RIVISTA BIMESTRALE DI CVLTVRA DIRETTA DA GAETANO DE SANCTIS ANNO I. MAGGIO 1947. FASCICOLO 3 SANSONI - EDITORE
Comilato di Redazione G. DE SANCTIS, pmid,nu - R. ARNOU - G. COLONNETTI G. ERMINI - A. FANFANI - P. P. TROMPEO Segretario di Redazione P. BREZZI Direzione e Redazione CASA EDITRICE SANSONI - VIALE GIULIO CESARE, 21 - ROMA INDICE MAURICBELONDEL: 11 problema dell'assimilazione delle creature a Dio 197 HuaERT]EDIN: Esame di coscienza di uno storico . 2o6 ANTONINPOAGLIARO: Il Cantico di Frate Sole . 218 RENATOLEFEVRE:Gregorio XVI e la libertà religiosa in Polonia 236 VITTORIMOARcozz1S. J.: Istinto, finalità, intelligenza . . 247 FRANCSOIMONE: « f..ticnne Gilson, accademico di Francia ,, 2{xJ Rassegne: ~ Il diritto al lavoro (FmnN ONLÈs) Note di Cronaca: Cronache religiose Cronache politiche Cronache della libertà della scuola . . . • • 273 278
I• IL PROBLEMA DELL'ASSIMILAZIONE DELLE CREATURE A DIO * Non soltanto la Genesi ci dice che Dio ha deciso, nel suo. consiglio trinitario, di creare l'uomo « a sua immagine e somiglianza», ma ci è anche insegnato che tutto quel che esiste tende ad essere assimi lato a Dio. Ne risulta quindi la formula tomistica: omnia i11te11dunat ssimilari Deo. Non si tratta più soltanto della finalità suprema espressa dal primo capitolo ciel Vangelo cli s. Giovanni, la quale dà all'uomo, grazie all'incarnazione ciel Verbo, vita e luce, il potere cli diventare figlio di Dio; si tratta d'esaminare come e perchè la totalità delle creature partecipi e contribuisca a questa possibilità di un'inviscerazione in una specie d'immanenza universale e all'aspirazione verso una trascendenza di cui importa veder bene le condizioni, i limiti, la realizzazione suprema. Questo problema, fondamentale e finale insieme, deve esser posto in maniera chiara e completa per essere risolto con la massima chiarezza ed esattezza. Una simile soluzione, cui dobbiamo mirare perchè può pienamente· appagarci, richiede anzitutto un'epurazione delle anfibologie provocate dall'uso di parole inadeguate, troppo spesso imperfettamente intese o accolte secondo interpretazioni più materializzanti che realistiche. Sarà quindi opportuno confrontare certi termini che rischieremmo cli contrapporre su piani dove si escluderebbero, mentre in realtà certi dati verbalmente incompatibili possono, o debbono anzi, terminare realmente a una unione, in una compenetrazione senza confusione. Omnia inte11du11atssimilari Deo. Asserzione, questa, cli cui dobbiamo anzitutto comprendere l'immensa portata. Omnia ? Non vi è dunque alcuna eccezione, nonostante ì'enorme distanza_ tra tutto quello che compone la natura, il pensiero, l'azione, il termine ultimo. Intendunt ? Que- • il proposito di rendere esattamente il pensiero del Bionde\ in tutta i:t su:t compfc.,.,it;, e profondilà ci ha indotto a ridurre qualche volta la nostr:t versione acl un:i specie dì tran,liucrazionc: questo ci giustificherà presso il lettore cl':-inr introdotto qualche e,prcsc;ione che non ~ in tutto conforme all'u'-o corrcnt1..' ddb lingu:i i1.1li.rn.1.
MAURICE BLONDEL sto verbo tanto espressivo, fa pensare a una tendenza, un'aspirazione, meglio ancora uno sforzo e una tensione profondamente inviscerata, cieca o incosciente, virtuale o anche effettiva e volontaria, ma indeclinabile, verso una meta che oltrepassa il proposito(•> delle creature. E infatti troviamo, dopo l'indicazione d'una mozione congenita, un infinito passivo, },similari: siamo quindi avvertiti che questa somiglianza, o meglio ancora questa partecipazione, che può giungere fino all'adozione e all'unione con Dio, non può compiersi per lo slancio proprio degli esseri contingenti. Quali le condizioni di questo destino che ci appare come un'ascensione ed un'assunzione insieme ? A questo punto è necessario intendere bene l'uso esatto delle parole immanenza e trascendenza, di cui si è troppo misconosciuta la vera portata e la funzione, le quali sono, al tempo stesso, connesse e distinte. Spesso, infatti, ingannati dall'etimologia e dalle suggestioni materializzanti di queste due metafore, molti hanno pensato che quanto è in noi, per così dire, localmente, sia incompatibile con una Presenza, come accade per due corpi solidi che non potrebbero occupare lo stesso spazio e compenetrarsi. Quindi, anche i filosofi idealisti o criticisti hanno dichiarato che la nozione d'immanenza, unico soggetto della ragione speculativa, sia dominio esclusivo della filosofia, mentre la nozione cli trascendenza non è che un i:nito da bandire per sempre. In quanto questi postulati fittizi saranno ammessi da credulità anta· gonistiche, non sarà possibile nessuna intesa e nessuna discussione; nulla potrà avvicinare pretese affatto eccentriche; e da una parte e dall'altra si verrà ad escludere ogni asserzione, ogni metodo intesi a riconoscere una connessione, indispensabile invece per chiunque voglia, non solo capire il valore reale delle idee d'immanenza e trascendenza, ma anche scorgere la solidarietà delle idee o anche delle affermazioni relative a quel problema dei problemi che è la fede nella ragione in rapporto con la vita spirituale e con l'indeclinabile destino del nostro essere libero e ragionevole. ~ Cerchiamo di capir meglio il doppio gioco dei termini immanenza e trascendenza. Troppo spesso e troppo a lungo questi due termini sono stati intesi come fondamentalmente esclusivi l'uno dell'altro, o perfino contrari ad ogni riavvicinamento, perchè presi nel senso assoluto che si è portati a ( 1) Forse questo n>e:lbolo italiano non riesce a tradurre con piena c<,attcn.a 1'csprcs~ionc · emprùc adopcrat:l d.111'.\utorc.:.
