precedente, attuandosi le disposizioni materiali richieste. Per noi, si tratta di un continuo cambiamento di forma, che accompagna dei fatti di vegetazione, poi <li sensazione, che preparano a loro volta, ma preparano soltanto, dei fatti d'intellezione che saranno il privilegio dell'anima pensante. Allora, e non prima, può prodursi l'incontro di cui abbiamo parlato tra il processo naturale e l'azione creatrice dell'anima. Dopo quanto è stato detto sopra, questo incontro o questo congiungimento non comporta alcuna nuova difficoltà. Dio, che è presente a tutto, non ha difficoltà ad integrare un'azione naturale ch'egli ha voluta soltanto in vista proprio di questo compimento. Forse che noi non diciamo continuamente, nella nostra dottrina to•

A. D. SERTILLANGES O. P. mista, che Dio è l'autore principale di quello per l'appunto che fa la natura ? Dio, per produrre l'anima individuale, come in precedenza per far sorgere la specie, non ha che da sorpassare per virtù propria quello che la natura opera già come suo strumento. In questo Egli non si S('para da essa. Anche iP questo caso, quindi, un solo processo. La generazione <l'un )uomo è un'operazione naturale che fa capo al composto, anima e corpo, non solo al corpo. Homo generat liominem. Se fosse altrimenti, l'unione dell'anima e del corpo non sarebbe sostanziale, e non si potrebbe dire che l'uomo genera l'uomo. Perchè il corpo preso a parte non è l'uomo. E neanche l'anima sarebbe un'anima umana, ma una specie d'angelo attaccato a un corpo umano. Si evita questo dualismo antiscientifico e in disaccordo in molti modi con il pensiero cristiano<•>, soltanto facendo dell'anima stessa il « termine congiunto » della generazione corporea, benchè questa da sola non abbia il potere di far maturare tale frutto. C'è il Sole divino. L'anima nostra è un effetto d'illuminazione interiore, ancora una volta, interiore, dico, alla natura agente e ai suoi poteri. In tutta verità, bcnchè non sia affatto mediante la sola virtù propria, l'uomo genera l'uomo. La conclusione di tutto questo è che il sorgere d'un'anima, sia i'anima adamica, madre· della nostra schiatta, o una qualsiasi delle nostre anime, è un fatto naturale e divino al tempo stesso; naturale senza che la natura possa da sola rivendicarne l'onore; divino, senza che sia spezzata la continuità dei fenomeni naturali studiati dalla scienza. In modo che questa, rinchiusa nei fenomeni e nelle concatenazioni di fenomeni, non ha da preoccuparsi dell'anima spirituale nè della sua creazione. Questi sono problemi metafisici che non le competono. In compenso, la filosofia non deve tentare di risolvere i problemi positivi posti dal sorgere o dal funzionamento dell'anima con il semplice giuoco delle entità metafisiche che essa concepisce. Ci sono due dominii ben distir.ti, quantunque congiunti. Perchè questo è lo strano destino della nostra umanità, di essere assisa alla frontiera di due mondi, di appartenere a tutti e due: terra e cielo, cosa che fa la ricchezza e il pericolo <lei nostri destini, l'angoscia dei nostri pensieri riAessi, l'ambiguità delle nostre analisi e la disperazione elci nostri sistemi filosofici tra due poli che egualmente attraggono lo spirito. A. D. SERTILLANGES O. P. ( 1 ) È noto che il Concilio di \"i<"nneha definito che l'anima umana è la forma sostanziale del corpo; con cib non si intende consacrare una particobrc filosofo1, ma fo ogni modo scartare un du:llismo noci\'O, ·

.. IL PROBLEMA RELIGIOSO DI DOSTOJEVSKlJ E LE MEMORIE DEL SOTTOSUOLO Quelle « Memorie del Sottosuolo » che Dostojevskij pubblicava nel 1864, vale a dire tre anni avanti che comparisse ìl primo dei suoi grandi romanzi, « Delitto e castigo», erano l'aprirsi del mondo dostojevskiano nella sua più profonda problematicità e nel suo aspetto più complesso. Si presentava di colpo, bruscamente, ma col carattere assoluto dell'evidenza, un essere strano, paradossale e tristemente beffardo, l'uomo cioè del sottosuolo. Un uomo che, rintanatosi nel chiuso delle s·ue quattro mura, in quel « lurido e puzzolente sottosuolo» veniva trascorrendo e rimasticando, a dispetto di se stesso e della società, una vita nella quale ogni valore sembrava respinto e ogni moto affettivo; e pel quale questo racchiudersi nel guscio soffocante del proprio quartierino, acquistava il senso di una rottura definitiva col mondo e valeva una sfida all'umanità. Cosicchè nella perdita di ogni distinzione radicata nel sentire dell'uomo, l'assolutezza e la relatività si scambiavano e si confondevano in una logica dell'assurdo, mentre il problema metafisico o morale, che pareva affrontato con estremo impegno, terminava poi, per una rapida svolta, con un problema qualsiasi di tutt'altra natura, particolare, determinatissimo, che stava quasi a nascondere l'altro che urgeva veramente, col problema ad esempio del mal di fegato o del mal di denti. Ma c'era, proprio in questo presentarsi della problematicità esistenziale in termini paradossali e nel tradursi delle intuizioni in una forma di ironia e di beffa, un significato che, se a tutta prima può anche sfuggire in un esame sommario, non può non apparire a chi vi si avvicini con attenta considerazione. Sarà allora possibile, attraverso queste brevi memorie del 1864, penetrare in profondità nel mondo di Dostojevskij e trovarne quasi la chiave rer una interpretazione; e attraverso il monologo sconcertante, sofferente e beffardo insieme del solitario del sottosuolo, si troverà con la condanna del sottosuolo stesso, quella parola di fede alla quale sempre Dostojevski j con ogni forza si avvinceva.

