Quaderni di Roma - anno I - n. 1 - gennaio 1947

·• OVADERNI DI ROMA RIVISTA BIMESTRALE DI CVLTVRA Df:RETTA DA GAETANO DE SANCTIS ANNO I. GENNAIO 1947. FASCICOLO I SANSONI. EDITORE

Comitato di Redazione G. DE SANCTIS, pmid,nr, . R. ARNOU • G. COLONNETII G. ERMINI · A. FANFANI · P. P. TROMPEO P. BREZZI Direzione e Redazionr CASA EDITRICE SANSONI · VIALE GIULIO CESARE, 21 • ROMA INDICE Presentazione Nn1.0 VuN: Salvadori e D'Annunzio (co11lettere inedite) 3 )ACOIJEMSARITIAN: La fine ciel machiavellismo 19 S~LVATORE,cconoNo: Ius est ars boni et aequi 32 GAETANO DE SANCTIS: Essenza e caratteri di un'antica democrazia . 43 AMINTORFEANFANI:Cristianesimo e buon governo 59 G1ovANNt G10Rc1: J nuovi orizzonti delle scienZ.e fisiche 70 Note di Cronaca: Cronache religiose Cronache politiche Cronache letterarie (N1ccotò GALLO) Cronache d'arte (ADRIANOPRANDt) .

Il contrasto tra il mirabile progresso della fcienza accompagnato dalla crescentediffusione della cultura e lo spettacolo delle distruzioni e delle stragi immani e del disgregamento morale e sociale che ha contrassegnato la guerra e che non accenna a comporsi in questa torbida alba di pace, induce molti a lamentare, se non, con frase vieta ed erronea, il fallimento della scienza, con frase più moderna e, pur nella sua troppo dura genericità, più appropriata, la "trahison des -:lercs », cioè il fallimeuto dei rappresentanti della rnltura. Di qui la necessità che tutti coloro i quali amano la cultura si ripieghino in se stessi e cerchino se nell"indirizzo generale preso da essa ai nostri giorni non vi sia per avventura qualche deficienza che debba essere eliminata. Prima di tutto appare evidente che è venuta meno quella unità tra i vari rami dello scibile, la quale si esprimeva nei tentativi di sintesi della antichità, del medio evo e del rinascimento. A questo ha contribuito lo stesso estendersi e approfo11dirsidelle nostre cognizioni, onde la esigenza della specializzazio11e,ma anche il pericolo che ciasrnno degli uomi11i di studio, rinserrandosi nel 'ambito specifico di quella disciplina o di quella parte di disciplina che coltiva, chiuda gli occhi alle verità che si affermano in altri campi e non ne apprezzi la vitale importanza nei rapporti che hanno con quelle a lui più familiari. Mantenere la specializzazione come necessità del!' odierna vita scientifica, ma evitare che tra i vari campi di studio si elevino barriere le quali tolgano la possibilità della comprensione tra i loro cultori e impediscano il riconoscimento della interdipeudenza tra i rami diversi dello scibile, questo è oggi sentito come uno dei primi doveri degli uomini di scienza. Nello stesso tempo sembra notarsi un anelito al ristabilimento del- /' equilibrio e dell'unità tra le attività varie dello spirito, sì che la vita scientificao artistica e l'attività economica o politica non si separino com.e recinti chiusi dalla vita morale. E insomma l'avviarci a restaurare la unità i11noi e fuori di noi par che si imponga come il miglior modo di affrontare vittoriosamente le forze disgregatrici che si manifestano così paurose nel mondo civile. Insoddisfatti tanto della esaltazione delle forze della natura materiale spinta fino al disconoscimento dello spirito che le trascende, quanto della riduzione della natura allo spirito, e in particolare al nostro .<pirito, molti studiosi, più o meno consapevolmente, tendono a riaffermare la realtà contingente nella concretezza della sua molteplicità e la realtà

2 PRESENTAZIONE assoluta 11ellasua trascendenza e nella ricchezza infinita della sua unità, e dando il saldo fulcro di questa trascendenza al pensiero, come all'azio11e, a ritrovare l'unità dello scibile e insieme ad affermare la dignitù della persona umana ed a restituire all'impemtivo etico il suo valore assoluto. Queste le aspirazioni di molti intellettuali di cui il periodico QUADERNI DI ROMA, che noi intendiamo iniziare, vuole rendersi interprete, scegliendo, nel nome di quella Roma che operò tra la civiltà classica e l'idea cristiana la si11tesi onde scatur) la civiltà moderna, il simbolo della u11itàalla quale miriamo. Unità che è 11ellostesso tempo universalità. La nostra rivista 11011 vuole nè per là materia nè per gli scopi essere unilateralmente nazionale. Essa, mentre riconosce le caratteristiche diverse che le correnti culturali assumono presso le varie nazioni, si propone di mettere in valore e di armo11izzare, fedele allo spirito della romanità, gli apporti diversi che ciascuna di esse reca all'opera del comu11c progresso. D'altronde, lontanissima dal volere imporre ai suoi collaboratori la cieca ripetizione di vecchie formule o dal voler riprodurre vecchi schemi polemici, la rivista li inviterà a cercare liberamente e coraggiosame11te, senza smarrire i contatti con le nostre grandi tradizioni filosofiche, ai nuovi problemi che il pensiero progredito oggi pone, le nuove soluzioni che essi comportano, discutendo in pari tempo con libertà, ma senza intemperanza, quelle, diverse dalle nostre, che altri proponga. I QUADERNI DI ROMA si pubblicheranno in foscicoli bimestrali <li circa 100 pagine. Ogni fascicolo conterr~ per circa due terzi saggi originali sugli argomenti scientifici più varii, compresa la critica letteraria ed artistica, e per circa un terzo rassegne, recensioni e note di cronaca. Gli articoli, pur non avendo carattere propriamente divulgativo e cercando di portare ai temi discussi qualche utile e nuovo contributo, eviteranno sempre un tecnicismo che passa renderli oscuri ai non specialisti e tratteranno argomenti concernenti le singole scienze che abbiano interesse per quanti amano la cultura. Le rassegne cercheranno di mettere a punto importanti problemi che riguardino una o più discipline esaminando criticamente le varie soluzioni proposte. Le recensioni, non più di un paio per fascicolo, riferiranno ampiamente intorno ai più importanti libri di recente pubblicazione. Le cronache reg!streranno e valuteranno brevemente e imparzialmente gli avvenimenti più notevoli nel campo religioso, politico, sociale ed artistico. Roma, 1 dicembre 1946 Direttore GAETANO DE SANCT!S Comitato di Redazione R. A•Nou - G. CoLONNETII - G. ERMINI A. FANFANI • P. P. TROMPEO Segretario di Redazione PAOLO BREZZI