L'ASSIMILAZIONE DELLE CREATURE A DIO dar loro, come se si trattasse di due esseri, di due mondi essenzialmente esteriori l'uno all'altro. Se ci attenessimo a questo significato affatto verbale, non dovremmo poi ricontlscere l'impossibilità di passare dall'uno all'altro dei due termini o di concepire la reciproca compenetrazione delle due realtà che si vuole far loro significare ? Si dovrebbe forse ammettere che l'uomo rinchiuso nella sua intimità, murato nella sua abitazione, · debba rimanere estraneo a quanto lo trascende ? Gli antichi pagani non consideravano forse così l'impossibilità umana, non solo di raggiungere un ordine superiore, ma di tender ad esso, senza incorrere nella vendetta della Nemesi ? Invano la superstizione ricorreva agli oracoli, ai sacrifici e a quelle pratiche irrazionali che erano dette misteri e cui spesso si collegavano riti osceni e sacrifici cruenti. Noi dobbiamo inoltre considerare che, senza l'idea di trascendenza, la parola immanenza non avrebbe ragion d'essere nè significato intelligibile. Infatti, non si tratta solo d'una re_lazione grammaticale che ci s'impone; si tratta d'un'esigenza razionale che ci impone la connessione - sola intelligibile - di questi due termini che apparentemente si contrappongono, ma in realtà si integrano. Anzi, la possibilità di conoscere e di affermare la nostra immanenza, la nostra indipendenza, la nostra libertà ci è data proprio da una presenza reale, dalla presenza in noi d'una luce e d'una realtà, senza le quali non avremmo la conoscenza e il minimo possesso di noi stessi. D'altronde la trascendenza, presa in senso assoluto, non può, in se stessa, che restare inaccessibile, incapace di accondiscendere alle aspirazioni, alla curiosità, alla cooperazione con quanto è dominio della mortalità: « Uomini, non abbiate ambizioni immortali e pretese infinite ! ». Ora, nella misura alla quale, sia pure implicitamente, la filosofia antica o moderna si fermerebbe a questa concezione immaginativa, resta incomprensibile come un metodo di immanenza possa.concepire, e ancor meno raggiungere, riconoscere con una specie d'agnizione cd ammettere una reale ed efficace trascendenza. Quanti errori non si sono commessi quando si è criticato il ricorso a un metodo d'immanenza, l'unico adatto a far riconoscere, non solo un'idea fittizia di trascendenza, ma la viva realtà in noi d'una presenza piu intima della nostra stessa intimità, più alta della nostra sublimità ! Ed ecco precisamente lo strumento segreto di questa assimilazione cui dobbiamo cooperare pel fatto stesso che possiamo realizzare in noi quella vocazione espressa senza vano strepito di parole dal costante richiamo: asce11desuperius. Dobbiamo renderci conto di questi verbalismi e antagonismi, se vogliamo spiegarci come, nel corso di lunghi dibattiti, si sia biasimato lo sforzo, tuttavia normale, di realizzare 1'intima ascensione che, da noi e in
/ 200 MAURICE BLONDEL noi, può e deve farci riconoscere, affermare ed ammettere la presenza di un'autentica trascendenza e il suo accesso fin nella nostra umana immanenza. S. Agostino aveva magnificamente capito e messo in atto tale distinzione e realizzazione del nostro destino che, in un ordine sempl icetpente naturale, riceve e può accogliere un germe soprannaturale; germe che, fedelmente coltivato, genera in noi un ordine di grazia propriamen te soprannaturale. Ecco che cosa dobbiamo chiarire per render conto del nostro destino quale è in realtà; poichè, come l'ha saldamente fissato la Costituzione de Fide: nell'uomo non c'è un semplice fine facoltativamente naturale cui potremmo impunemente attenerci; la verità è che siamo c hiamati « indeclinabilmente » a un vero e proprio destino soprannaturale, vale a dire trascendente ogni stato di pura natura . ., ., ., Ma. di fronte a questa enigmatica asserzione, è sommamente importante indagare come e perchè l'esigenza d'una ascesa cstranaturale riuni sca insieme, in maniera velata, due condizioni a prima vista e in apparenza incompatibili. Come mai siamo incapaci di discernere in noi la prcse nz,1 e l'esigenza di questa intimità operante sotto l'incoscienza d'una decisi one che mette alle prese certe incompatibilità tra cui dobbiamo optar.: e la cui scelta implica una immensa respcnsabilità ? Questo è il punto cui deve tendere tutta la nostra attenzione, poichè si tratta per noi della ~alvezza o della perdizione e poichè sono in gioco la potenza e la bontà di- ,·ina, mentre il nostro destino eterno si dibatte nascosto da un'ombra di cui non sapremmo ancor dire se ci protegge o se cela un agguato del qu ale ben a ragione dovremmo diffidare o ciolerci <•>. ( 1 ) Il problcm:i.ddl',1cccsso :tl1~1 tr:i.sccndcnz:tnon mi scmbr:i.essere stato :ihl,ast:tnz:tcompreso nè per queko ,;;t~,o risolto con chiara ccncrz:l. Come può es'Crc quc<iitO :lCCC'iW ad un tempo tr:l~ scendente ncll 'ori~inc su:1 e sollccit:rntc nell:i no'-tr:i imm:menza ; : \'oi non po,,i:imo da noi ,;1c,.,;i s;i)irc ad un atto -.oprannaturalc: occorre dunque che qucq:i mozione ,;;uperiorc e w;1tuit:1 ('in<:inui in noi sotto form:1 di motivi e di mo,·cnti ,;imili :1i nostri pen,;;icri del llllto um:ini e che l.1 nO!>tr=i op✓.ionc accolga b J~razi:1:rnonima o rc\pill_;!:l quc,:lO <:ollccit:uncnto<'h<'con1r:1dic:1 ·ic nostre cgoiMiche preferenze e le no\\re SC!!rHc p:i,;,.ioni. L"crrorcC'hc ha aHclen:itr tuuc le di~w,,ioni ,ull'immancnz:i e b tr:isccndcnza proviene da <Juc,to fotto che cli solito ,i è: creduto che po,;,;i,uno di~crncrc nelle nostre deliberazioni e nei no.s1ri :iui \'immanente c-dil trascendente, mentre in rc:1lt.ìil tr;hCCndentc. realmente infuso cd oper:inh:. non ,;;j di\Ccrnc come tr,,,:ccndrntc. perchè non è accc,,ibile. in qu:1nto 1:alc. alla nos1ra coscicnz.1 cmpiric:-i: 111:i.con l'.1cco~licnz:i che la no,tr:a libertà può fare gencroSJmcntc :ilb trascendenza :rnonim.1. noi pos,;;i,1mo l'lllr:ire ., no!>tr:ainsaput;1nclb , it:1di grJzia. come pure po,~i:lmO. imtnamcntc. perdere b µrazi:l scnz:l conoscer e con b vi,u interiore l.t pcrdit:i dcll:1 ~razi,1. per non :1vcr ,;celio C"iò che er:i. prima clcll'opzionc. una trasccn,kn;,.1 offerta e ,.1lutift"r.1.Co,ì dun<Jlll".'-<>tlo il ,·clo cld momi e dd mm·cntL di cui gli uni portano le offerte di,inc e 1,::li~Itri le.· prctc,c e i ,izi dc,1r,i11t1mini.,iene clcci!,,Oil problcm.1 (!c-1 ,le,tino ,opr~1nn.1turalc. \ll'infoori d, quc~t.l ,pitg.;1:1innc•.ottn1..:i,1u·n1c 111:l n·alistic.i. non si pub enunci.ire l'"Jliicit,1mcntc