GIORGIO CURTI GIALDINO ]n fondo il problema centrale, fondamentale di tutta la sua opera è il problema religioso, cioè il problema di Dio; se si parla di Dostojevskij psicologo, dualista, maledetto o demoniaco, e accanto di un Dostojevskij scrittore religioso, se non si vede al contrario che quest'ultimo aspetto di Dostojevskij è l'aspetto essenziale, e che tutto, la sua psicologia, il suo dua- !~mo, il suo demoniaco, il suo ind.ividualismo e ogni altro aspetto che si vl'>gliatrovare nella sua opera, non sono se non in funzione del problema religioso, di Dostojevskij si dirà molto, come molto hanno voluto dire Gide e Zweig, ma non si coglierà comunque la sostanza del suo pensiero. Certo Dostojevskij è uno psicologo, ma uno psicologo in un senso molto profondo. Ciò che interessa lui è Dio e l'uomo, e attraverso l'affondare nell'abisso dell'animo umano, attraverso il turbine delle passioni che lo sconvolgono ritrovare alla fine la parola di Dio. ]n questo senso soltanto Dostojevskij è uno psicologo: la rivelazione dell'essere, la chiave dell'enigma dell'esistenza egli la chiede non alla ragione, ma all'uomo nel suo sentire e nella sua istintività. Scriveva Dostojevskij alla signora Fonvizin nel 1854: « Dirò di più: se qualcuno mi mostrasse che Cristo sta al di là della verità, o se la verità fosse fuori di Cristo, io sceglierei di stare con Cristo, rinunciando alla verità ». E ancora nelle « Memorie del sottosuolo ,, : « La ragione - dice - sa soltanto ciò che ha avuto il tempo di imparare (qualcosa forse non saprà mai, ciò non è una consolazione, ma perchè non confessarlo ?) mentre la natura umana agisce in blocco con tuttociò che è in lei e mentisca CO· scientemente e incoscientemente, non importa, vive». Dostojevskij scopre dunque il mondo della volontà e delle passioni, un mondo complesso e misterioso nel quale, attraverso la ricerca del1 'uomo, egli vuol trovare il segno che gli riveli Dio. Di qui la sua psicologia. È chiaro in tal modo come questa assuma per Dostojevskij una importanza fondamentale, mostrandosi in (ultima analisi come· quell,a ricerca alla~guale è affidata la soluzione dei massimi problemi. Alla base della quale psicologia, che era una protesta a un mondo astrattamente sezionato nelle categorie di bene e male, si trovava un prin, cipio di una semplicità estrema: che non c'è natura talmente perversa, vale a dire, che in sè non abbia al fondo e in qualche modo una luce e una «sua» verità, e una verità dunque che non è della specie dell'intelletto, ma di un altro ordine affatto; che anzi la capacità al bene - egli continua - è tanto maggiore guanto più la miseria e la bassezza siano state spinte al limite estremo. Per esemplificare: « Vi sono uomini che non hanno ucciso - egli dice - eppure sono mille volte più cattivi di chi ha ucciso sei persone »;

IL PROBLE~!A RELIGIOSO DI DOSTOJEVSKI) non vi sono insomma degli atti che possano essere considerati fuori di tutto il complesso spirituale da cui sono prodotti e che possano essere fissati nella loro astrazione e nella •loro esteriorità: ogni atto per lui è manifestazione invece di un atteggiamento fondamentale, quale risposta al problema che l'individuo pone di sè. La poliedricità dell'atto e del sentimento - questa è la scoperta della sua psicologia - gli infiniti valori che essi possono assumere dipendono in ultima analisi, dunque, da quell'atteggiamento che l'individuo ha preso 'cli fronte a se stesso, che è problema morale: bene o male, cioè: Io o Dio ? Dualismo ? Per molti Dostojevskij è dualista. Dualista in un senso forse manicheo, dualismo di forze che si contrappongono incessantemente e lottano, si dialcttizzano tra loro, radici ultime dcll 'agire umano, e coesistono e formano la bipolarità e il doppio volto dell'atto. Fino a scambiarsi: bene che è male, male che è bene, insieme, indifferentemente. In questo senso Dostojevskij non è dualista: Dostojevskij non ha fatto mai questi scambi, nè la poliedricità del sentimento e delle passioni ha in lui un tale valore. C'è sempre in ogni caso, e lo vedremo, quella