« ÉTIENNE GILSON, ACCADEMICO DI FRANCIA" gerai di aver compiuto un giro d'orizzonte limitato ma perfetto con cui si è rischiarato uno degli innumerevoli problemi che offre la filosofia mt:- dievale. Al passaggio lo storico ti avrà indicato quanto rimane ancora da scoprire, quanto è stato erroneamente interpretato e tu ti sentirai come sorpreso dalla semplicità di un mondo che mai ti era sembrato così illuminato. Però appena la luce della guida vien meno, rinascono le tenebre ed allora apprezzi chi ti aveva tenuto per mano. Lo stile dello scrittore Gi Ison è un preciso riflesso della sua parola; in esso trovi alcuni particolari suoi modi d'espressione. Piace a lui, di fronte ad una difficoltà storica, dire: « Il faut serrer de plus près le concret » quasi a richiamare un più attento esame della realtà per trarre da questa la sua intima verità. Talora di fronte ad un ragionamento inutile che cade in un circolo vizioso egli ripete una sua frase famigliare: « Nous voilà clone au rouet »; altre volte il pieno significato di una pagina finalmente scoperta per illuminare una questione dibattuta gli fa osservare con soddisfazione non celata « la plenitude d'un texte » a cui sa di potersi affidare con fiducia. Ma sempre, éome la sua parola, il suo stile rimane discorsivo senza cadere mai nè nella aridità te.cnica nè nell'ampollosità retorica. Privo completamente di ornamenti ~sso è tuttavia guidato da un suo proprio calore: quello che deriva dalla forza degli argomenti quali vengono offerti dalla meditazione storica. Solo talvolta, quasi a sollevare il rigore della pagina, egli si concede di sottolineare l'ironia che i fatti offrono di per se stessi, avvicinando le più inattese osservazioni, sottolineando taluni errori di interpretazione mai notati. Viene qui spontaneo il paragone con lo stile di un altro filosofo contemporaneo: il Maritain. Più di una volta ho sentito notare da studiosi francesi l'originalità stilistica della pagina di quest'ultimo in cui si faceva osservare la forte influenza, nel giro sintattico, del latino caro ai filosofi medievali. Certa oscurità e più ancora certo preciso tecnicismo si vorrebbe farlo derivare proprio dalla lunga dimestichezza con gli autori prediletti. Ora, nella ·prosa del Gilson, questo non si avverte, quasi che la spiccata tendenza alla relatività della visione storica abbia impedito allo scrittore un totale abbandono. La verità è che nei due pensatori - il lettore scuserà se indugio su di un paragone che è d'obbligo - vi è, pur nell'identità della generale concezione filosofica, una totale differenza di temperamento e quindi un differente modo di avvicinarsi ai medesimi problemi. Non dimenticherò mai lo sforzo intellettuale con cui Jacques Maritain, in una lezione su Bergson all'lnstitut Catholique di Parigi, cercava di chiarire a se stesso il suo pensiero; sforzo che si concretizzò per tutta un'ora nel rosicchiare con una costanza senza confronti le stanghette dei propri occhiali. Sovente egli svela quella passione intellettuale che nobilita non solo la sua grande
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