SALVADOR! E D'ANNUNZIO (con lettere inedite) Gabriele d'Annunzio ha parlato, nel Fuoco, di un amico adombrato uel personaggio di Daniele Glauro, che definisce con i molti appellativi di « dottor mistico», « sottile esegeta», « fratello pensoso», « dolce filosofo», ,, candido e -fervidissimo spirito», «contemplatore»; e rapprcs~nta, vigorosamente, con guella sua « enorme fronte meditativa che pareva gonfi::i d'un mondo non partorito». Ma questo « fervido e sterile a~ceta della Bellezza», non è, come gualcuno potrebbe ritenere per certi tratti la imaginifica trasfigurazione di Giulio Salvadori, uno dei primissimi sodali che egli ebbe in Roma, alla sua disc,esa dal nativo Abruzzo. Di Giulio Salvadori, singolare pur nel suo umano profilo, il d'Annunzio, che si valse di guasi tutte le figure conosciute per materia della sua arte, non sembra mai ricordarsi. Appena gualche volta ne fece il nome, negli anni giovanili, 5crivendo in pubblico; e altrettanto raramente, almeno da quanto finora è noto, lo richiamò in lettere a comuni amici. Qual significato, sentimentale e spirituale, abbia guesto silenzio, che non pare semplice dimenticanza, è forse troppo presto dire, sia perchè i carteggi Dannunziani restano in gran parte da raccogliere, sia perchè molte ombre velano ancora l'animo profondo dello scrittore, che guasi sempre impose a se stesso una maschera contraddittoria e ingannevole. li Salvadori, per suo conto, ebbe a scrivere più volte dell'amico in periodici letterari, prima ciel suo mutamento; e neppure dopo questo, rifuggì dal rivolgersi a lui pubblicamente, all'apparizione di gualche sua opera della prima maturità. Ne portò poi sempre il ricordo in cuore, con una longanime speranza e attesa, indirizzandogli in alcune circostanze lettere che qui per la prima volta escono in luce. Di guesta relazione innegabilmente singolare, per le diverse personalità e le opposte esperienze di vita, giova intanto raccogliere i documenti e le testimonianze, pur avvertendo che altro patrà ancora trovarsi. Gli atteggiamenti morali, specie del Salvadori riguardo al d'Annunzio, ne risultano in ogni maniera abbastanza ·definiti, e sono un'altra bella prova della generosità d'animo, meglio della

4 NELLO VIAN inestinguibile carità che animò tutta la vita di quell'Uomo, offerta in sacrificio silenzioso per gli altri. Alla venuta di Gabriele d'Annunzio a Roma, nell'autunno del 1881, Giulio Salvadori, nato sci mesi prima di lui, compiva diciannove anni. I due si incontrarono quasi subito, forse alla Cronaca bizantina e auspice l'abruzzese Edoardo Scarfoglio, che del Salvadori era stato compagno nel liceo e con lui aveva mosso i primi passi nel giornalismo letterario. Ii periodico del Sommaruga si pubblicava dal 15 giugno di quell'anno, e il 31 ottobre accolse per la prima volta versi del giovanissimo poeta toscano, lo squisito sonetto Contrasto. Ne -fece egli stesso memoria in un suo appunto, rievocatore della scenetta che si era svolta al palazzo Ruspali, in via Due Macelli: « Questo sonetto m'aprì la porta della Cronaca. Scarfoglio, che già c'era entrato, dopo aver portato il sonetto, condusse me; e io fui ricevuto in regola: rammento ancora i complimenti mene- _ghini di Sommaruga tra le due ali della portiera che divideva il salotto della redazione dalla stanza d'ingresso"· Un mese più tardi, il 30 novembre, il periodico pubblicò il primo scritto del d'Annunzio, che in quei giorni venne accolto a festa entro la « cittadella romana » letteraria, come lo Scarfoglio narrò in una nota pagina del suo Libro di Don Chisciotte. « Egli era cosi mite e cosi affabile e cosi modesto, e con tanta grazia sopportava il peso della sua gloria nascente, che tutti accorrevano a lui per una spontanea attrazion d'amicizia, come a un gentile miracolo che nella volgarità della vita letteraria non troppo spesso occorre,,(•). Delicato e fine di animo come era nel fondo il Salvadori, pur sotto le apparenze vivaci e ardite di allora, fu attirato anch'egli dal poeta adolescente: e nacque quello che può dirsi il loro sodalizio. Accomunati non raramente dalle cronache letterarie del tempo, i due quasi coetanei, simili forse anche nell'aspetto fisico (la tradizione li riveste perfino dello stesso taglio di abito, somministrato in cambio di versi stampati dall'editore impresario) furono compagni frequenti, soprattutto nei primi mesi. Amicizia non diventò forse mai quella comunanza di vita, perchè troppo lontani erano in sostanza i temperamenti; nè l'egotismo Dannunziano poteva donarsi fino in fondo o restare legato con lunga fedeltà ad altri. li Salvadori, anch'egli, geloso come fu sempre della propria intimità, si precluse forse anche in giovinezza quella piena effusione, senza riserve, che fa l'amicizia. In qualche nota, che si riprodurrà subito avanti, si vede anzi come fosse portato a vigilare e a diffidare dinanzi al multivolo e incostante sodale. Avvertire questo pare opportuno, perchè i documenti (1) E. Sc.umx:1.10, li Libro di Don Chi.rciouc, Mondadori. 1925. pp. 155.56.

SALV,\DORI E n'ANNUNZIO non comprovano quella fraterna amicizia, immaginata forse per contrasto morale, che avrebbe legato secondo alcuni i due scrittori giovanissimi. Fervida e gioconda appare tuttavia la consuetudine. In una giocosa ode barbara, intitolata « 12 marzo 1882 » e rievocante un simposio di amici festeggianti in quel giorno il diciannovesimo compleanno di Gabriele, questi ha fermato la lieta scena, che si svolge forse in qualche mescita romana : Accese intorno le faccic ridono come ca.rote sbucciate ... Raccolti intorno al tavolo sono, con il poeta, ,, Scarfoglietto », due triestini, il « barbuto » Salomone Morpurgo e il « roseo » Albino Zenatti (Guglielmo Oberdan, anch'egli studente all'università romana in quegli anni, non vi compare con la dolorosa ombra). Toscanamente conoscitore e sapido amatore di vini, il Salvadori, dall'arguta barbetta, mesce e sembra provare, come ha fatto in una recente lettera scritta niente meno che al Carducci, i nuovi metri: Ma no: fra 'I gaio tinnir dc' calici le procellose ali non battano le alcaiche strofe; a le nere bottiglie attorcansi flessuose come fiorenti ram":'tted'edera, o vcr per l'aria come turaccioli prorompano ... O buon Salvadori mi conti i dattili su le dita tu che sorridi e la germanica barbetta muovi ? Mescimi il Massico ch'io beva, ch'io beva, ch'io beva! Viva la Cronaca Bizantina. (,) Ma non solo così si raccoglievano gli amici. Nei famosi salotti della Bizanti11a conveniva ogni giorno, come ha narrato di recente il suo editore, la « pleiade giovanetta» (il termine è del d'Annunzio, in suoi ricorcli del tempo), che formava quasi la redazione romana del periodico. Con piacere, il Carducci, irsuto e salvatico con gli altri, si intratteneva a conversare qui con essi. Nel suo diario, il ro gennaio '82, si legge: « A desinare col Sommaruga - Conobbi il d'Annunzio»; e in quelli stessi giorni, se non prima, si può credere abbia incontrato per la prima volta anche il Salvadori. Si divertiva ai loro scherzi letterari, e quando, dal lavoro fatto in una notte da Scarfoglio, d'Annunzio, Salvadori, Ugo Fleres e Cesario Testa, uscì in luce un famoso numero unico, dal titolo rapisardiano, nel quale si parodiavano due periodici letterari avversi, il (2) G. Sn:.:rn.... RD0 1 Dannun::.iaua, in Nuova Antologia, 1u luglio 1939, p. 116.