L'.~ssnHLAZIONE DELLE CREATURE A DIO 201 Ecco dunque il problema dei problemi, il fondamentale process'.l ser11pre e più che mai intentato al cr,istianesimo: non basta più afferm:1rc, con s. Agostino ed altri, che la presenza e l'azione divina, nella loro trascendenza ontologica, sono immanenti in noi: interior intimo meo, superior ;ummo meo; è necessario vedere come questa trascendenza immanente metta in azione le nostre umane facoltà, senza negare o diminuire, anzi acuendo e affinando la nostra potenza di giudicare, decidere, operare. La sovraeminenza deli'intervento divino, lungi dal sostituirsi al nostro personale intervento o di misconoscerlo, aggrava considerevolmente la pertata della nostra decisione e ci conferisce, con la possibilità di superare la tentazione, sia il merito d'una vittoria spirituale che la responsabilità d'una sconfitta voluta in una cosciente e imputabile aberrazione. Quel che l'analisi psicologica e l'apprezzamento morale debbono farci capire, in questo dibattito della coscienza che si è potuto chiam;ire « il combattimento spirituale» per eccellenza, è anzitutto questo: la mozione divina, per non legare la volontà umana, si nasconde più o meno sotto moventi e motivi simili in apparenza a quelli dell'ordine naturale e morale. Tederiva quindi la possibilità d'una opzione che non cagiona sempre una colpa grave, una rottura con la grazia divina, ma che in certi casi di decisiva importanza, secondo la luce o la forza occulte della mozione soprannaturale, può rendere completa e mortale la rottura tra il richiamo della ragione e della grazia unite insieme e la decisione provocata dalla passione, dallo spirito di rivolta o dalle abitudini divenute gradatamente tiranniche, che costituiscono, mediante un indurimento irrevocabile, « il peccato contro lo spirito». Così si giustificano, di fronte alla stessa ragione, quelle segrete operazioni che mettono capo alla cosiddetta oscurità e impenitenza finale. Non che ci sia stata fin dalle origini una privazione d'ogni luce e d'ogni effettiva potenza di opzione, di ciò che si chiama le grazie attuali; ma non appena la coscienza dei doni e dei rifiuti potrà essere pienamente manifestata in tutto il suo errore e in tutta la sua ostinazione, nessun rimproe giustificare ciò che chi:imtrci il t:t,!!iiodel\"opziorie ira \'c1nr:ita in grazb e il rifiuto del destino sopr:innatur:ilc. T:tli :rn:1lisi.che !!cmbrano oscure o qu:isi nrb::i.li, sono tulla\'ia la giustificazione elci pMado~si o delle :ipp:ircnti ìmp◊ssibilit:Ì dei termini della costituzione de Fide, come pure la risposta :illc obiezioni contro J':ipparentc arbitrarietà dei di\•inì giudizi rigu:irdo alla sahczza e alla perdizione, come se ci fosse una predestinazione c::i.priceios::Ci..ome .tmmctlcrc infatti che "i'orclinc cli gr::i.zia.sempre incosciente, sia tuttavi::i.dipendente.:dalle nostre dcci~ioni coscienti ? e come far capire o :Immettere che l'uomo. anche <;.enz:i:ilcun:1 conoscenza di un destino indccliuabilmcntc sopr:mn::i.t'ur:dne.on possa limitarsi ali 'ordine di n:-itur:iche solo la su:i ragione gli fa conoscere e che 1:-isu:i \'Olontà non possa rinchiuckr,i nei suoi limiti profani in un puro rnion:llismo ? Per evitare i rifiuti, le critiche. k ribellioni contro le richic~te dcll'inscgn:uncnto cri<.ti:1110n.on i: forse necessario e salutare studiare a fondo qucsw problem::i.ddla tr:i~cndenza immanente e dell':1ltcrna1i,·:1sull::i.,1ualc l'opzione respon~::ibilepub e deve pronunzi.ir~i ?
202 MAURICE HLONDE°L vero, nessuna sproporzione potrebbe apparire; mentre di fronte a una fe_deltàriconosciuta, nessun orgoglio potrebbe nascere in coloro che dovranno soltanto celebrare la bontà preveniente e· gli aiuti accettati e messi a profitto, secondo la parola: misericordias Domini in aetenmm cantabo. È necessario aggiungere che l'apparente oscurità di questo potere e di questo dovere non toglie incnomamcnte che sia giustificata la nostra responsabilità. Infatti, se i moventi e i ·motivi delle nostre opzioni e decisioni sembrano e sono spesso oscuri, poichè le nostre finalità ultime c le grazie che ci sono date per realizzare il nostro destino restano in quanto tali incoscienti, pure c'è in esse una mozione sufficiente a farci trionfare liberamente nei casi decisivi da cui dipende il nostro destino, indcclinabilmente soprannaturale. A tale destinazione si riferisce infatti il giudizio supremo dell'assimilazione: termine generico esprimente un fine sublime che si applica a tutto l'ordine delle creature e che porta con sè - in ragione d'una su~rnaturalizz.azione degli esseri spirituali rimasti fedeli - un'indicibile beatitudine, ma che, d'altra parte, lascia ai ribelli impenitenti l'ineluttabile ed inesauribile riffiorso della loro ribellione contro il Salvatore misconosciuto, il quale non può che dir loro: (< ncscìo vos ))' unica eccezione alla promessa d'una beatifica assunzione. La dignità dell'uomo çonsiste infatti nell'impossibilità di sottrarsi alle sue responsabilità, alla sua ragione, alla sua libertà; in ciò sta la prova a contrario dell'immensa generosità misconoSciuta e dell'uso che i ribelli han fatto d'una potenza dat<! loro ~r la loro libera felicità. Questa verità non si potrebbe comprendere, se non si tenesse conto dell'immensa portata che ha in sè il duplice dono del Creatore e del Redentore, dono che, proprio di fronte al sacrificio del Calvario o agl'intimi preavvisi della grazia in fondo alle coscieriz.e,mette capo, se male usato, all'ingratitudine e all'odio ribelle. Quest'assimilazione della natura alla supernatura, dell'immanente al trascendente mediante un mirabile accorgimento dell'autore della grazia e della natura umana gradatamente rigenerata, deve essere connessa a tutto l'ordine storico che si svolge a partire dalla grazia del Creatore e poi attraverso la mediazione del Redentore e che costituisce questo piano d'una assimilazione progressiva. Piano che è senza resipiscenze e senza limiti, poichè la vita eterna, la contemplazione assimilatrice senza confusione è il segreto di tutta la creazione a immagine e gloria della Trinità stessa, la quale ha deliberatamente creato l'uomo a sua somiglianza per unirlo a sè attraverso e nel corpo mistico del Verbo incarnato, affinchè l'ordine uni-
