Quaderni di Roma - anno I - n. 2 - marzo 1947

ROMANZI Ili PRETI pidato per non aver voluto lasciar profanare il Viatico datogli in custodia, Wisemannon ci racconta punto per punto la storia, come fa di Pancrazio: lo coglie, come in un inno liturgico, nel momento supremo, quando è presceltoper il martirio; e il breve episodio si svolge con una castità di linea degna d'un Virgilio cristiano: « Una gravità, alla tenera età superiore, spirava dal verginale suo volto, mentre con fermo e celere passo attraversavale vie della città, pcnendo ogni sua cura cd attenzione nell'evitare non tanto i luoghi molto frequentati quanto i troppo deserti. Mentre si avvicinava alla porta di un ampio palazzo, la padrona di casa, ricca matrona senza figlioli, fu colpita dalla bellezza e soavità delle sue fattezze. Ed era invero una bella cosa vedere quel caro fanciullo camminare frettolosamente con le braccia incrociate sul petto». E tutto quel che segue. Il piccoloGioas, che Racine ha fatto parlare con semplicità così commoventenella sua Atalia, può dirsi il fratello di questo squisito Tarcisio che con la stessa commovente semplicità risponde 3)1edomande della matrona. Tarcisio, come Gioas, ha la psicologia del suo candore: una psicologia,e una poesia, che chiunque può rendere, elementare com'è, purch~ (kgno di sentirla. Uno dei più grandi poeti che ci siano mai stati, Racine, e un maldestro narratore, Wiseman, si sono incontrati in questa poesia dell'innocenza. Il Manzoni, poeta di Lucia, che seppe stilizzare con tanta dclicate7.za,in un cantuccio del suo romanzo, l'episodio tutto umano della madre di Cecilia, non avrebbe saputo stilizzar meglio di quel che abbia fatto Wiscman l'episodio tutto divino del martirio di Tarcisio. Ho lasciato a bella posta da parte le due figure centrali, quella che <là il titolo al libro, e la sua schiava Sira, che è poi la cristiana Miriam, la sua antagonista. Fabiola, la giovane patrizia romana orgogliosa e impetuosa sino alla violenza, ma schietta, integra, aperta al senso della giustizia, ci si presenta più come un tipo che come un carattere. Sembra talora sorriderci come una forma ideale, simbolo d'una Roma incorrotta che la virtL1e la giustizia predispongono a ricevere il messaggio cristiano. f:_ una di quelle figure simboliche, attraenti cd auguste, che certi nostri pittori - mettiamo un Domenichino o un Baciccia - pennelleggiarono sulle volte delle nostre chiese. Ma, per l'appunto, resta sospesa tra il simbolo e la vita: le è mancato quel soffio creatore che comunica il palpito d'una vita autonoma e piena. Di fronte a lei si pone la schiava cristiana in pieno possessodella sua verità, anche lei, in quanto creatura d'arte, sospesa tra il simbolo e la vita. E da un capo all'altro del libro, attraverso il grosso intreccio romanzesco e le sovrabbondanti didascalie archeologiche, un dialogo polemico s'impegna tra le due donne, sempre interrotto e sempre ripreso, che cessa soltanto quando la catechesi di Miriam, suggellata dal sacrifizio della vita,

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