6 NELLO VIAN Fan/ulla della Domenica e la Domenica letteraria, scrisse il 6 febbraio '82, entusiasta: « Caro Sommaruga, stupendo il Luci/ ero » <;>. Dopo l'autunno '82, al suo ritorno dall'Abruzzo, Gabriele d'Annunzio apparve agli amici mutato: diventò elegante e incominciò a frequentare assiduamente palazzi e salotti patrizi, come lo Scarfoglio narrò con indignazione, indiriuandogli anche nel maggio '83, in risposta ai due sonetti Ad soda/es, gli altri suoi quattro Da parte degli amici. Di sangue popolano e, allora, di spiriti quasi giacobini, il Salvadori non lo seguì per questa via. La stagione, anzi, del loro sodalizio pare qui conchiusa, an~hc.: se continuarono gli amichevoli rapporti, attestati dalle note di diario sopra accennate. Il 30 novembre '82, il Salvadori registrava: « Vedo da Aragno Scarf., d' An., Pascarella, Podesti e altri. Dopo pranzo vado a studio di Pascarella ». E il 2 dicembre: ,, Vedo Sommaruga per via de' Coronari; vado con lui in tipografia e da Aragno. Ll trovo d'Annunzio; passeggio un poco con lui e poi trovato Cellini, andiamo tutti e tre a casa sua (di d'An.). Vuole che gli reciti dei versi. lo gli ho recitato il 2° intermezzo, di cui ha detto - bellissimo, meraviglioso! - Crederci. Poi altri. Da due o tre giorni d'An. mi fa la corte. Lo fa forse per dare un po' sul naso a Se I arfoglio] ? » <,>. Con questo scettico giudizio sulla sincerità· del d'Annunzio è da avvicinare quello dato, molti anni più tardi, sulla fervida accoglienza fatta ·dall'lmaginifico a un giovane: « .•. salvo poi, appena voltate le spalle, a non ricordarsi più di lui» <s>. Ancora nel suo Libro di Don Chisciotte, lo Scarfoglio ha lasciato una famosa descrizione di un .altro lieto momento della brigata « bizantina»: una gita in barca a Ostia. Rivive nella colorita pagina quella singolare « compagnia di vogatori e di poeti »: il Carducci che « era ritornato barbaro e maremmano e giovine, e, dritto a poppa con gli occhi lampeggianti di contentezza accennava esclamando altamente»; gli altri, libanti « col vino di Gabriele d'Annunzio al nume del Tevere». La presenza del Salvadori non è accennata, ma probabilmente questa navigazione sul Tevere è la stessa che segnò in lui una profonda impressione morale. Allora, nell'aiutare il Carducci a discendere dalla bilrca, aveva avvertito con sorpresa la strana gracilità del suo braccio, contrastante con l'immagine della forza maschia e virile che egli e tutta quella generazione alimentavano del « forte artiere». Ne aveva sentito un'intima e cupa tristezza, che ha lasciato tracce in una poesia datata dal 2 novembre 1882 (« Ostia Tiberina>>, nei Ricordi dell'umile Italia) e in alcune note personali, tra le più desolate della sua giovinezza. Un disgusto di quello che chiamerà in una lettera dell'84 « mercato americano di gloria e di (3) AKGt:1,0 S0~01:\R.UGA, Cronaca bi:antina, Mondadori, 1941, p. 86. (.f) Oi:uio inedito, 1883. (;) Ricordi comunicati dal dott. Giulio Carcani, Roma.

SALVADOR! E D'ANNUNZIO 7 "ituperi », il mondo letterario Sommarughiano, principiò in lui, da questo tempo: egli, ncll'82, non partecipò al famoso viaggio in Sardegna di Scarfoglio, d'Annunzio e Pascarella, nè collaborò all'Album-Fracassa, che adunò tutta la compagnia «bizantina». Nei mesi che seguirono crebbe il distacco, che documentano le inquiete e talvolta drammatiche lettere del Salvadori al Fogazzaro <•,i, e dolorose pagine del suo diario. Nel maggio '83 egli lasciò addirittura Roma e si rifugiò per qualche tempo neila nativa campagna toscana. Di quell'anno, o almeno datato da quell'anno è il sonetto «Un'eco», raccolto poi tra i Ricordi dell'umile Italia, che prova come più esigente e forte andasse risuonando nel suo cuore la voce di Dio. Qualcuno ha fatto il nome di d'Annunzio come di uno dei due compagni che vanno nella notte, « per la via silenziosa »; ma altro è il nome segnato sopra un appunto, dell'attore ciel dramma morale evocato in quel la poesia <7>. Al tempo del sodalizio, Salvadori critico parlò più volte ciel d'Annunzio, con sentimento cli amicizia ma con schiettezza e acutezza di giudizi. Ecco, a esempio, in una rassegna di poesia contemporanea fatt.i, nel dicembre '82, per la Cronaca bizantina, il luogo che gli assegna in una specie cli bolgia dantesca. « Anche qui, le colpe contrarie che dispaiano le due brigate sono prodigalità e avarizia. Da una parte Gabriele d'Annunzio, Edoardo Scarfoglio, e, in parte ma debolmente, Giovanni Marradi, grandi suscitatori d'immagini, grandi scialacquatori di colorito, celano assai spesso sotto i cenci nuovi e smaglianti i motivi un po' logori e vecchi. Spesso, intendiamoci, non sempre; chè il d'Annunzio, anche quando gli manca l'originalità del motivo, lo ha saputo simulare così abilmente sotto la copia delle immagini luminose e ha còlto alle volte con intuizione così felice le voci più alte della natura, con facili,tà così viva certe strane figure de' suoi sonetti, che certo non gli può mancar la forza a uscire dal suo piccolo mondo». Ma quel mirabile virtuosismo non poteva durare, se non acquistando un interiore contenuto: « Edoardo Scarfoglio e Gabriele d'Annunzio che seppero suscitare dai boschi r dal mare del loro Abruzzo una fanfara selvaggia cli colori e cli suoni, sono agli sgoccioli: o rinnovarsi o morire "· Si noti la data cli queste parole, 1882: l'Imaginifico era appena ventenne, il lungo cammino della sua magica arte solo agli inizi, e già_la severa alternativa che egli stesso sentirà fino all'ultimo, gli veniva posta con estrema nettezza da quel suo coetaneo. E quando il d'Annunzio, con i poemetti dell'/nterme.:::zo di rime provocò la vasta polemica sul pudore nell'arte, il Salvadori non si peritò di scrivere, ancora, con rude franchezza: « Non vorrei che l'arte dell'amico (6) G. SAl,\"H>Ollt, Lei/ere. Firenze, Le Monnicr, 1945, pp. r5-r7, 32-34. (7) N. VI\:'\, EipaJt:nze e tristezze di Giulio Salvfldori ,( bi-::a,uino », noll'Ouervatore Romnno, 2.2 giugno 1941.