fuga dal bene che è la voluttà in tutte le sue forme, ed è l'autentica ribellione seduttrice dell'Io che si pone come Dio, o la contraddizione che è un sofisma; e l'una e l'altra, come Dostojevskij stesso avvertirà, sempre più o meno implicitamente coscienti nel soggetto. Queste verità psicologiche che abbiamo mostrato e che per Dostojevskij sono verità morali, spesso hanno fatto vedere in lui direi un vitalista per il quale importa l'intensità dell'esperienza soltanto e non importa il male. In Dostojevskij, invece, c'è sempre il senso del bene e del male e interessa il bene, cioè il Valore che fondi la vita. In questo senso non solo non c'è l'irriducibile contraddizione della coscienza, ma il male non è che ribellione al bene, tanto più fortemente avvertita quanto più si cerca di affogare quello nella dissipazione e nell'acquavite della bettola. Se ci si volesse domandare poi perchè il bene si fugga e non si faccia, perchè lo si anneghi, perchè il male: gui si troverebbe il problema che agita tutti i romanzi di Dostojevskij. L'atmosfera di essi è un'atmosfeta grigia, opprimente, si potrebbe dire di incubo, spesso allucinata: sembra che ogni personaggio si consumi in se stesso e sia solo, assolutamente solo in un deserto dove egli non oda che la sua voce. Sembra che tutti i personaggi di Dostojevskij, si prenda Stavròghin il grande peccatore, fuggano dal bene fino alla follia o che come Sciàtov ricerchino questo senza trovarlo o che ancora come Kirillov neghino risolutamente Dio, con forza, per affermare l'Io nella sua potenza e assolutezza, a prezzo della

I 312 GIORGIO CURTI GIALDINO loro vita; che tutti insomma siano condotti ciechi come nei versi di Puskin premessi agli stessi « Demoni », da una forza maligna e infernale: ì. Non c'è traccia della strada Ci siam persi, che facciamo ? Un demonio ci conduce E ci porti in qua e in là. Con questa ossessione sembra che Dostojevskij non sappia creare che gigantesche figure di peccatori e non riesca mai a trovare, mentre lo ricerca, « l'uomo che sia assolutamente buono», che senta infine soltanto e non altro che « demoni » nella loro tragica problematicità. Ma il male non cessa di essere tale; e se Dostojevskij non è fariseo e non giudica mai dall'esterno, se Dostojevskij non condanna una sola volta coloro che peccano, non rigetta la legge peraltro e condanna il peccato senza il minimo dubbio. Quale esperienza intima e tremenda, il male si giudica in se stesso e mai dal di fuori: « Ama l'uomo nel suo peccato ,, dirà nei « Fratelli K.aramàzov »; e ciò non soltanto perchè « ognuno è colpevole in tutto dinnanzi a tutti», ma perchè il male è parte della problematicità esistenziale e racchiude nel suo seno, come si diceva, quella luce di cui nello stesso tempo è negazione e che le tenebre non possono spegnere. Con l'esperienza dolorosa del maic si entra insomma nel mondo morale; e altro mondo Dostojevskij non conosce all'infuori di questo, ove il senso della colpa è vissuto in tutto il suo dramma profondo e dove l'amoralità, questa zona dell'indifferenza e della superficialità, o non ha luogo o si riduce anche essa al peccato. Di più: la condanna che Dostojevskij si rifiuta di formulare nei confronti dell'uomo che il male travolge viene inesorabilmente applicata in questa sfera dell'amorale, valendo per"Tùi l'intensità dell'esperienza, ciò che anche si vedrà nelle «Memorie», intensità di esperienza morale. Bisogrta dire che le beffe scettiche dell'uomo e del sottosuolo nulla hanno a che fare con quello stato amorfo di indifferenza morale e che . tutt'altra ne è la radice. Qui, nelle « Memorie», nessun agnosticismo in ~enso deteriore, nè scetticismo accademico ed ozioso, dove la negazione invece si risolve in una vissuta sofferenza e il 110 assume tutta l'ansia e la pienezza del sì in una irrequietudine che può ricordare la nietzschiana follia dell'assoluto: « Ebbene come mi tranquillizzo io, per esempio ? Dove sono per me le cause prime sulle quali io posso poggiarmi, dove è la base di esse ? Io mi esercito a riflettere e la riflessione mi dice che ogni causa prima subito ne trascina dietro di sè un'altra anteriore e così via

