Quaderni di Roma - anno I - n. 2 - marzo 1947

LEGALITÀ E DEMOCRAZIA NELLX TRADIZIONE ITALIANA 147 veva dunque esser pienamente affermato il concetto di libertà, come di un diritto molteplice, indefinibile positivamente, estensibile a tutto ciò che non è vietato in forma generale dalla legge: un concetto di libertà, come è chiaro, che si identifica con quello stesso di legalità, affermato nella sua espressione più piena. Infatti è appunto contenendo sempre tutta l'attività degli organi dello Stato nei limiti della legge, che si giunge ;1 considerare pienamente liberi tutti i campi ove il funzionario non può impedire, a norma di legge, l'estrinsecarsi della personalità e dell'attività dell'uomo. Ora, il Comune ha una sua legge, lo statuto; regolatore dei rapporti pubblici e privati. E, a prima vista, può stupire che negli statuti italiani (e parliamo naturalmente di quelli delle regioni centro-settentrionali, ove l'autonomia comunale ebbe pieno sviluppo) non si trovi cenno di quelle franchigie che costituivano il fondamento delle chartae feudali. La realtà è che nel mondo comunale esse franchigie sono appunto implicite, e non abbisognano ormai di una speciale solenne proclamazione o conferma. Ormai non si riconoscono più singole positive lihertates, ma la libertà: l'uguale libertà di tutti i cittadini di fronte alla legge. Del resto, il nucleo originario dei primi statuti, e la parte in ogni modo fondamentale di ogni statuto cittadino, sta in quei giuramenti dei consoli, dei poèlcstà e dei loro officiali di osservare strettissimamente la legge statutaria: tutta la legge statutaria, senza eccezioni, in alcun caso. li podestà forestiero rendeva solennemente questo giuramento all'atto del suo ingresso in città, stendendo la mano sul libro degli statuti, posto sull'altare della Cattedrale, e chiuso. Egli confermava in tal modo di non avere facoltà alcuna di sindacare quale fosse il diritto vigente in quella città; e prometteva di esserne il fedele servitore, osservandolo e facendolo osservare. Con lui giuravano i giudici, i notai e persino i nunzii: tutta la sua familia venuta con lui ad assumere il governo della città. E come lui tutti erano tenuti a rileggere varie volte all'anno lo statuto e a tenerlo sempre sul banco della giustizia, monito e guida al fedele adempimento del loro dovere. È questa la pars pri11cipa11s -- come la chiama Marsilio da Padova, autore di sommo interesse, e per la sua genialità e per la aderenza delle sue teorie alla costituzione comunale -; la pars principans, o governante, · che è sottomessa al legislator. Con il che già si imposta la divisione dei poteri, almeno nel suo aspetto più importante, che consiste nella subordinazione dell'esecutivo al legislativo: Tuttavia della legge non si ha un culto così feticistico da non consentire che lo statuto si debba interpretare, vale a dire intendere appieno, prima di applicarlo. Così, non ostante certi apparenti divieti fatti ai giudici di procedere ad alcuna interpretazione, nella tema che essi falsino

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