L'ASSIM.ILAZIONE OELI..E CREATURE A DIO versale Contribuisca a servire contemporaneamente da legame totale e da ostacolo destinato a impedire ogni confusione nell'opera divina. Jl sommario e completo enunciato non solo di questo pi·ano, ma di questa peregrinazione che compone tutto il destino del mondo e tutto l'ordine costituito dall'unione della natura e della grazia, suppone accorgimenti segreti che i crescenti bisogni dell'intelligenza incivilita ci portano a precisare sempre più. Si tratta infatti di mostrare come possano accordarsi una certa oscurità - indispensabile per dar merito alla libertà umana - e la sufficienza d'una luce sempre velata, ma bastante ad eliminare la sbrpresa e l'ingiustizia dalle sanzioni dei nostri atti. Quel che è vero nei, riguardi del bene e della ricompensa è giustificato anche per quel che concerne la colpa e le più gravi sanzioni. Quando ci si dice che chi ficeve una ricompensa la riceve da Cristo come se Questi fosse stato oggetto di tutti gli atti _dipura carità verso i poveri ed i diseredati, questa rivelazione, lungi dall'essere scandalosa, porta un accrescimento di generosa bontà contro cui nessuno potrebbe protestare. Al contrario, invece, come potremmo c.apirè che il male commesso verso i poveri e gli infelici è causa di colpe immense, di pene eterne, di responsabilità deicide ? Questa è infatti la sorpresa che provoca la protesta della mente umana dal momento che non intuisce la preparazionè dell'intima lotta la quale, nell'immanenza della nostra vita, immette, anonimamente per così dire, la trascendenza delle fonti ove attingiamo le nostre decisioni e le nostre essenziali azioni. E infatti, ciò che nell'ordine morale chiamiamo n'ostri moventi e nostri motivi sottomessi alla ragione deliberante e alla volontà realizzatrice - che è tale solo mediante il concorso della potenza divina e con l'eventuale intervento d'una grazia attuale - conferisce un carattere soprannaturale e sovrumano alla nostra decisione e alla nostra esecuzione. Non ci è necessaria una percezione totale di quel contenuto dei nostri atti per essere tenuti giustamente responsabili, in ceFti casi, d'un abuso e d'una colpa caoitale. Dove c'è realmente, non soltanto rivolta contro la ragione e i doveri umani, ma anche opposizione cori.tra una mozione che contiene l'impulso d'una forza divina, la responsabilità dell'agente umano - anche se misconosciuta - cagiona una vera colpa mortale, anzi, per parlar propriamente, un deicidio il quale, non solo elimina l'intima trascendenza insita in noi, ma produce un atto Che colpisce il Mediatore universale, il Verbo incarnato, il Suppliziato della Croce. Se limitassimo le investigazioni filosofiche e morali allo studio dei moventi e dei motivi che un'etica razionàle pretende raggiungere indipendentemente da ogni più alta e più intima aspirazione, saremmo portati a misconoscere, non solo una parte essenziale della metafisica razionale, ma
204 MAURICE BLONDEL anche e soprattutto i fini ultimi d'un destino il quale, per l'uomo, non fa a meno di un obbligo specificatamente e propriamente religioso. È proprio d'uno studio integrale dell'azione, il dover manifestare che c'è in noi una mozione d'un carattere infinitamente più complesso di ciò che può ~r comprendere un'etica ristretta a doveri personali e sociali c,J. Ne consegue anche 1'insufficienza e spesso l'inefficacia dei manuali e degli insegnamenti scolastici e la frequente povertà della saggezza dei cosiddetti « uomini dabbene», di cui un esemplare dichiarava che, esaminando se stesso, restava colpito dalla propria miseria spirituale; appunto perchè egli · aveva ancora, attraverso la fede non perduta, il senso della propria deficienza e della propria miseria, che non era soltanto mancanza di ricchezza. ma un'indigenza, ma un "indebitamento", ma una colpevolezza. Non si insiste mai abbastanza sulle cause remote d'una dannosa astensione: una filosofia integrale deve apportare ai nostri doveri e alle nostre conoscenze la certezza dei nostri debiti spirituali fintanto che non mettiamo in opera i richiami, gli aiuti, le forze assimilatrici in virtù delle quali ci risuona di continuo il precetto: ascende superius. Infatti saremo pienamente noi stessi solo se ci libereremo dalle illusioni passeggere che, secondo l'autore delic Confessioni, ci dilacerano, mentre possiamo trovare la nostra meta, la nostra forza, la nostra piena realtà solo assimilandoci a Colui che è la nostra • « forma n, la nostra ricchezza, il nostro assimilatore: solidabor in Te, forma mea, Deus ... Così, senza confusione, compiremo il nostro destino, rispondendo alla preghiera e all'appello del Cristo che chiede ai suoi fedeli e al Padre questa assimilazione unitiva, il cui precetto si riassume in due parole: si11tu11um ! , senza che tale unione distrugga l'immanenza personale in ognuno e senza che neppure sia soppresso l'assoluto della trascendenza divina. È questa la realizzazione del destino soprannaturale che deve portare con sè, non una semplice imitazione, ma un'incorporazione della vita divina in noi, vale a dire la presenza attiva dell'azione soprannaturalizzante cui Dio e l'uomo contribuiscono in un'intima simbiosi che i testi sacri paragonano a un imeneo; rifiutarsi a una simile unione significa commet- (z) È impossibile rendere esplicito. in questo rapido sguardo cl'in<:.icme,il metodico itinerario dei cinque volumi sul Pensiero, l'Essc1·ee l'Azio,u: e dl:i ,·olumi sulb Filosofia e lo Spirito cristia110, pubblicati d:tl 1934 dalle Prcsses Uninrsìt:tircs dc Fr:incc, Paris. ~oti:-imo l:l complessità delle analisi e delle sintesi che nella loro propri:t autonomi:. sono in pari tempo legate progressivamente da una connessione indeclinabile al piano di\'in~m1cntcunitirn della natura e della supernalUra.