IL PROBLEMA RELIGIOSO DI OOSTOJEVSKIJ fino all'infinito. È questa infatti l'essenza di qualsiasi coscienza e riflessione». A proposito delle « Memorie » una prima domanda che è necessario porsi dovrebbe tendere a precisare la posizione di Dostojevskij nei confronti del suo eroe, fino a qual punto cioè le paradossali riflessioni dell'uomo del sottosuolo rispondano ali 'intimo atteggiamento spirituale dello scrittore. E la domanda allora si sposta direttamente sul significato che esse «Memorie» contengono, sul valore dell'uomo del sottosuolo; e il problema formale del perchè quelle riflessioni si esprimano in accenti d'ironia diviene il primo e principale problema. Ci si domanda soprattutto se in fondo altro non vi sia che quel senso sarcastico che mina le stesse conclusioni raggiunte, se tutto si risolva in una beffa e in una paradossalità. Rintracciare quindi il vero uomo del sottosuolo, anche sulla scorta della breve nota che Dostojevskij premette alle «Memorie» e che viene generalmente ignorata, varrà renderci ragione del suo atteggiamento ironico, e insieme ritrovare quella rispondenza cercata del personaggio all'autore. Bisognerà dunque completare d'altri clementi e ridare nella sua complessità la fisionomia di quello strano individuo che par piangere e ridere insieme, ma del quale già si son potuti notare, attraverso un passo significativo, i tratti di una sofferenza che totalmente lo impegna e che si traduce in una forma di scetticismo. Ora tale negativo atteggiamento dell'uomo del sottosuolo si complica, e vi si aggiunge la coscienza dell'impossibilità di rimanere su un piano di negazione, coscienza che si esprime ancora in termini negativi. La ricerca di un senso e di un valore della vita che aveva determinata la prima negazione, conduce alla condanna di tale negativo, fatta di nuovo negando, perchè la positività da porre in sua vece non è posseduta, ma soltanto avvertita. Se il sottosuolo Qegativo viene respinto, cioè, ad esso si contrappone soltanto qualcosa che non ha nome: « Mentisco perchè io stesso so, come due per due, che non il sottosuolo è per il meglio in linea generale, ma qualche altra cosa assolutamente diversa che io desidero ardentemente, ma che non troverò mai ! Al diavolo il sottosuolo"· Ancora: « Io non credo nemmeno ad una, una sola delle parole che ho messe sulla carta. Cioè forse anche ci credo, ma nello stesso tempo, non so perchè, sento e sospetto di mentire come un calzolaio ». Tale è dunque una prima conclusione raggiunta: siamo in una piena e palese contraddizione che è poi quella in cui Dostojevskij stesso si muove, e che rappresenta, come meglio sarà chiarito nell'esame più vicino delle «Memorie», la chiave che dà il modo di interpretare le medesime. Che cosa cerca alla fine l'uomo del sottosuolo se non il valore della

314 GIORGIO CURTI CIALDINO vita, e quale è il valore di una siffatta posizione scettica se non nell'intrinseco riconoscimento della propria insufficienza, dell'insufficienza cioè della negazione nella quale tutto si vanifica, fatta mentre si ha una ne_ces- ~ità insopprimibile di essere qualche cosa ? « Oh se almeno io non facessi niente soltanto per infingardaggine ... ';Mi rispetterei perchè almeno come infingardo avrei una qualità precisa della quale potrei essere sicuro ... Ciò significa che decisamente sinceramente ci sarebbe qualche cosa da dire di mc. "Infingardo" ! f. una professione e una determinazione, è una carriera insomma». E riesce anche chiaro il tono beffardo, perchè in realtà l'uomo del sottosuolo, nel sentire l'esigenza della· positività. non sa ritro\·are che quella fal<ata degli « uomini positivi », e di essa avverte tutta la sproporzione non potendosene appagare. L'uomo del sottosuolo, insomma, negando una posizione, la posizione areligiosa di quegli « uomini positivi », non ha fatto che accettarne i presupposti, partire da essi e negare la loro validità: egli postula bensì una « qualche altra cosa