Quaderni di Roma - anno I - n. 2 - marzo 1947

170 FRANCESCO G.IBR!ELI furono tra le più serie ed utili manifestazioni promosse da quell'istituto. A quel periodo esteriormente più facile e lieto della sua vita tennero dietro i gravi anni non ancor trascorsi, ed egli seppe con Fivile fermezza dimenticare il privato danno .nelle sciagure generali della Patria. Per tutti i mesi più duri di questo periodo, la sua serenità fiduciosa in un avvenire migliore fu a me di conforto e di esempio in più d'un momento di scoraggiamento; lo ricordo ancora comparire la mattina nelle; sale della Fondazione Caetani a Palazzo Corsini, e nel dirigersi al suo tavolo di lavoro ammiccare con un sorriso alla sua borsa rigonfia: « non sono manoscritti. sono castagne ", racimolate nella estenuante ricerca quotidiana. E quando la morsa almeno in parte si allentò, il destino riserbava di lì a poco a lui un nuovo più crudele ed ultimo colpo. Un anno di disperata lotta fra speranze illusioni e timori, un lento faticoso risalire verso la luce dall'abisso ove· era scivolato, confortandosi con progetti di futuro lavoro, con le visite di amici, ma soprattutto col Vangelo, col suo san Paolo che sapeYa si può dire a memoria, con le auguste parole della fede e della speranza cristiana. E poi d'un subito il secondo irreparabile crollo, e l'estremo silenzio. Aveva appena compiuti i sessant'anni. Dalle visite di quell'ultimo anno doloroso, da quei colloqui su cui aleggiava la coscienza inespressa della minaccia incomhcnte, una dolce sensazione ho riportato, e mi è caro pur nella sua intimità qui registrarla. a suggello di quanto debbo al maestro ed amico scomparso. Nei molti anni precedenti, dai miei più antichi ricordi cli scolaro, e poi via via di studioso e d'uomo ormai totalmente uscito di giovinezza, era stato un mio segreto cruccio l'impressione di non esser mai riuscito a guadagnarmi intera la confidenza e l'affetto di lui. Anche nei più intimi e fervidi conversari, nel moltiplicarsi degli argomenti di comune interesse, nel materiale accorciamento di distanze cui !'esterne vicende ci avevan condotti, mi pareva d'avvertir sempre un tenue schermo invisibile che si frapponev.i a una piena confidenza, a un totale abbandono fra noi. Alzavan quello schermo differenze di temperamento e di carattere, divergenze di idee su problemi teorici e pratici, ombre di ricordi personali di un lontanissimo passato ? Non so. So soltanto che era qualcosa che sottilmente mi turbava. Or questo « qualcosa », negli ultimi tempi di cui ho parlato, mi parve si andasse sciogliendo sotto la forza convergente del dolore e della pietà, e dalla bocca del maestro infermo mi parve di sentire per la prima volta. e farsi poi sempre più distinti, quell'accento di amichevole calore, quell.i cordialità senza riserve, quell'amorevolezza tra paterna e fraterna di cui tanto nel passato, pur in così lunga consuetudine, avevo sofferto a sentir la mancanza. Eran davvero mancate, o ero stato io incapace a comprenderle, velate dal naturale riserbo di quel temperamento, e rese ancora

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