L.ASSl~llL.IZIONE DELLE CREA1 URE A DIO tere una specie d"adulterio, tanto ippare chiaro che questo destino soprannaturale è un fatto insieme imposto e consentito, senza possibilità di sfuggirvi ragionevolmente. Tutta la" morale e la mistica cristiana sono condizionate da questo e sono intelligibili e vitali solo da questo punto di vista integralI!lente comprensivo. È chiaro, infatti, che non si tratta d'una somiglianza la quak non sarebbe che analogia e in conclusione disparità: assimilazione dice molto di più che somiglianza. Non si tratta certo d"un assorbimento, ma d'un:i unione, d'un'inviscerazione senza confusione. Non si tratta solo dell'immortalità restituita all'umanità pcc<.atricc; nu11 si tratt:., neppure cl'una semplice resurrezione della carne, perchè, se indaghiamo il senso rrofondo della parola mens e di quest'anima che, creatura diretta di Dio, è destinata a qualche cosa di più dell'immortalità, dobbiamo ri~onoscere che l'assimilazione promessa all'assoluta fedeltà mette capo alla vita eterna, in quella nuova alleanza che ristabilisce e compie il primitivo disegno creatore rer l'adozione trinitaria. · In tal modo forse s'illumina il voto supremo ciel Cristo nella notte della Sua Passione ccl è esaudita la sublime preghiera da Lui innalzata al Padre in favore dei suoi fedeli: ut omnes 111111,n si t sirnt tu, Pater, i11me et ego i11te, ut et ipsi i1111obis1111umsi11t. MAURICE )3Loi-nEL
ESAME DI COSCIENZA DI UNO STORICO * Il crollo dei governi totalitari nell'Europa centrale ha avuto come necessaria conseguenza anche il crollo delle concezioni storiche che essi avevano propagate. L'idea imperiale predicata all'Italia fascista dalle carte marmoree della Basilica di Massenzio, raffiguranti l'impero romano, è crollata. Nello stesso modo è crollata anche quella idea di razza che il Terzo Reich inculcava come «leitmotiv» di ogni storia nei giovani non soltanto nelle scuole e negli infiniti corsi di addestramento, ma coltivava altresl in istituti e in riviste appositamente fondati. Parecchi seri sturliosi di discipline storiche dei due paesi cedettero al traviamento e al terrore: infatti questo e quello agivano insieme. Ma non a questi studiosi noi ci rivolgiamo, bensl a quelli - e non sono pochi - i quali non vollero piegare le ginocchia davanti all'idolo. La domanda che noi poniamo è questa: possiamo oggi ricominciare la nostra indagine storica nel punto • li lettore :ipprczzcrà la profond:-t cognizione della storio~rafia gl·rm:-tnica nel campo mc. dioc\'alc e moderno che l'Autore dimostra nd prc,cntc saggio. Ciò ne costituisce il prcj::io e nello stesso tempo il limite. limite tanto più legittimo in quanto si tratta più che di una ras~gn.1 critica. come risulta dallo stesso titolo, di un esame di coscienza; di conseguenza sarebbe: ,ano cd :rnchc ingiusto cercarvi una valutazione dei molti l:n·ori,.d'import:uw.a c:ipitalc per la conoscenza della moderna storiogr:tfia che si sono puhblic:iti nel c:impo dell':rntichità si:1 in Germania, come l:1 Grierhiuhe Gesrhirlue di K. J. Bdoch. dmc 3j quattro \'Olumi di analisi minute e penetrantissime ~i alternano ~uauro \'Olumi in cui è delineato con m:10O mae~tra lo sviluppo storico del popolo greco e cldla sun ci\·iltà, o come 1:1 pii1 recente Paideù, di W. Jncger, dove la conoscenza singolare ddb letteratura greca scr\'c di base a una c;toria gcnialissim:i de! pensiero ellenico, sia fuori della Germania, come c1ue) capob,·oro ddb moderna storiografia che è la Storia economira e s0<i,,/e dell'Impero romano <li ~lichclc Rostowuff. ndl:1 qu:1le la conosccnz:i che si potrebbe dire mirJ• colos:1 delle fonti cl:Michc. dc-Ile iscriiioni, <lc:ipapiri e dei monumenti serve all'autore per tcnt:'tl'c un'audace, originale e gcniaJi-,1,ima se pur discutibile sintesi intorno :tlle ra~-ioni profonclc della <lcc.1. <lenza dell'impero e della chili;\ antic.1. Sarebbe del pari \'ano ccl ingiusto bmcnt:1rc che mentre si 1cccnn:1 f)(r es. :tllc due colle-Lirn1i :mglos:1ssoni dcll:1 Cambridge \lodem History e dcll:1 Camhridge .\fediua/ Histor}', ,;j t:1cci:1completamente :lella Cambridge .l11àe111His10ry. che non solo non è per nulla inferiore .1llc precedenti, ma rappresenta forse nei suoi ultimi ,olumi quel che di più nuo"o. più profondo e più ardito h.t dato in questo genere di b\'ori la storiografia brit:innica; O\'\'ero anche che non ,·eng:1 rilc,·3to !'Jpporto notc"olissimo che gli studiosi it:ilì:rni h:1nno dato alle scienze storiche ,;,i:i_ usufruendo !e esperienze e le ~uggc,tioni del po,itivismo o qudle dt-ll'ick·:1.lismo, sì:1 tcm:1nclo pcn,ino ardit:tmemc di combinarle e superarle. (n. d. r.).
ESAME Ili COSCIENZA DI UNO STORICO 207 in cui il filo fu strappato per op~eradei despoti del passato, oppure dobbiamo anche noi meditare, quali siano i fondamenti del nostro lavoro e forse anche ricominciare da capo ? Togliamo anzitutto una possibilità di equivoco. La nostra domanda non si riferisce al metodo scientifico nel senso stretto della parola; certo non vogliamo mutarlo. Non è neppure nostra intenzione turbare l'opera cli coloro che tranquillamente lavorano negli archivi, trascrivono documenti, riempiendo schedari, arricchiscono riviste vecchie e nuove di articoli, miscellanee, recensioni e notizie bibliografiche. Noi li consideriamo felici, se possono mantenere il loro animo estraneo agli avvenimenti terrificanti e se possono ottener dallo stato o da mecenati i mezzi necessari per proseguire il loro lavoro erudito. Felici sono anche quei popoli che possono continuare la loro opera scientifica là dove nel 1939 essi la interruppero. Crediamo invero che anche essi dovranno un giorno abbandonare la loro filosofia "als oh » e porsi le stesse domande che noi oggi ci poniamo per necessità interne ed esterne, ma non vogliamo a nessun costo esser come colui che avendo fatto bancarotta predica a chi è rimasto ricco l'ideale di povertà. Come storici noi faremo un esame di coscienza per noi stessi, memori della frase del Droysen (Historik, p. 267) per cui la storia è " il yvw0: o!Xu-t6vdell'umanità, la sua consapevolezza, la sua scienza». Quello che specialmente è mancato nelle due ultime generazioni alla ricerca storica è stata la forza e spesso anche la volontà di sintesi. E il motivo di ciò non era solo la straordinaria ampiezza, alla quale le ricerche storiche erano giunte, ma l'atteggiamento dello storico stesso di fronte al suo materiale, ossia la sua ideologia filosofica o teologica. Educato dal metodo sempre più raffinato ad una esatta constatazione dei singoli fatti storici, egli cadde in una specie di positivismo e fu preso dalla mania di accumulare materiale senza curarne affatto la elaborazione scientifica, simile al pittore che continua a dipingere sempre nuovi dettagli del suo quadro, senza mai distaccarsi da esso per guardare la composizione del tutto. Non che riflettere sui primi fondamenti della sua indagine storica, egli, con estrema noncuranza, lascia ad altri dicendo: Q11a1:supra 110s, nil,i{ ad nos. Mentre la fisica ed altre scienze naturali avevano superato già da lungo tempo la unilateralità dell'epoca dello sperimento, una grande parte degli storici vi rimase aderente. Certamente non sono mai mancati uomini i quali cercarono di superare il positivismo nel senso cui sopra abbiamo accennato. Per quanto riguarda la Germania, basti ricordare i nomi del Dilthey, del Troeltsch e del Meinecke. In Italia Benedetto Croce ha, per decenni, sostenuto che la storia debb:i essere " filosofica», che cioè essa debba superare lo stadio