assolutamente diversa», la sente, la desidera ardentemente, ma pensa di non trovarla mai. on diversa è la situazione di Dostojevskij: l'uomo, la vita, l'esistenza non sono senza Dio; ma Dio che non sia una vana parola, la fede cioè nella sua pienezza, dove, come trovarla ? In quella lettera già citata, che è tutta di una fondamentale importanza, scriveva Dostojevskij alla signora Fonvizin: « Le dirò di me che io sono figlio del mio secolo, figlio dell'empietà e del dubbio e probabilmente (ne sono convinto) resterò tale sino alla fine della mia vita. Come terribilmente mi ha tormentato (e mi tormenta ancora adesso) questa nostalgia della fede, che è tanto più forte quanto più numerosi sono gli elementi che le si oppongono. Ciò nonostante il Signore Iddio mi concede ogni tanto dei momenti di tranquillità: in tali momenti mi creo una fede mi:i--propria, nella quale tutto mi diventa chiaro e sacro». In un altro frammento epistolare tratto da una lettera a Màjkov ancora diccv~ Dostojevskij a proposito dei « Fratelli Karamàzov »: « Il problema principale che attraversa tutte le parti (del romanzo) è quello stesso per il quale coscientemente e incoscientemente mi son tormentato tutta la vita, il problema dell'esi~tenza di Dio. L'eroe nel corso della sua vità è ora ateo, ora credente. ora fanatico e settario, ora di nuovo ateo». L'importanza· di tali testimonianze è decisiva per la comprensione delle « Memorie ». Dostojevskij, cioè, non va forse pit1 lontano sulla via della positività di questa aspirazione nostalgica e di questa tragica ricerca; ma rimane con l'autore delle ,, Memorie» in tale sofferente esperienza religiosa, quando nelle stesse « Memorie », superata la negazione, si fa una luce che tuttavia non si riesce ad afferrare. E si pensi ad esempio a due

IL PROBLEMA RELIGIOSO DI DOSTOJEVSKIJ romanzi, « I fratelli Karamàzov » -~ « Delitto e castigo », dove ·nel. primo l'insufficiente realizzazione artistica di padre Zòsima e di Aljòscia denuncia la mancanza in Dostojevskij di una spiritualità capace di dar loro una vita complessa come a un Dmitrij o a un lvàn ;"mentre nel secondo è lo svanire nel nulla di una problematicità, seguita e sviluppata all'esasperazione fino al costituirsi di Raskòlnikov. Superata l'amoralità e lo stato d'indifferenza religiosa degli « uomini positivi » i personaggi di Dostojevskij son come sferzati e tramiti quasi in un delirio, si dibattono tanto più violentemente - di yui b rottura di ogni limite - quanto più forte sentono in loro l'esperienza tragica del bene e del male. Appartengono tutti per così dire ad una stessa famiglia, in essi la stessa dialettica delle passioni, lo stesso tormento, anche se in taluni non dichiarato, gli stessi dubbi, sofferenze, intcrrogarjvi: anche Aljòscia è fratello di lvàn e di Dmitrij, anche Aljòscia è figlio di Fjòdor. E tutti sentono, come l'uomo del sottosuolo, l'importanza grave della vita, il peso della colpa e la responsabilità tremenda del loro agire. In essi, in Stavròghin e in Raskòlnikov, nell'uomo del sottosuolo e in Aljòscia, in Dmitrij, negli stessi fanciulli c'è un incubo, uno stato di attesa, la coscienza di infinite possibilità di una natura che può essere sperimentata in ogni suo più orribile aspetto di bassezza, l'avvertimento cosciente ed incosciente dell'abisso che si apre sotto i loro piedi, il senso pauroso del vuoto. Potrebbero tutti dire con Kicrkegaard che la loro angoscia è la vertigine della libertà nelle sue' possibilità infinite, dove la libertà cade per un misterioso « salto qualitativo ». E non c'è forse una stretta affinità, nonostante le differenze che passano tra la religiosità di Dostojevskij e il dialettismo di Kierkegaard, ·una stretta affinità tra il demoniaco di Kierkegaard e quello di Dostojevskij, tra il «Nerone» deila disperazione, l'« Esteta>> e il « Don Giovanni», e tanti dei personaggi di Dostojevskij, Stavròghin ad esempio ? Voglio citare di inciso un passo del « Concetto dell'angoscia», come indicazione: « Il demoniaco - scrive Kierkegaard - è stato considerato come oggetto