8 NELLO VIAN mio segnasse la maniera di veder l'amore della nuova generazione. Certo quell'arte non è progresso. Le belle bestie umane che nelle sue novelle sbucano qua e là tra il verde lucente fogliame, e amano, gittano grida selvagge cli dolore e d'amore, poi muoiono o si ritirano, come dopo aver detto tutto, per quanto belle e curiose, son bestie... Ma certo che quello, secondo d'Annunzio, è l'amore come lo poteva sentire l'uomo appena sbocciato fuori da un qualche Orang-Utang dell'isole di Borneo» <'>. Il giudizio e,tetico si fondeva, qui, con quello morale, e colpiva ancora acutamente quella inumanità che inficierà per sempre l'arte Dannunziana. Vigeva, del resto, tra i due compagni un reciproco influsso e quasi un libero scambio di immagini, di movenze, di espressioni: e non pochi di questi imprestiti, specialmente poetici, sono stati notati e indagati sagacemente <9>. Nel luglio '83, Gabriele d'Annunzio sposò Maria Hardouin, dei duchi di Gallese, e si a1lontanò da Roma per parecchi mesi, ritirandosi in riva al nativo Pescara, nella Villa del Fuoco. Una lettera, inviata da qui nell'ottobre allo Scarfoglio, contiene saluti per il Carducci e gli amici, « se ce ne son restati », ma non nomina il Salvadori, che era stato spesso, con i due abruzzesi, il terzo della brigata<••>. Sono appunto questi tre nomi i primi posti sotto la famosa dichiarazione, con la quale nell'ottobre '84 parecchi dei più assidui scrittori nei periodici Sommarughiani comunicavano di non aver più rapporti con quell'editore, che appena alcuni mesi più tardi sarà arrestato, mettendo fine a una stagione letteraria. È nota la risposta polemica che questi diede subito, con molta malignità, a ciascuno, nel pubblicare la dichiarazione; meno, invece, la «conversazione» che egli dedicò allo stesso argomento, in una delle solite pagine di copertina della Bizantina. Scriveva, con significativo accoppiamento: « ... D'Annunzio e Salvadori ! Lasciando stare il merito letterario, se se ne fossero andati un bel pezzo prima, quanti biscotti e quanta vernaccia avremmo risparmiato ! Alla vita d'incubazione scapata, gioconda e spensierata è succeduta quella dell'attività assidua, dell'operosità feconda. Si saranno sentiti a disagio ... Si capisce. Oh ! se si capisce » <0 >. Nel Salvadori il disagio, oggetto di questo ironico scetticismo, era così reale e profondo che alcuni mesi più tardi metteva capo al pieno rinnovamento. Come si sa, nell'autunno '84, egli lasciò Roma per Ascoli Piceno, dove restò fino al principio de11'estate dell'85. Di là mantenne qualche relazione con gli amici di Roma, come risulta da una lettera del marzo ad Angelo Conti, a cui dava incarico di portare una sua novella al d'An- (8) G. SALVADORI, A proposi/o ,lel/'amore, nella Vomenim leuemrw. 26 agosto 1883. (9) P1E.no PAoto T11.0~1PEO, Carducci e d'Ammnzio, Tummindli. 194.3. p. 117. (10) G. STESDARDO, Danmm::iana, cit., pp. 116.17. (11) Cronarn bi::ami11a,16 ottobre 1884.

SALVADOR! E D'ANNUNZIO 9 nunzio per la Tribuna letteraria, come era stato da questi pregato<">. E in quell'anno, con un suo precoce discepolo ascolano, Alighiero Castelli, andò a visitare il poeta del Cauto 110110. La conversione, pubblicamente annunziata nel maggio '85 nella licenza alla canzone Per la morte di Victor Hugo, sorprese i sodali romani; ma non cessarono subito i rapporti con il « bizzarro e sillogistico asceta » (come lo chiamò Matilde Serao, da pochi mesi moglie dello Scarfoglio). Della fine dell'anno è, anzi, la prova più singolare di fratellanza letteraria che il d'Annunzio abbia dato al Salvadori, col promuovere la stampa della sua canzone Per una fiera italiana, che uscì « nel dì Natale del MDCCCLXXXV», con quelle note, usate per l'unica volta: « Roma, Gabriele d'Annunzio editore». Vigilò l'impressione, fatta nella tipografia della Tribuna, l'amico comune Giuseppe Cellini, pittore e anch'egli poeta, al quale il Salvadori comunicava, da Albano Laziale, le istruzioni per « Gabriel » <• 3>. Anche più strano può sembrare il trovare il Salvadori tra i collaboratori della risorta Cronaca bizantina, che il d'Annunzio diresse dal 15 novembre '85 al 28 marzo '86, e dove comparve non solo il trittico di sonetti « Occhi lucenti», alto testimone dell'amore di Ascoli, ma anche un ardito sonetto « La mondatrice " e un poemetto di amore popolano tradito, « La novena delle canzoni » <••>. Pare difficile ritenere che dal suo austero ritiro di Albano, il Salvadori abbia mandato questi suoi ultimi versi profani, che sono probabilmente di composizione anteriore (e pubblicati, secondo qualche testimonianza, di sorpresa). Il d'Annunzio, tra i primi, darà infatti segno di riconoscere il senso totale del suo rinnovamento, dedicando nel 1886 « a Giulio Salvadori » (« al poeta Giulio Salvadori », si legge posteriormente) nella lsaotta Guttadauro I'" epodo» « Rileggendo Omero », dove è una confessione di desiderata liberazione dal senso e di nuova sincerità artistica. L'amicizia, almeno in un primo tempo, non venne dunque interrotta da quell'evento spirituale, che pure separò nettamente le vie. Ancora, nel marzo 1887, in una cronaca letteraria della Tribuna, « il Duca Minimo » cortesemente annunziava che « Giulio Salvadori finalmente darà alla luce, per i tipi del Lapi, il suo magnifico studio su i poeti del dolce stil 110110 » <• 5>; e in una lettera ad Angelo Conti, scritta, come pare, da Napoli 1'8 novembre '91, pregava: «Dammi notizie di Pietro Bacci I.Bracci?] e di Giulio Salvadori. Ricordami a Marius dc Maria e agli altri nostri» <• 6>. Da questi anni, a séguito in qualche maniera di quella prima, spon- ( 11.) G. SAl,VA001t.1, Leuere, cit., p. 36. (,3) lbùl., pp. 44-45. (1at) Rispettivamente nei fascicoli del 15 novembre, 27 e 20 dicembre 1885. (15) La Tribut1a, 9 marzo 18H7. (16) G. o'A:-.r-:u:-.:z10, Lettere ad Angelo Conti, in Nuova Antologia, 1° gcnn. n13 1, . p. 16.