208 HUBERT JEDIN cronachistico, mettendo i fatti narrati in str('tto rapporto fra loro da un punto di vista filosofico. Con ragione il Croce si scagliò contro le riflessioni e le considerazioni che vengono talvolta aggiunte, quasi in margine, alla narrazione storica, poichè la storia stessa è « intelligenza dei fatti » e nella esposizione e connessione di essi è riflessione: "è una filosofia, anzi la filoi;>_fia. Ma eccoci al punto in cui non possiamo più seguire il filosofo. Siamo convinti che il positivismo possa veramente essere superato solo partendo da un principio trascendente. Per noi storia non è la filosofia. Noi restiamo all'antica interpretazione per cui lo storico deve basarsi sul suo materiale di studio, sulle fonti; deducendo da esse i fatti, scegliendoli, accostandoli gli uni agli altri e dando loro infine una valutazione, esso lo fa da un punto di vista eh~ è fuori della storia stessa. La penetrazione dei fatti per mezzo del pensiero non è filosofia e neppure teologia, ma si basa su ambedue. Lo storico pratico concorderà volentieri col Croce nell'affermare che la filosofia della storia di vecchio stile gli sia di scarso aiuto nel suo lavoro. Il Croce la rifiuta addirittura: " Una filosofia della storia distinta dalla storia designa una storia che non è storia o una filosofia che non è filosofia» (Teoria e storia della storiografia, p. 300). In questa enunciazione si manifesta il suo punto di vista che già abbiamo caratterizzato. Io stesso debbo però confessare che con la filosofia della storia del Sawicki, per est:mpio, non ho mai saputo fare niente di buono; con più profitto invece mi sono servito del saggio teologico-storico « Vom Sinn der Geschichte » di Giuseppe Bernhart, contenuto nel primo volume della « Geschichtc der fiihrenden Volker » inaugurata dalla casa editrice Herder. In Bernhart si sente ad ogni passo come egli pure sia permeato della storia stessa, e come cerchi di dare un senso agli avveç,iupenti grandiosi e terribili, senso che però, ripetiamolo, ad essi non è immanente, ma trascendente. L'applicazione di ~aride categorie alla molteplicità dei fatti ripugna allo storico. Egli vuole e deve basarsi sul suo materiale, tenersi nello spazio dei fatti sicuri, per il filosofo invece il pensiero è e rimane in prima linea, l'avvenimento concreto passa in seconda. Non invano il Croce critica nel Ranke quel suo atteggiamento poco filosofico e desidera nella sua teoria delle idee storiche l'acutezza filosofica. Vorrei sapere se le « Weltgeschichtliche Betrachtungen » di Jacob Burckhardt abbiano, in questo senso, trovato favore presso di lui. La- tensione fra il modo di pensare dello storico e quello del filosofo è inevitabile, ma non è priva di utilità. Anche il giurista e l'economista quando si trovano di fronte alla storia pongono spesso allo studioso di questa delle domande che lui stesso non si sarebbe mai posto da sè. Dal-
ESA~IE DI COSCIENZA DI UKO STORICO l'altra parte è ovvio che essi sia= giunti talvolta ad ipotesi semplificanti che non potevano accordarsi coi fatti, come ad esempio gli economisti Biicher e Sombart. Pàre sarebbt un impoverire la storia se essi non prendessero più parte alla discussione storica. Lo stesso dicasi per la storia della Chiesa. Il professore di dommatica, basandosi sulle definizioni dei papi e dei concili e sulle fonti della rivelazione, espone la dottrina sull'essenza della Chiesa, ma non appena esso vuole superare le pure formule, è costretto a porsi in contatto con la realtà storica e studiare l'attività della Chiesa come mediatrice della grazia e della verità nel corso della storia. Lo storico della Chiesa invece comincia col studiare questa, ma non deve mai astrarsi dal domma; anch'egli attraverso le forme varianti, attraverso i fenomeni sviluppatisi nel tempo e nello spazio, tende ad arrivare fino all'essenza soprannaturale della Chiesa. Così ]a storia della Chiesa diventa anch'essa « aedificatio corporis Christi "· La storia deve sì rimanere sempre in stretto contatto con le sue fonti, ma le deve penetrare e deve considerare il singolo fatto come parte di un tutto. E questo, spesso, veniva male realizzato. V'erano storici eminenti che consideravano ogni sintesi con perfetto scetticismo. In un interessantissimo articolo intitolato « Das Leben und die Geschichte" (Die Gegenwart, fase. 6-7 del marzo 1946, p. 25 ss.), Bernhard Guttmann ricorda che Scheffer-Boichorst, uno dei migliori collaboratori dei Monumeuta Germa11iaehistorica, nella sua età matura non scrisse più alcuna monografia sintetica, perchè la fedeltà alle fonti rigorosissima che egli richiedeva per una esposizione storica aveva reso impossibile ogni sintesi. Paolo Kehr conside-rava impresa puramente letteraria un libro elaborato con una esattezza così rigorosa quale la storia dell'idea delle crociate di Carlo Erdmann. Enrico Finke non seppe decidersi a pubblicare i] corso di lezioni da lui stesso tenuto sulla «Weltanschauung» del medioevo, corso nato dall'opposizione al libro dello Eicken. Perfino Francesco Ehrle considerava le valutazioni storiche come una 11rnx~C1.o:ç2:ç èDJ.~ yi·,o;. I lettori conosceranno certamente per l'Italia analoghi fenomeni. Dietro questo contegno scettico c'era nei maggiori un alto ideale scientifico, una ricerca incessante della verità, una inflessibile autocritica, una viva coscienza delle difficoltà ciella euristica storica; nei minori questa limitazione di se stessi divenne una rinuncia a vedere le cose da un punto di vista universale e più alto, divenne cioè il puro e semplice positivismo dell'accumulare materiale. Scienze sussidiarie come la paleografia e la cliplomatica furono elevate a fine a se stesse. C'erano professori pei quali tutta quanta la storia consisteva nel provare esattamente l'autenticità o meno di un diploma in base alle sue caratteristiche di forma e cli contenuto. Vi erano altri che misuravano b produzione di uno studioso dal numero
