Quaderni di Roma - anno I - n. 3 - maggio 1947

RASSEGNE i lavori pubblici o ad aumentare la d0manda solvibile con allocazioni dirette ai non favoriti. Gli ~utori di questo gruppo non si rendono conto che si tratta di misure ad c/licacia brevissima. Praticata su una grande scala una politica di lavori pubblici e di accrescimento dcll'utilit!ì sociale, se vuole combattere una disoccupazione frequente e in certi casi permanente, riesce fatalmente all'inflazione. D'altro canto i lavori pubblici a scopo civile arri'"erebbero ad un certo momento ad esaurirsi. Per •continuare a combattere la disoccupazione gli Stati sarebbero allora costretti a ricorrere a lavori pubblici di altra specie, a scopo militare ed autarchico. Ma i paesi che ricorressero a tali mezzi diverrebbero molto forti militarmente, e sarebbero tentati di fare fruttare con una guerra i capitali in tal modo investiti. Si va in una concatenazione fatale per i paesi 'che possono ricorrere solo a questo mezzo. 11 Terzo Reich ed il Giappone han dato un esempio cli questa situazione. E così anche i lavori pubblici non costituiscono b panacea per lottare senza discernimento contro la disoccupazione. Impiegati a titolo esclusivo, essi presto sono distolti dal loro fine ccl allora costituiscono un rimedio che è peggiore del male da combattere dati i pericoli cli conflitti che genera. Proponendo di realizzare l'occupazione totale con riforme cli struttura, e cli riservare i lavori pubblici alla realizzazione del diritto al lavoro, procurando lavoro ai disoccupati facendo loro cambiare professione o regione, François Schaller non /: caduto negli errori capitali degli economisti del primo gruppo. Sir William Bevrridge, che sembra aver individuato questo errore nella sua opera: Full Employme11t in a free Society, non ne ha però tenuto conto ·nelle misure che egli ha proposto. E ciò è rile\"ato giustamente dallo Schaller, pur senza sottolineare qmnto avrebbe potuto questa contraddizione interna del secondo piano Beveridgc, caduco nelle linee essenziali e preconizzante mezzi inadatti allo scopo. Ma se gli autori del primo gruppo sono lontani dall'aver risolto il problema del pieno impiego, per lo meno hanno il merito di non considerare incompatibile con la nozione di libertà gli interventi dello Stato, necessari per eliminare la disoccup:t· zione. A questo riguardo lo stesso titolo che sir William Beveridge ha dato- al suo ultimo libro: Full Employment i11" free Society, caratterizza bene la tendenza. Desideroso di servire la vera concezione della libertà economica e sociale, l'eminente economista considera con ragione che la libertà non è compromessa, ma anzi è consolid:tta, dagli inten•enti che sono necessari per otten,;p,.._l'occupazione totale. 11secondo gruppo di economisti (von Mises, Hayek, Riipke, ccc.), molti dei quali hanno criticato il « laisscz-faire » e si dicono volentieri neo-liberali, non è animato da uno spirito;Tealista e novatore. Senza avere studiato metodicamente i rimedi preventivi e curativi della crisi di sovraproduzione, questi economisti si dichiarano stupiti dagli sviluppi che possono prendere gli interventi contro la disoccupazione. Lo Schaller mostra che secondo loro la disoccupazione è inevitabile, a meno che si voglia cadere n.cl totalitarismo e nel collettivismo. Ma se la loro preoccupazione fosse fondata, è certo che il destino dei regimi economici ()('Cidentali sarebbe segnato. La storia dimostra chr. presto o tardi, anzichè sopportare abusi intollerabili, gli uomini preferiscono sopprimere le istituzioni che non si possono riformare. L'avvento del nazismo è la prova che quando la disoccupazione prende una certa ampiezza od ha una certa durata, i popoli preferiscono abbandonarsi al totalitarismo o al collettivismo piuttosto che conservare un regime incapace di garantirli dalla miseria in mezzo all'abbondanza. Così, se non sj riesce a mettere a punto od a proporre un sistema d'intervcnti capace di eliminare la disoccupazione e lo sciupio delle forze produttrici assicurando nel

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