10 NELLO VIAN tanea mossa vc;nuta dal d'Annunzio con la dedica dcli'« epodo» - e che. si ricollega a sua volta con la critica esercitata dal Salvadori ancora «bizantino» - incominciò la fraterna attesa e l'opera discreta di richiamo, che non sarebbe venuta meno fino all'ultimo. Con ansia, il Salvadori coglieva e scrutava qualunque indizio di spirituale novità nel compagno di un tempo. Ecco come ne scriveva, a esempio, il 19 agosto del1'89, a Giuseppe Cellini, allora nel Portogallo: « Qua nulla di nuovo: - solo d'Annunzio, in certe terzine Al poetr, Andrea Sperelli pubblicate sul Corriere di Napoli, accenna novament•: a una trasformazione: Purchè sia ! ». Sperelli, piange nel tuo cor profondo L'anima. ancora disperata e sola ? Fa che raccolga ogni do/or del mondo. In questo tempo, ~1 rivolse a lui anche pubblicamente con la bella lettera aperta scritta nel 1891 dopo la lettura del breve e cupo racconto Giovanni Episcopo. Egli che aveva taciuto due anni prima, all'apparizione del romanzo della decadenza elegante e della lussuria Il Piacere (proprio in quel medesimo tempo, quasi a mostrare le strade oramai opposte dei due compagni di una volta, era uscita l'alta poesia religiosa del suo Canzoniere civile) volle manifestare all'amico il senso provato nel leggere, « con la maniera di vedere acquistata, fuori della letteratura militante, dalla pratica della vita», la triste storia di Giovanni Episcopo. Nel naturalismo del narratore gli parve palpitasse un sentimento di pietà insolita; nella descrizione di umili oppressi credette di scorgere una più aperta e cortlialc umanità che non nella rappresentazione della corruzione aristocratica. Nel libro sentì risuonare anche, insolitamente, più volte il Nome misericordioso e potente (« Gesù avrebbe pianto su me tutte le sue lacrime», grida in un punto lo sciagurato protagonista). Con la finezza che gli veniva dal senso dell'arte e dalla profonda esperienza religiosa, egli svolse dunque fino alle conseguenze i motivi morali posti nel romanzo; e notò nella cupa vicenda umana qualche indizio del divino («È Dio che si fa sentire: ma in quale oscuro, incerto e pauroso modo è sentito ») <• 7>. Nel 1893, con altri, lesse nel Poema paradisiaco segni di una mutaz1011<:a, nnunziata da un senso acuto dì stanchezza e di disgusto dalla voluttà della carne. Gli indirizzò allora versi fraterni, trepidi di speranza (17) G. SA1.v,uxut1. A Gabriele d'An,wn~io. in Fanfu/la della domenica, 7 (,bbraio 189.?; ora nel ,·olume /..ellne aperte, •~ Studium)). 1939, pp. 59-68.

SALVAOORI E D'ANNUNZIO II e di augurio, dettati nello stesso tòno dolce e accorato della lettera aperta e di quelle personali che più tardi gli manderà: O Gabriele, udito ho la tua voce nell'anima: oh quanto umile e soave ! Dunque nelle tue vene il fuoco atroce Posa ? dunque il tuo cor si fa men grave ' dunque vinta è la perfida malla ciel senso ? Oh come, nel dolor, soavemente pura Ì; del cor la mclodìa ! quale di stanco peregrino a sera in luogo pieno di malinconia. Tu or sei stJnco: e come una preghiera alb Sorella ed alla Madre cara s:ilc il tuo canto. Intanto, il ciel s'annera, La terra ti par quasi un:i gran bara: pietra è il tuo core, da cui sol s'dfondc un'onda inenarrabilmente am:1ra. Pur non è tutto amaro: le profonde rcg·ioni h3nno un rivo di dolcezza, che solo al tuo posar si disasconde. O Gabriel, che vale la bellezza di jer ? l'amara voluttà ben sai, e il grido dell'altrui cor che si spezza. Tu or sei stanco: quando sorgcrJi ? <18> Non sono invece del Salvadori, a cui vennero talvolta attribuiti, ma di Pietro Bracci, i versi « Ad un fratello lontano», pubblicati nell'Ora presente del maggio 1895, anonimi come tutti gli scritti di questo periodico. In un biglietto al Bracci, che comprova la paternità della poesia, il Salvadori si limitò a notare una poco felice similitudine di « due pardi >> <• 9>: soppressa con l'ultima strofe, dal Bracci, in quella occasione, essa ricomparirà nella raccolta postuma dei suoi versi, e urterà anche il gusto di Benedetto Croce. Che si incontrassero qualche volta in persona i sodali di un tempo, fino a che durò la cortesia quasi cordiale dei rapporti, è possibile: furono, in ogni caso, ritrovamenti occasionali, che non lasciarono quasi (18) G. SAl.\'A0011.1, Agli artefici della J>,u-o/a . I. A Gabriele d'A1111un::io • Dopo il Poema t1,m1disiaco, in Nuova antologia, i 0 giugno 191t, p. -137. ma scritt:i e inviata poco dopo l:i. pubblicazione di quel libro, nd 1893. (19) Lettera a P. Bracci. 17 ~1prilc [1~5j (inedita).

12 NELLO VIAN traccia. Lo spirito bizzarro di Decio Cortesi raccontava, senza sapere più egli stesso se si trattasse di realtà o di quasi simbolica leggenda, che il Salvadori incontrasse un giorno ad Albano, sul ponte dell'Ariccia, il d'Annunzio in compagnia di una donna (vi andò effettivamente più volte, con «Ippolita», tra 1'87 e 1'89) e che all'invito di cenare con essi rispondesse risolutamente: No, Gabriele ! li Salvadori stesso, interrogato sul fatto, non avrebbe saputo confermare nè escludere. Più storico e significativo, pcrchè rispondente a una maniera di spirituale avvicinamento cara al Salvadori, è l'invito fatto al d'Annunzio, sul principio del '92, di visitare il ricovero notturno aperto dalla privata carità di alcuni giovani amici, in via delle Marmorelle, a fanciulli vagabondi. Andò l'lmaginifico, ma non altro pare abbia notato in quell'asilo della misericordia cristiana che un lungo pavimento nero di asfalto, rimasto impresso nel suo occhio attentissimo ad ogni sensazione P0 J_ Parecchi anni più farcii, al tempo della Nave (1907), come narrò il Tenncroni ad Antonio Muiioz, un incontro tra i due, ideato da un amico comune, fallì per la teatrale pretesa del d'Annunzio di dare l'appuntamento all'antico compagno tra i pini del Gianicolo<"> (ricordava forse la scena lontana di Vespere jam facto del poeta ,, bizantino >J ?). Non più, per guanto si conosce, i due si ricercarono o ritrovarono, allontanat.i come furono dalla diversità di vita e dalle circostanze. I più importanti documenti che seguono, testimonianze nuove e bellissime della mente e del cuore di Giulio Salvadori, sono epistolari, e di una sola delle due parti<">. Già si conosceva che la lirica finale del libro Laus vitae, « Saluto al Maestro », aveva provocato la dolorosa commoZIOne dello scrittore cristiano, ma restava malamente nota nel testo la lettera con cui l'aveva espressa. Quella cruda contrapposizione tra la Vergine Madre dei Dolori e la dea del piacere sensuale (« E quella sua Vergine Madre, - vestita di cupa doglianza - solcato di lacrime il volto, - trafitto il cuore da spade - immote con !'else deserte, - si dissolverà come nube - innanzi alla Dea ritornante - dal Aorido mare onde nacque .,.- pura come il fiore salino i,) non poteva lasciarlo in silenzio, perchè gli parve, come era, un funesto ritorno di una falsa concezione della vita. Egli, che pur due anni prima aveva mandato amichevolmente al (w) Tntimonianz:t di Antonio Noccmc. Prn,tul:i:t.ionc ,gt·ncralc dei Frati Minori. (i 1 ) A. Mn.:oz, Figure ronuwe. Rom:1. St:1dcrini, p. 178. (zi) Le tn; lcw.:rc inedite di Giulio Salvadori chc pili :!\':'Inti si pubblic:rno sono cons(·r\',Hc ndl'!\rchivio del Vittoriale degli ltali:rni. Gardonc Rivicr:i: e ~i pubWicano da copie procur:lle clalla cortesia dell'arch. G. C. Maroni, dd prof. G. Puccindli e della prof.ssa F. Fr:iuin.