di cura medica. Oh, certamente, esso si cura con polverine e pillole e non manca neanche il clistere ! farmacista e medico si mettono insieme, il paziente' è allontanato affinchè gli altri non s'impressionino». E non c'è indubbiamente affinità nella psicologia del pensatore russo e del pensatore danese ? Potrei citare sempre dallo stesso scritto questa analisi: « Se si volesse mettere insieme un individuo attivamente orgoglioso e uno passivamente orgoglioso, si avrebbe l'occasione, nel momento in cui _cadesse il primo, di convincersi come era orgoglioso, in fondo, quello vile» (trad. di Meta Corssen). Per tornare alle «Memorie», c'è bene in esse la coscienza dell'errore

GIORGIO CURTI GIALDINO e direi la colpa in un atteggiamento inaridito e scettico, quale è quello del suo redattore, incapace di agire se non per un capovolgimento di valori; c'è dunque una via possibile dì salvezza. Ma c'è insieme la volontà dì radicarsi nel male, forse l'impossibilità di uscirne, la gioia di affondapi nel fango, la spinta, comune a quasi tutti i personaggi di Dostoje~kij, a fuggire quel bene intravisto che si sente, e l'umiltà che si traduce in umiliazione, in una voluttà del tormento di se stessi, m quella um_iliazione che è orgoglio, come abbiamo visto in Kierkegaard, e che è sempre nella sua massima espressione una rivolta dell'Io a Dio. Forse l'impossibilità di uscirne, ho detto; leggiamo: cc Questi quadri, proprio questi quadri ci vogliono per te ! - pensai tra me sebbene avessi parlato con tutto il mio sentimento ... Verso la fine del discorso io mi ero veramente riscaldato e il mio amor proprio ne soffriva ». L'uomo del sottosuolo ha parlato, come egli stesso confessa, col cuore alla mano; trasportato dall'impeto del sentimento ha richiamato le care immagini di un tenero affetto ad una fanciulla sventurata che la vita ha ridotto alla prostituzione; ha detto cose vere, cose buone: ccVerso la fine del discorso io mi ero veramente riscaldato ed il mio amor proprio ne soffriva ». Da tutti questi elementi mi convinco che non ci si debba arrestare al Dostojevskij di Cestov: se la realtà è questa (ma quella degli uomini positivi) non rimane altro che sbattere la testa contro il muro, non accettare, non rassegnarci, ma cclugere et detestari ». Non credo che Dostojevskij si fermi qui: c'è per lo meno il sospetto che non quella sia la realtà, ma un'altra, quella religiosa e della fede che la trasforma, la rivaluta, le dà il vero significato contro il rifiuto che in principio ne fa l'uomo del sottosuolo. Questi in effetto nega il mondo e la vita perchè ne ha la visione falsa dell'uomo positivo: se la realtà è la- realtà dell'uomo positivo che crede nel progresso, non c'è altra via che rifiutarla, non c'è che l'assurdo da tentare, ribellarsi ai consigli della ragione, picchiare la testa contro il muro. Ma non è questo il mondo. Questo mondo è già stato svuotato, non c'è posto in esso se non per il calcolo dell'utilità ! Il mondo è quello di Lisa che si concede per amore, quello della bambina che piange nel ccSogno di uomo strano", quello delle povere note della ccRagazza mite " che si erano rotte per un colpetto di tosse. Già, dopo aver buttato giù pagine di giustificazione, l'uomo del sottosuolo sente di mentire: « Non credo nemmeno ad una, una sola dellé parole che ho messo sulla carta>>. Gli altri gli potrebbero dire: ccVoi volete veramente dire qualche cosa, ma per paura nascondete la vostra ultima parola ... Vi vantate di avere coscienza, ma esitate soltanto perchè, sebbene la vostra intelligenza lavori, il vostro cuore è corrotto fino nel

