Quaderni di Roma - anno I - n. 2 - marzo 1947

LEGALITÀ E DEMOCRAZIA NELLA TRADIZIONE ITALIANA 149 somma esercitare un potere arbitrario in campi delicati e ove non sia a lui deferita dallo statuto una speciale facoltà. Tentavano spesso i podestà di ottenere generiche concessioni di libero <1rbitrio, o con la scusa della opportunità di perseguire gli eretici e i malfattori, o per contingenti necessità belliche. Ed è per questa strada che dal Comune si passa poi al governo di un signore, fornito appunto di generale arbitrio sulla città. Ma ben sentivano questo pericolo gli uomini del Comune, profondamente attaccati alle loro libertà, cosl duramente conquistate. E se ne difendevano con tutti i mezzi. Ci sono state tramandate opere politiche della massima importanza, a questo riguardo: prime fra tutte - oltre l'accennata opera di Marsii10 - quelle degli ,crittori veneziani e fiorentini, che meglio conoscono che cosa sia un reggimento democratico, e studiano più validi mezzi per difenderlo. Interessantissimi poi certi dialoghi tra il podestà e la Giustizia. Il podestà vuol persuadere la Giustizia che essa sarà meglio servita se egli sarà libero, nella sua opera di governo, dai continui impacci della legge. E la Giustizia risponde - per sunteggiare brevemente le sue argomentazioni con una bella espressione di un nostro grande giurista - che la sua ancella più fedele è pur sempre la legalità. Ricordati, dice la Giustizia al podestà, dc:l giudizio della tua coscienza e di yuello di Dio; e ricordati del giudizio al quale sarai sottoposto alla fine della tua magistratura. Si tratta elci sindacato, cioè di un procedimento minuziosissimo, tutto comunale, basato sulle libere clenuncie dei cittadini; per mezzo del quale viene indagata tutta l'attività del podestà, dei giudici e degli altri officiali del Comune. Già ogni atto contrario alla legge è dichiarato nullo: così anche la sentenza; la quale, oltre che all'appello, è sottoposta anche ad una impugnativa per nullità, che praticamente prelude ai moderni ricorsi alla Corte di Cassazione, per violazione di diritto. Ma dichiarare nulli l'atto e la sentenza contrari al diritto non è sufficiente. Gli uomini del Comune sentivano anche di dover punire l'officiale e il giudice che avessero osato agire e giudicare in modo non conforme alle leggi, ponendosi arbitr~riamente nel luogo del legislatore e violando il principio della divisione dei poteri. Per ogni irregolarità amministrativa essi debbono infatti rifondere al Comune il danno subfto; per ogni atto o sentenza lesivi dei diritti del singolo, sanzionati dalla legge, essi sono responsabili civilmente e penalmente. Di più, per ogni sentenza penale contraria alle leggi, talora si vuole punito il giudice appunto con la pena indebitamente inflitta ad un cittadino, fosse anche la pena di morte: una specie di taglione, o una ritorsione della legge, come si esprimono le fonti dell'epoca, sul capo di chi ha osato infrangerla. Tanto era l'amore per la legalità e il culto del principio della re-

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