SALVADOR! E D'ANNUNZIO d'Annunzio la sua Leggenda dell'anima per « ricordo e saluto di pace ,,. impugnò la penna con lo sdegno che l'ingiustizia destava nel fondo del suo animo mite. La pagina che ne uscì non si può leggere, ora, senza restare colpiti per la visione presaga che ha lacerato il velo dei tempi; come per il traboccare di un'indignata eloquenza che ne costituisce la forza. Anche le parole dedicate verso la fine al Carducci, il poeta delle « Fonti del Clitunno ,, al quale il «Saluto" era rivolto e dal quale si ispirava, sono tra le più forti che il Salvadori abbia mai detto. Ma si legga la stupenda e vigorosa lettera, che pur si chiude nell'umiltà e nella speranza. Caro Gabriele Roma, 4 giugno 1903 Ho letto qualcj>e cosa del tuo ultimo libro, e mi sono meravigliato come tu non t'accorga che l'empietà da te ostentata è stoltezza. La vita, la gioia ! Come se fosse . !a prima volta che gli uomini cercano di scuotere il dovere e il dolore e non si conoscessero gli effetti della ribellione. Lo fecero i Greci dei tempi di Pericle, e l'effetto fu la distruzione di Atene e di Sparta. Lo fece Roma imperiale, e l'effetto fu la caduta dell'Impero. Lo fecero gli Italiani del così detto Rinascimento, e l'effetto fu la servitù dell'Italia. E così ora tu, secondo le tue forze, metti mano ad effettuare la rovina della patria. Ben altrimenti sentirono e fecero gli uomini dei tempi operosi e grandi. Del secolo ora chiuso, ricordo fra tanti i) Tommaseo, il quale voleva con b vita intera lasciare all'Italia un esempio di forte _patire. Ma guarda come. si portò a Venezia, e dimmi se un corpo snervato e un cuore in<lurito dai piaceri saprebbe fare altrettanto. Finora-chi ti voleva bene, anche ritraendosi disgustato dai tuoi libri, pensava che v'era pur qualche nome sacro nel tuo cuore; e ricordava i versi per la madre e per la sorella. Ora pensa che hai oltraggiato la Donna; hai oltraggiato la Madre tua, la tua Sorella; e questa, te lo dice un fratello, è viltà. Colui che tu chiami tuo padre, e che veramente ti ha dato l'esempio dell'empietà, e ha creduto educare una generazione di forti cantando il vino e donne non sue, non ha però mai rivolto il verso contro la Donna, anzi cun uno dei suoi canti più belli ha fatto eco all'umile saluto al cui suono piegano la fronte Dante e Aroldo. Chi scrive così, sa per propria esperienza a che può portare l'ebrezza dell'orgoglio e dei sensi; ma scrive, perchè ricorda con dolore, ama e spera. Gwuo SALVA.DORI La lettera era personale, e il suo testo restò infatti tra le carte Dannunziane. Ma lo stesso poeta della LAus vitae, irritato in quei giorni dalle proteste e dalle pubbliche espiazioni religiose indette per quella sua strofe, ne rivelò l'esistenza a uno scrittore del giornale ro111ano L'ltalie. Ecco come questo traduceva con sue parole quelle dello scrittore: « Mais la plus bizarre aventure est celle d'un ancien confrère de M. d'Annunzio, qui a débuté avec lui avec éclat, il y a vingt ans dans la Cronaca bizantina du fameux Sommaruga et qui a été ensuite, hélas, détourné de la littérature par un mysticisme intransigeant. Or cet ancien confrère a adressé à M. Gabriel d'Annunzio, avec lequel il était naguère

14 NELLO VIAN très lié, une lettre de vives réproches et il se dit désolé de voir servir le grane! talent du poète à de si misérablcs chosrs. Nous ne dirons pas le nom de cet écrivain qui est à présent professeur dans notrc Université; son nom sera certes sur les lèvres de tour le monde qui s'est occupé dc lettres pendant Ics vingt dernières années » <• 31_ La rivelazione non lasciava incertezze sulla persona dello scrittore, e urtò alcuni giovani amici del Salvadori come « una volgarissima azioue ». Nell'Ateneo di Paolo Mattei Gentili apparve una fiera protesta<••>, scritta probabilmente da questo, in cui si usavano parole grosse, scoprenti !'eccitazione del momento. In realtà, il d'Annunzio, a parte la indelicatezza di fare uso in pubblico di una lettera ricevuta da un amico, non ne aveva deriso il contenuto, come denunciava l'Ateneo. Certo sua era la deplorazione che l'antico compagno, il quale avrebqe potuto essergli pari nella fama, pur che avesse voluto operare per l'arte con il fervore delle comuni vigilie letterarie (questo il riconoscimento che ne raccolse Giuseppe Cellini) fosse stato allontanato dal culto della bellezza per quel suo « intransigente misticismo». Ma come poteva, egli, esprimere un diverso giudizio ? Non mutò, dopo questo episodio, l'animo del Salvadori; nè egli rinunziò di leggere talvolta le opere Dannunziane, che passava anche a spirituali amici. La persona venerata di uno di questi, il padre Lorenzo Cossa, gli fece paragonare una volta quelle due vite, scrivendo a una gentildonna: « Rimando il libro che Ella mi favorì, quale a me l'ha rimandato il p. Cossa. E penso, che differenza tra una vita piena e pura, tutta spesa per gli altri con una bontà che a me fa sentire quella di Dio, e una vita sciupata e profanata in fantasie vane che non può guardarsi addietro senza orrore di quello che ha fatte e detto. Mi perdoni se non so dir meglio l'impressione rimastami, dalla lettura, dell'uomo, più che del libro, mentre pur sento quante belle doti d'ingegno avrebbe avuto il mio antico compagno» <•s>. In altre occasioni, non ostante l'accoglienza fattà alla lettera per la Laus vitae, il Salvadori tornò a rivolgersi direttamente a lui, quando gli eventi della patria e le vicende personali parvero riaprirgli nell'animo sentimenti di nuova umanità. Gli scrisse in Francia, così, per la pubblicazione della Canzone d'oltremare, esaltante glorie epiche e cristiane d'Italia, come più tardi per la parte che egli prenderà alla grande guerra; e non occorre dire che il consentimento e l'ammirazione si originano, (13) L'Itali-e, 8 juin 1903. (l<I} La disinvoltura di Gabriele d'A11111w:::.inod,l"Alt'neo, 20 giugno 1903. (25) Lettera :111.i march. C. Honorati Colocci, Roma, 8 febbraio 1908 (incdiL:a).