IL PROBLEMA RELIGIOSO DI DOSTOJEVSKIJ profondo e senza un cuore puro nÒn ci può essere una cosC1enza piena e regolare >>. Non a caso ho ricordato il « Sogno di uomo strano » e la « Ragazza mite », due racconti cui dò una particolare importanza, sebbene siano dai normali lettori generalmente poco conosciuti. Sono due racconti che Dostojevskij pubblicò nel « Diario di uno scrittore » pochi anni prima della morte, l'uno nel 1877, l'altro nel 1876, e sono forse, tra i molti scritti di sociologia e politica ivi contenuti, freddi spesso e dogmatici, i brani migliori, i più vivi, i più dostojevskiani. Troveremo nella « Ragazza mite » J-a stessa dialettica della menzogna che altri, come si è visto, potrebbe rimproverare al redattore delle « Memorie». « Chi può dire che io non l'abbia amata ? vedete ci è messa <li mezzo l'ironia, l'ironia del destino e della natura. Siamo maledetti, la vita degli uomini è maledetta (la mia particolarmente). Capisco ora di aver sbagliato in qualche cosa. Qualche cosa non ha funzionato, ma tutto sembrava chiaro, il mio progetto era limpido come il cielo sereno ... Ma avevo dimenticato qualche cosa, qualche cosa mi era sfuggita. Non sono stato capace di metterlo in esecuzione. Ma basta, basta ! A chi dovrei ora chiedere scusa ? È finita, ·è proprio finita. Coraggio uomo, sii ancora orgoglioso: non sei tu il colpevole». Quando alla fine capisce: « Fu un caso, ci fu una giornata così strana, era la luce del sole che accendeva nel mio cervello istupidito un pensiero, una supposizione ! No, non si trattava di pensieri nè di supposizioni, in me prese a risuonare una corda morta da tanto tempo, essa tornò a vibrare a vivere a riempire di luce la mia anima intristita dal mio diabolico orgoglio». C'è in sostanza nel personaggio della « Ragazza mite» la stessa negazione della « vita vìva », il rintanarsi nell'agenzia di • pegno come nel sottosuolo. E anche qui l'impossibilità di uscirne fuori completamente: « A che servono ora le vostre leggi ? A che servono ora le vostre usanze, costumi, la vostra vita, il vostro stato, la vostra fede? ... Io mi isolo, non m'importa più di nulla !... Oh, fatalità, o natura ! Gli uomini sulla terra sono soli, ecco il male. "C'è anima viva in questo campo?" - grido come l'eroe russo e nessuno risponde. Si dice che il sole fecondi e sostenti l'universo. Il sole si rialza e - guardatelo - non sembra morto ? Tutto è morto, intorno non c'è che morte. Gli uomini sono soli e intorno c'è il silenzio, ecco che cosa è la terra. - Amatevi l'un l'altro - ha detto qualcuno. Chi ? Di chi sono queste parole ? « Il pendolo continua insensibile e disgustoso. Sono le due di notte. Le sue pantofole stanno accanto al letto come m'aspettassero .... Ma veramente, domani, quando la· porteranno via, che sarà di me ? ». Pare che una soluzione non vi sia. L'amore quando c'è la morte ?

GIORGIO CURTI GIALDINO Ma a che servono la vostra vita, il vostro stato, la vostra fede ? Ricorda la stessa ribellione di lvàn Karamàzov alla quale anche Aljòscia non sa sottrarsi completamente: « Comprendo bene come dovrà scuotersi l'universo quando tutti in cielo e sotterra si fonderanno in un inno solo: "Tu hai ragione, Signore, giacchè le Tue vie ci sono rivelate ! ". Quando la madre abbraccerà il carnefice che fece straziare il figlio suo dai cani, e ~tutt'e tre proclameranno fra le lagrime: "Tu hai ragione, Signore!", allora certo sarà l'apoteosi della conoscenza e tutto si spiegherà. Ma ecco proprio qui il busillis, è proprio questo che io non posso accettare. E mentre sono sulla terra mi affretto a prendere le mie disposizioni. Vedi Aljòscia ...potrà realmente accadere che anch'io esclami con gli altri, vedendo la madre abbracciare il carnefice del suo bimbo: "Hai ragione, Signore!", ma io questo non lo voglio esclamare ... e perciò rifiuto assolutamente la ·suprema armonia. Essa non vale una lagrima anche sola di quella bambina martoriata che si batteva il petto col piccolo pugno e pregava il "buon Dio " nel suo fetido stambugio versando le sue lagrime invendicate». Proprio qui nasce il « tutto è lecito» di Ivàn, dalla coscienza cioè di nna infinita sofferenza umana e dalla impossibilità nostra di adoperarci per alleviarla. Di qui anche un motivo dell'atteggiamento dell'uomo del sottosuolo, di Kirillov, come pure dei personaggi de « La ragazza mite» e de « Il sogno di uomo strano ». « Dissi loro che ... da noi quella gioiosa gloria era invocata con una nostalgia che talvolta diventava tristezza sconfinata: che nella mia