210 HUBERT JEDIN e dall'ampiezza dei volumi di fonti da esso pubblicati. Contemporaneamente la produzione minore di articoli e di miscellanee crebbe tanto che chiunque si occupava di un lavoro sintetico anche modesto perdeva una grande parte del suo tempo nelle ricerche bibliografiche oppure annegava n~le note erudite. Ne vennero di conseguenza quei libri in cui le note avevano perduto la loro funzione originaria, cioè la indicazione delle fonti usate, ed esigevano uno spazio maggiore che il testo stesso, perchè si cercava ad ogni costo una bibliografia abbondante, se non completa. Il laureando si preoccupava di far precedere alla sua tesi una bibliografia di molte notissime opere di consultazione accanto a ricerche specializzate, numerosi titoli di libri più o meno utili, ma titoli ... Inutilmente ci si chiedeva talvolta che cosa si fosse guadagnato di veramente nuovo a tanti costi. Così la letteratura storica divenne un mare senza sponde. Chi poteva ancora osare di traversarlo ? Si rimaneva più volentieri a casa propria fra quattro mura. Anche la storia della Chiesa non rimase del tutto immune dall'invasione del positivismo e dalle conseguenze del disgregamento delle forze. li Mohler, il Dollinger, il Newman considerarono la storia· dçlla Chiesa ancora come un tutto, come vera teologia storica; pochi però si allacciarono a questa tradizione, come Alberto Ehrhard. Il suo successore sulla catte• dra di Bonn, il Dolger, certamente fu un pioniere delle ricerche sui rapporti fra il mondo antico e il cristianesimo; ma ad una sintesi, sia pure provvisoria dei suoi studi, egli non potè decidersi; la tentò un suo discepolo, Carlo Priimm. La falsa strada del modernismo sembrò giustificare dal punto di vista ecclesiastico questa limitazione alle ricerche specializzate ed alla cronistoria. Perfino il migliore compendio di storia ecclesiastica che possedevamo in Germania nel ca~? cattolico, quello del Bihlmeyer, eccellente per la sua esatta formulazione e la sua ricca bibliografia, era molto più, impersonale e più riservato nei giudizi che l'opera di Carlo Miillcr, anch'egli professore a Ttibingen, capolavoro della storia ecclesiastica protestante. È vero che questo contegno riservato può passare in un compendio per studenti universitari, il quale viene completato dalle lezioni orali del professore, ma esso facilmente fa sì che il libro non venga letto, ma soltanto consultato. Anche il materiale della storia ecclesiastica si è così accresciuto che un singolo studioso difficilmente è in grado di seguire i progressi delle ricerche in tutte le epoche e in tutti i campi. Il manuale protestante del Kri.iger e dello Hermelink in quattro volumi fu elaborato da quattro studiosi, e questo esempio fu imitato dalla nuova edizione del manuale cattolico, purtroppo ancora incompleta, del Hergenrother e, su una base più ampia, da Flichc:-.\i!artin. Ogni studioso di storia ecclesiastica che cerca, con l'aiuto della grandiosa bibliografia della Rev11e d' histoire
ESAME DI COSCIENZ,I DI UNO STORICO 2II ecclésiastique, di seguire i progres~i della sua scienza, sa quanto sia diffi. cile dominare completamente un solo periodo della storia della Chiesa. Mi si obietterà che il progresso della storia .nel corso del secolo passato si è effettuato e seguita ad effettuarsi per mezzo di ricerche specializzate e che, per quanto l'esperienza insegna, non può produrre una buona sintesi colui che non abbia studiato almeno un problema fondamentale di un periodo e non si sia reso familiari le rispettive fonti. Questa osservazione è giusta, ma non è un argomento. Non esiste sintesi senza ricerca specializzata, ma che cosa è ricerca specializzata senza sintesi ? Possono degli scalpellini scolpire colonne, archi, cornici per un duomo senza seguire un piano ? A che serve l'accumulo di materiale costruttivo, se non si inizia finalmente la costruzione ? Vi sono grandi collezioni pubblicate da decenni senza che siano state studiate nonchè esaurite convenientemente. Ludovico Pastor mi disse una volta che scommetteva che neppure dieci studiosi avrebbero esaminato tutti i volumi delle « Nuntiaturberichte aus Deutschland » come aveva fatto lui per la sua storia dei papi. Certamente le grandi collezioni di fonti possono considerarsi come provviste di materiale costruttivo con cui molte generazioni possono costruire le loro case, ma oltre questo lo storico deve oggi prendere in esame le innumerevoli ,, appendici di documenti inediti», i diplomi e le lettere sparse nelle riviste. Vi si trovano cose d'importanza tra cose di scarso o di nessun valore che vengono pubblicate senza criterio unicamente perchè sono inedite. Si può dire che nella storia del tardo medioevo e in quella moderna c'è proprio una caccia all'inedito che spesso e facilmente si collega con una ignoranza profonda delle fonti edite. Conseguenza di ciò è una tremenda dispersione di materiale, una delizia· per i bibliografi, una disperazione per chi scrive la storia. L'organizzazione delle ricerche storiche e la divisione del lavoro nella elaborazione del materiale sono oggi una semplice necessità, ma nello stesso tempo sono anche un pericolo. Spesso si è dimenticato che nessuna organizzazione può supplire lo spirito, bensì essa è destinata a promuoverlo. Nessun ramo della ricerca esige tanta obiettività come l'edizione critica di una fonte, nessuno espone lo storico pit1 al pericolo di soffocare la sua individualità. Non si costringe impunemente un giovane· per molti anni ad un lavoro da carrettiere come è il Repertorium Genna11icum. Negli anni nei quali egli dovrebbe conquistare un punto di vista universale, la sua visione del quadro storico viene non che ampliata, ristretta. E poi, la divisione del lavoro ! Noi tutti con gratitudine profittiamo di opere standard come della « Cambridge medieval history » O della « Cambridge modem history » o della "Propylaenweltgeschichte », nelle quali ogni sezione è elaborata da uno studioso competente. Noi tutti diamo il benvenuto ad
212 HUBERT JEDl:-i un libro come i « Problemi storici ,, di Ettore Rota e dei suoi collaboratori. perchè essi ci hanno molto facilitato uno sguardo d'insieme sui problemi della storia italiana. Ma dovremmo sempre ricordarci che ogni opera di questo genere non è nè più nè meno che un ist"rumentodi lavoro, il quale 110nrende superfluo il grande getto di un unico formatore, ma al contrario Tò esige e lo prepara. La grande storia del Belgio del Pirenne sarà sempre il tipo di una storia nazionale, ma anche brevi storie come quella ciel Salvatorelli e dello Haller hanno pieno diritto di esistenza. Fra tutti i popoli civili in Europa, i Francesi, grazie al loro talento per la forma, non cessarono mai di curare la sintesi storica e riuscirono felicemente ad evitare il pericolo del positivismo (nel senso su accennato) e della dispersione delle forze. Le « Origines de la Réforme » di Imbart de la Tour, del tutto attinte dagli archivi, sono divenute un'opera classica della sintesi storica e le sue scarse note bibliografiche costituiscono un difetto perdonabile. « È privilegio e grave dovere della storia - scrive il Huizinga (lm Ba1111 der Geschichte, p. 73) - il farsi intendere da tutte le persone colte». Ma da dove trac oggi la maggioranza degli intellettuali e della borghesia le sue idee storiche ? Possiamo dare la risposta: dalle pseudo-storie giornalistiche e dai cosiddetti romanzi storici, cioè da una letteratura che il Huizinga ha chiamato con amara ironia « storia profumata». Noi abbiamo niente da dire contro il vero romanzo storico; sarebbe un'offesa del popolo che il Manzoni chiama il suo. Il poeta che attraverso studi coscienziosi è riuscito a dominare l'ambiente e lo spirito di una determinata epoca, ha il diritto di descrivere, su questo sfondo, il suo vero oggetto, il cuore umano e il destino degli uomini. Quanto più grande è il poeta, tanto