SALVADOR! E D'ANNUNZIO nel Salvadori, da diversa fonte e traspariscono di altra sincerità. Nel messaggio mandato al rifugio di Arcachon era invocato, inoltre, l'interessamento <lei poeta al successo di un artista: occasione forse della lettera, seconda di quelle rintracciate (e che si trova, significativamente, come le altre, tra i non copiosi avanzi dei carteggi Dannunziani anteriori al tempo del ritiro sul Garda). Roma, 20 Ottobre 91 1 Caro Gabriele Ho scntiro con gioia l'accento, in te non nuovo ma nuovamente sentito, della tua Canzone d'oltremare. Tu sai che altro io non ho desiderato per te che sentirti uomo e poeta virile, e che da te poeta non è aspettato se non il verso che solleva e che co11sola. E' giunta l'ora ? Il primo di giugno pubblicai sulla Nuova A1110/ogi11 una lettera in versi, che già t'avevo mandato privatamente dopo il Poema Pa,·adisiaco. Prima d'ora non ho saputo dove indirizzartela così stamp:Ha. Perdonami se non te ne chiesi prima licenza, ma sapevo che quelle parole a te non erano spiaciute, e il tempo mi mancò. E veramente ho fiducia che una parola del cuore d'un antico amico, anche in questa forma non ti riesca sgradita. Permettimi ti dica una parola anche per un nostro artista, Norberto Pazzini, paesista di forma eletta e di sentimento ingenuo cd intenso; che ultimamente da M. Henri Breuil ha ricevuto per l'Union int~mationale des « Beaux Arts et des Lettres » di /aire u11e11voida11s le méme esprit que le !vfysrère de Tivoli, (quadro da lui presentato altra volta) d'u11 si beau caractère. So che il tuo nome è il primo nel Comitato d'onore di quella Unione. Per questo oso rivolgerti una preghiera a favore di questo gentile artista padre di famiglia onestamente povero, se tu potessi agevolare la vendita ùi qualche suo quadro per una collezione privata o per un negozio. Perdonami, ripeto; ma credo di non essermi ingannato pensando al luo cuore. Il tuo sempre memore GIULIO S.-.LVAOOlU Circo Agonale, 14 Ma dalla grande guerra egli sperò soprattutto la rinascita del poeta the si era fatto soldato, dopo avere sinceramente ammirato la sua generosa partecipazione a imprese ardite e rischiose. In un'altra lettera, scritta nel triste autunno del '17 e mostrata a un amico, si rallegrava con il combattente del suo amore di patria e della sua condotta al fronte. Gli clichiarava che la guerra era una purificazione e che oramai occorreva dare agli altri esempio di fortezza e di rinunzia. Con tono affettuoso e ingenuo, gli chiedeva in fine perdono di avergli dato una volta un libro infame di Théophilc Gautier, che desiderava fosse a lui reso o distrutto<••>. L'ultima lettera, di cui è stato felicemente rintracciato il testo, venne (26) Lucul\O GESNAlll, G. S. un poèu de l'/mmilité, nel suo volume L'ltalie qui vieni, P,uis, Tallandicr [1929], pp. 40•41. U contenuto della lettera, non ritrovata nd1 testo, è riferito lttter:1lmcn1e da questa testimonianza. ·

NELLO VIAN indirizzata al d'Annunzio al tempo dell'impresa lì.umana; e si accompagnava ad altra, rimasta fì.nora sconosciuta (quella del '17, non prima mandata, o più probabilmente una posteriore, della quale non resta traccia). Per questo riferimento, il suo contenuto non risulta chiaro; ma evidente è, ancora una volta, l'intento tenacemente perseguito dal Salvadori, con una azione .ilimentata dalla carità e sorretta dalla speranza. Roma, 24 marzo 1920 Caro Gabriele Lascia che ti giunga una p;irola dell'antico tuo compagno, che non t'h.t mai dimenticato. La ]ettera che hai qui, unita a questa, io non avevo finora osato inviarla; ma ora l'invio, e spero che sia accolta da te, dal tuo cuore, come viene dal cuore. 1?. una piccola cosa quella che ti chiedo; ma ess.1dice che, qualunque sia l'esito di questa tua ultima impresa di guerra, ti rimane ancora una via luminosa, dove, col tuo co-- raggio e la tua cosrnnza, puoi fore dei p:1ssicominciando, da te, e una Mano potente e pia ti può far arrivare al termine, alla gloria vera e alla pace. Possiamo cancellare, vincendo il male col bene, le orme lasciate scrivendo e facendo cose che avviliscono l'umanità e distruggono la virtù voluta dalla libertà, dalla patria; confessare il male fatto col coraggio cl,c è maggiore d'ogni altro è segno di grandezza vera. Possiamo ottenere quello cl,c cl,iedeva dal fondo del cuore il poeta eroe delle nostre prime guerre per la libertà, Alessandro Poerio: Dammi un dolor di fuoco che purghi ogni sozzura dall'anima, che loco non bsci ad altro ardore. Come vedi, c'è chi, non solo ti ricorda, ma ti vuol bene; e ti dirò che non io solo, ma con mc anche i miei fratelli (ricordi Olinto ?) ed amici hanno goduto d'ogni tuo atto generoso e bello. T'abbraccia di cuore il tuo Grnuo SALVADORI Più tardi, quando morì Eleonora Duse, consegnò a un amico perchè lo portasse al d'Annunzio questo biglietto: « Affi.do a lui il mio saluto per te, che ti mando dal cuore per la vita fugace e l'eterna. Sempre a te affezionato e sincero amico Giulio Salva<lori » (,7>. Ma il cerchio dell'incantamento estetico e vano, purtroppo, non si spezzò più, fino alla morte. Non restò al fedele amico cristiano, che pregare e sperare, forse negli ultimi anni serbando il silenzio. A persona che gli chiedevà di fare giungere a lui l'omaggio di un libro, promettendo che si sarebbe adoperato, lamentava che egli fosse « avvinto d'una corda difficile a strappare». Ma aggiungeva subito: Clama, ne cesses, ad Deum <''>. E ad al~i, parlando di un suo magniloquente ma altrettanto irriverente (2i) Il biglietto fu affidato a don Gio\'anni Minozzi, che non ebbe tutt.:ivial'animo di portarlo. (28) Lettc.:ra:il p. M. Cantalini, O. P., Roma, 19 gennaio 1923 (inc.:dirn).

