Quaderni di Roma - anno I - n. 2 - marzo 1947

168 FRANCESCO GABRIELJ a ogni lavoro di sintesi e di ipotesi, di cui pure l::t celebre memoria giovanile sulla sede primitiva dei Semiti lo aveva mostrato capace. Tutto all'opposto il figlio, figlio sì di quel padre ma anche dell'età nuov:i, del tormentato e tormentoso Novecento: uomo inquieto cd ansioso, dalla ricca problematica, da1la ribollente intima vita che cercava e solo in parte aveva trovato il suo centro. Il suo ingegno vivacissimo accettava, anzi esigeva e inculcava la filologica precisione come base e metodo di lavoro (« voi lo sapete, io sono pignolo», amava quasi con civetteria ripetere a scolari ed amici), ma non come fine a sè ~tessa, e l'unico suo maggior lavoro filologico, l'edizione e versione di al-Qasim, abbiam visto come fosse in funzione di un delicato e affascinante problema storico- religioso. 11problema religioso, come ho detto, gli afferrava ed esagitava l'anima, e se la fede avita, per quanto io sappia, non fu mai ·scossa e incrinata in lui, ciò si deve non a compartimenti stagni, ma a un'adesione integrale della mente e del cuore al messaggio cristiano, che sormontava senza ignorarli i dubbi e le riserve della filosofia e della storia, e nello studio della filosofia stessa, e soprattutto della storia delle origini cristiane, ricavava meditate ragioni di ribadito assenso alla sua fede. Pur senza aver nulla pubblicato in quel campo, la preparazione di Guidi in storia del Cristianesimo antico era, tutti ricordiamo, solida e aggiornata, la sua familiarità e il suo entusiasmo per gli studi trapelavano si può dire in ogni conversazione. La sua posizione di moderato conservatorismo nei problemi delle origini cristiane era la stessa da lui tenuta in quelli, per tanti lati analoghi, delle origini dell 'Islàm, della protostoria dell'Arabia preislamitica: bisogno scrupoloso di informazione a fondo, ma insieme avversione all'ipercritica, proprio in nome di un senso critico che affondava le sue radici nel « buon senso ». Altri potrà dire meglio di mc della validità e dei limiti di un tale atteggiamento nel campo cristiano; in quello meno scottante delle origini arabo-musulmane, io che mi son sentito da lui più volte scherzosamente punzecchiare come sensibile alle lusinghe dell'ipercritica, son venuto sempre più a riconoscere il sostanziale equilibrio delle sue posizioni, cui gli scetticismi razionalistici di un Lammens, un Wellhausen e un Cactani apparivan contrastare non solo con una tradizione indigena assai più solida e fondata di quanto quegli storici ammettessero, ma con l'esperienza stessa, vigile e sensibile, del fenomeno religioso vissuto in persona propria. Questi canoni critici, e le conclusioni che ne sgorgano per le origini arabe dell'Islàm, sarebbero stati da lui sviluppati ampiamente nella Storia che la morte ha interrotta. Ma io e con me altri compagni di studi ricordiamo con che fervore egli amasse parlarne nelle conversazioni dell'accogliente suo studio sull'Aventino, in quella magnifica biblioteca raccolta da due generazioni, e che godiamo sapere, per pia volontà della sua compagna,

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