più coscienziosoegli suole essere nei suoi studi preparatori. Sigricl Undset per una delle sue opere prese in prestito d:rlla biblioteca nazionale di Oslo una intera automobile di libri. Ma una grande parte delle biografie di personalità sflorichee dei cosiddetti romanzi storici che hanno oggi una così larga diffusione non sono nè biografie nè romanzi, ma puro giornalismo privo tanto dell'ethos scientifico quanto cli quello artistico, e non servono che alla pura sensazione. L'esempio più famoso sono i libri di Emilio Ludwig; in altri. come nel Mereschkowsky e nel Ranke-Graves bisogna constatare che i confini fra romanzo e storia si dileguano nella nebbia. La straordinaria diffusione di tali libri è un'accusa non solo contro il pubblico dei lettori, ma anche contro di noi. studiosi di storia. La pseudostoria giornalistica potè farsi largo, perchè la storia scientifica non adempiva il suo compito di essere divulgativa, popolare in senso buono. Se alla storia scientifica non riuscirà di scacciare dalle vetrine dei librai i prodotti della « storia protumata », messi insieme senza alcun senso di responsa-
ESAME DI COSCIENZA DI UNO STORICO bilità, dovrà ascriversi a sua colea se la sua importanza non verrà riconosciuta dal pubblico, e se la sua produzione verrà messa da parte sotto pretesto che spira l'odore dell'antiquario. Scienza e vera popolarità non sono inconciliabili. " Siamo ora al secondo punto del nostro esame di coscienza. La sintesi rende viva la storia. Essa stessa getta il ponte fra il passato e il presente e diviene «prammatica». Chi pronuncia oggi la parola « prammatismo » si espone al pericolo di essere grossolanamente frainteso. Si sòspetta in essa una ricaduta in un atteggiamento già da tempo superato, in quel moralismo che considerava la storia come raccolta di esempi, « quorum memoriam conservari utile sit ad bene beateque vivendum », come diceva il vecchio Vossius (BERNHEIM, Historische Methode, p. 31). Altri vi vedono forse un amoreggiare con la storia asservita alla politica del nostro recente passato. Malgrado tutto ciò, a me sembra che nessuna storia veramente viva possa rinunciare ad un certo prammatismo. Ogni storia, consapevolmente o inconsapevolmente, si riferisce a idee vive, quelle che riempiono la vita presente. « La storia e il presente - dice il Meinecke (Vom geschichtlichen Sinn und 110m Siim der Geschichte, p. 7) - formano un'unità; scienza storica è sempre nello stesso tempo scienza e più che scienza ». Essa cerca di vedere chiaramente gli avvenimenti del passato, così come essi furono, e per questo ha bisogno di negare asceticamente se stessa; d'altra parte essa è sempre costretta a riferirsi ai grandi compiti del presente. È vero: essa può divenire tendenziosa, tacendo fatti decisivi o ponendoli in una falsa luce, ma in nessun modo è costretta a divenire tale. Un certo prammatismo è ben conciliabile con l'imparzialità della storia e col superamento delle barriere di razza, di nazionalità e di religione che si esige da ogni vero storico. Tucidide e il Gucciardini erano in questo senso dei prammatici: il primo, molto tempo avanti che Pol_ibioconiasse questa parola, il secondo seguendo il consiglio del Machiavelli (Discorsi, III, 43): « Chi vuol vedere quello che ha ad essere, consideri quello che è stato». Tutte le grandi opere della storiografia moderna considerano il passato nei suoi rapporti con le creazioni spirituali e politiche del presente. Che cosa ha procurato alla storia romana del Mommsen tanto successo ? Non certamente solo la spietata critica alla tradizione e la sua arte dell'esposizione, ma anche la passione con la quale il convinto democratico, che sedeva a sinistra nel parlamento tedesco e odiava ferocemente la classe degli aristocratici, condusse la causa della democrazia romana contro gli ottimati. Egli fu perciò ingiusto verso Cicerone, ma riuscì a far sì che i suoi lettori rivivessero le battaglie della repubbiica romana. Il Treitschke non avrebbe mai potuto esercitare il suo influsso, sotto certi aspetti funesto.
214 HUBERT )EIJIN se non avesse conL1uistato 1 lettori e gli a~coltatori con il suo entusiasmo per la nazione e per l'impero. Il liberalismo del Macaulay, del Guizot e del Thiers aveva super~_to il pallore del pensiero grazie all'attività politica di questi uomini di stato. Cesare Balbo e gli altri storici del Risorgimento \erano entusiasti della grande idea della unità d'Italia; come gli storici !'tedeschi dell'epoca bismarckiana, pur essendo unilaterali, scrissero cieli<" opere vive, prammatiche. La distanza storica che ci separa da loro è infinitamente più lunga di quella che separava i liberali della assemblea costituente di Francoforte del r848 dagli ambasciatori in parrucca e codino della dieta di Ratisbona. 11mondo dei nostri padri e dei nostri avi, il mondo del 1914 è più diverso dal nostro che non era il mondo dell'Ancien Régime da quello della ri\'0zione del Luglio .. 11 secolo XIX era permeato dalle idee del liberalismo politico ed economico, dello stato nazionale; l'Europa era indiscutibilmente il centro del mondo. Oggi il collettivismo e la· organizzazione superriazionale dei popoli sono all'ordine del giorno, e l'Europa è divenuta oggetto dell'elemosina americana. Allora si credeva ancora ad un progresso infinito della civiltà, oggi si fa strada un senso di decadenza europea, quale il mondo occidentale non aveva conosciuto sin dal crollo della civiltà classica. Le masse che si muovevano ai tempi della cosiddetta migrazione dei popoli, erano di gran lunga inferiori a quelle che ora, sradicate in pochi anni dai propri paesi, girano per il mondo o sono rinchiuse in campi di profughi. Questi sconvolgimenti di cui siamo testimoni, mutano necessariamente la nostra visione del passato; linee di sviluppo che prima sembravano interrotte o prive di ogni importanza, ora acquistano un significato del tutto nuovo. Di sera gli oggetti allungano le loro ombre. Quando verso il 1900 Carlo Lamprecht si presentò con la sua concezione collettivistica della storia che si .i:icollegava al Comte e al Taine, egli incontrò la più viva opposizione da parte dei più rinomati storici tedeschi. F.duard~Meyer, Giorgio von Below, Enrico Finke e molti altri criticarono la sua teoria dei gradini' storici e cercarono di giustificare la storiografia politica e individualistica. Noi abbiamo constatato, non solo come testimoni, ma anche come vittime, in che modo « gli uomini fanno la storia,,. Noi vediamo il problema della massa sotto un altro aspetto che n-◊n la passata generazione, e il materialismo storico che essa, aimeno per quanto riguardava la storiografia, prendeva appena sul serio, per noi è un prohlema altamente attuale, non riservato unicamente ai congressi filosofici. Dopo la fine della prima guerra modiale Oswald Spengler, in base alla sua concezione morfologica della storia universaie, derivata dall'analogia con la natura organica, predisse il tramonto dell'occidente. Gli specialisti si :1ffrettarono a indicargli evidenti inesattezze e malintesi; tanto i
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