SALVAOORI E D'ANNUNZIO messaggio ricordante, ahimè, i capelli di Lucrezia Borgia, citò il duro detto paolino sull'uomo animale che più non intende le cose dello spirito di Dio. Lo stimolo che urgeva il Salvadori, in quell'ultimo tempo, di « rendere testimonianza alla Verità», secondo l'espressione giovannea che allora amava ripetere, lo indusse a deplorare con energia la intrapresa edizione nazionale delle Opem om11iadi Gabriele d'Annunzio. Lo fece scrivrndo privatamente a Pietro Fedele, ministro della pubblica istruzione e a un tempo presidente del consiglio di amministrazione dell'istituto editoriale, col quale era in rapporti di amicizia, in occasione di una « conversazione» che, come esaminatore alla licenza liceale di quel! 'anno, avrebbe tenuto sullo svolgimento dato dai giovani al tema assegnato: san Francesco d'Assisi <• 9>. « Parlando dei varì modi e delle luci differenti nei quali dai giovani si considera s. Francesco, non si può, da chi sente verso gli alunni a noi affidati il dovere della verità, tacere sul modo dannunziano, non manifrHarne la falsità. Non si può omettere di dire, e sia pure velatamente come si conviene ai giovani, che quella adorazione di sè, e quella impudicizia demoniaca, sono una peste orribile diffusa da quell'uomo e dai suoi pari e seguaci che produce piaghe fetide e intime deformazioni e corruzioni tanto più celate quanto più profonde; e così si guastano le generazioni e si tradisce la patria. Or come dire questo apertamente, dopo la glorificazione fatta dello scrittore niente meno che con l'edizione nazionale delle sue opere - onore che è stato dato solo a Dante e a Galileo?»<,•'. Aggiungeva in altra allo stesso, che aveva recentemente dettato una circolare sul contegno delle insegnanti: " ... Ma come si può raccomandare la modestia alle giovani insegnanti nelle scuole, come si provvede all'educazione civile e virile dei giovani, alla difesa della patria, con esempi di corruzione, con lenocini d'un'arte meretricia, d'una depravazione ignominiosa, d'un'impudenza e crudeltà che calpesta la donna dopo averla avvilita, come quelli che offre nei suoi volumi d'Annunzio, se questi vengono alla luce col sigillo dello Stato come prezioso patrimonio nazionale ? Vorrei vi fosse modo d'impedire il già fatto; ma come ? » u•>. La difesa dei giovani dalla corruzione dell'arte Dannunziana ha fatto scrivere al Salvadori quelle durissime condanne; ma il sentimento verso la persona, anzi l'anima di lui, non mutò fino all'ultimo. Egli, che fino dalla prima giovinezza a·veva stimato « giusto ma severo » il ritratto del (29) Riprodot1:1 nd volume Lei/ere aperte, cit., pp. 2,6~39. (30) D:1minut:1 di kttcr:1. prob:1bilmentcnon ~pcdit 1, :, Pietro F(xlck. ~. d. I 1,p6j (innlita). (J•l D:i. minuta di kttcr:1 ,1 P. Fcdl'k, 30 giugno 1!)27 (inc<lit:1).

NELLO VIAN d'Annunzio fatto da Guido Mazzoni in Poeti giovani (1885), amava ripetere che l'antico suo compagno aveva il « cuore buono »; aggiungeva che era « debole », nè lo aveva sorretto un alto e puro amore di donna. A guella parte veramente segreta e ai più ignota della sua anima,. egli tentò per suo conto di penetrare, guando posava un poco la bufera del piacere e della gloria, e ne sorgeva, acre, la tristezza. Con immagine che pur dice la riverenza, lo chiamava finalmente « un bel tempio profanato » CJ>>. Questi il sentimento e l'azione spirituale di Giulio Salvadori per Gabriele d'Annunzio. Ma guale sia stato l'animo di guesto per il primo, particolarmente dopo l'episodio della Laus vitae, resta, come si è detto al principio, oscuro. In silenzio si mantenne con una specie di irritata ostinazione, tanto più singolare in lui, scrittore prodigo di lettere. Quasi a:Ja vigilia della morte, il Salvadori lo confidò a un amico: « ... da una trentina d'anni a guesta parte gli ho scritto alcune volte per dirgli certe verità che credo nessun altro abbia avuto il coraggio di dirgli, e anche per confessarmi d'avergli nella sua gioventù anch'io fatto del male. Non mi ha mai risposto. Non so guindi con che occhio mi guardi ... » <33 l. Tacque anche quando, nell'ottobre del 1928, gli fu partecipata la morte del sodale della prima giovinezza, e gli fu trasmesso un ultimo segno del mo ricordo, fedele in guesta vita e nell'eterna. Quando le figure morali di Gabriele d'Annunzio e di Giulio Sa!- vadori saranno meglio note~ si potrà misurare il significato più generale che ebbero nel loro tempo le dissimili e addirittura opposte esperienze di vita, rappresentanti quasi per simboli il contrasto antico e nuovissimo tra paganesimo e cristianesimo, tra umiltà presa come norma essenziale pratica e orgoglio tenuto come principio unico di azione, tra rinunzia assoluta e lussuria insaziata, tra povertà intima e vanità fastosa. Il cristiano eroico, nella carità alimentata fino all'ultimo dalla speranza, non · cessò di tendere al fratello lontano le braccia, levando per lui la preghiera e il sacrificio dell'espiazione al Padre che sta nei cicli <3•>. NELLO VJAN (p) D:1 ricordi comunic:ai lbl clott. Giulio \;.-irc:rni. (H) Lcttcr:1 :ul Agostino F:mori, Mibno, 11 gt:nn:1io 1928 (inedita). C.;-1) Le lettere inedite <ii Giulio Salv:1dori che si citano wno conservate quasi tutte nclb Ilibliou:ca Vaticana. In 9ucsto articolo è in parte incorporata J.:-i brc\'c introduzione che ho scritta nd cit. \'olumc 1--elterc aperu. per guclb A Gabriele d'A11mwzio.

LA f IN E DEL MACH I A V EL LI SMO < 0 1. Il machiavellismo di Machiavelli. - È come filosofo e dal punto di vista dell'etica politica che vi proporrò qui le mie riflessioni sul machiavellismo. Non ignoro che pensatori illustri, in Italia come in altri paesi, considerano Machiavelli come il padre della moderna scienza della politica, e non ho alcuna intenzione di contestare simile opinione; mi sento piuttosto portato a domandarmi se la scienza moderna della politica merita veramente il nome di scienza politica o di saggezza politica. Machiavelli, secondo me, ed è questo che fa la sua grandezza, ha detto la verità su ciò che fanno gli uomini. Ma tra ciò che gli uomini fanno e quello che dovrebbero fare - intendo per fare una buona politica -- c'è una differenza notevole; e credo che Machiavelli, pur dicendo la verità su ciò che fanno il più sovente i principi e gli uomini di Stato, ha indirizzato nello stesso tempo la scienza politica e la filosofia politica su due vie radicalmente sbagliate. Non è detto infatti che ciò che .fanno il più sovente i principi e gli uomini di Stato sia una· buona politica, come non è detto che ciò che fanno di solito gli uomini nella loro condotta morale privata sia una buona condotta morale. È dunque il machiavellismo che ho intenzione di esaminare in que5to saggio. Per quanto riguarda Machiavelli sono necessarie alcune osservazioni preliminari. Gli sono stati consacrati innumerevoli studi, di cui alcuni ottimi. Nel XVI secolo Giovanni Bodin ha criticato il Pri11cipe con acume e profondità. Più tardi Federico il Grande di Prussia doveva scrivere una confutazione di Machiavelli per esercitare in maniera ipermachiavellica la sua ipocrisia e proteggere il suo cinismo col mantello ( 1 ) Quc.:stostudio è s.tato scritto in inglese ed è apparso nclb Revieiv o/ Politics, J:rnuary, 1942. F.r:i stato prcsentnto in formo. :1bbrcviata per la discussione su c1 J,l posto dell'etica nella scienza sociale >1, tenutasi in occasione delle feste dei cinqu:rntcn:trio dcll'Uni\ 1crsità di Chicago, il 26 settembre 1941: Presidente John U .. tcf. G1i altri oratori er:100 il Presidente R. M. llutchinson, R. H. Tawncy e C. H. Mcllwain. Un::itraduzione fr:inccsc è st::ita pubblic::ita in Now et Vcterll, Rc11uccatholiquc pot1r !t1 Suisse romande. :1prilc-giugno 1942, e raccolta nel rnlumc: Priuàpes d'une politiquc lr1111umis1e, F.ditions dc- la Maison fr:rnçaisc, New York, 1944, pp. 173 ss. Nel prcsrmc :inicolo, :il tcsw origin:ilc sono st:itc ::ipporl:itcv::iric::iggiuntce corrczi0ni.

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