inimicizia per gli uomini, per gli uomini del mio astro, c'era anche molta disperazione. Oh supplizio ! Volerli odiare e non poter fare a meno di amarli». Così l'uomo strano. Mi sembra chiaro che proprio nella sua dubbiosità costante, a Dosto- , jevskij si faccia luce attraverso quel¼:-jessure che gli rivelano un senso aperto della vita, si manifesti insieme una stanchezza delle complicazioni, del tormento dell'uomo· mediato (dell'uomo che pensa attraverso i libri) che non liesce a inserirsi nella vita viva perchè non ha trovato il Valore. C'è un bisogno di semplicità che lo porta al mito, al « Sogno di uomo strano», al sogno di un'età dell'oro, alla fuga dal male e dal dolore: ma mentre vorrebbe, come scrive nel 1839 al fratello « che nell'atmosfera dell'anima il cielo si sposi alla terra», d'altra parte non ignora nè il problema del male nè quello del dolore e la coscienza e la vita gli si rivelano nella loro· complessità. Perchè il male, perchè il dolore ? « Perchè stan H delle madri senza tetto, - dice il sogno di Mìtja - perchè è povera quella gente, perchè è povero il citto, perchè questa nuda steppa ? perchè non si abbracciano e non si baciano, perchè non cantano

IL PROBLEMA RELIGIOSO DI DOSTOJEVSKIJ gioconde canzoni ? ». Perchè il male, perchè il dolore ? lvàn non accetta questo mondo anche se nell'armonia eterna « le sofferenze saranno sanate e cancellate ... ; tutta l'umiliante_, commedia delle contraddizioni umane dileguerà come un pietoso miraggio, come la poco nobile escogitazione di un essere imbelle e meschino, come un atomo dello spirito umano euclideo». « Amare la vita più che il senso della vita ? » domanda ad Aljòscia. « Proprio così, amarla più della logica ... più della logica e allora soltanto afferrerai anche il senso della vita» risponde Aljòscia. Per questo predica padre Zòsima: « Fratelli non temete il peccato dell'uomo, amate l'uomo anche nel suo peccato ». Perchè, come pone in luce il Berdjajev, il problema del male e del dolore è lo stesso problema della libertà; vale a dire: in tanto c'è male e dolore in quanto c'è libertà, e soltanto così essi àcquistano una loro funzione positiva nel mondo, sono anzi la via che può condurre al bene._ « Dostojevskij - scrive il Berdjajev - era convinto che senza la libertà del peccato e del male, senza l'esperienza della libertà, l'armonia universale non può essere accettata ». E certamente tale aspetto del problema umano Dostojevskij accentua, sviluppa e approfondisce nelle sue opere: la sofferenza umana non può essere ignorata, nè si può negare negando il mondo, come con diversi atteggiamenti fanno ad esempio Ivàn Karamàzov e l'uomo del sottosuolo e l'uomo strano e il personaggio de « La ragazza mite». « L'uomo - sono parole di Dostojevskij - non ha il diritto di sottrarsi e di ignorare quello che accade sulla terra ». Quando Stavròghin domanda a Kirfllov: « Che v'importa qui di tuttociò che avete fatto là e degli sputi che quelli di lassù vi lanceranno addosso per un migliaio d'anni » posto che sulla luna in una precedente vita si siano commesse ogni sorta di ridicole villanie, Kidllov risponde: « Io non sono mai stato sulla luna ». « La vita è una cosa grande di una profondità inesplorata », scrive altrove Dostojevskij: essa deve essere accettata nella sua tragicità e nella sua libertà, quella libertà senza la quale l'uomo cessa di essere tale, anche se si priva in tal modo del suo peso più grande. Leggiamo nella parabola del grande Inquisitore: ,, Invece' di impadronirti della libertà degli uomini, Tu l'hai ancora accresciuta ! Avevi forse dimenticato che la tranquillità e perfino la morte è all'uomo più cara della libera scelta fra il bene e il male ? Nulla è per l'uomo più seducente che la libertà della sua coscienza, ma nulla è anche più tormentoso. Ed ecco che, in luogo di saldi principi, per acquietare la coscienza umana una volta per sempre, Tu hai scelto tutto quello che vi è di più inconsueto, enigmatico e impreciso, hai scelto quello che supe-

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