il Potere - anno I - n. 3 - settembre 1970

Settembre 1970 il POTERE pag. 3 111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111 - - GENOVA Centro destra • ID Liguria ORA sono tutti contenti: la re- REGIONE gione è fatta, con un centro– destra concepito a Bavari, dal « re » e dal « luogotenete », e par– torito a Torriglia dal clan dei Machiavelli. Ma quanta fatica I Persino il 15 settembre, quando ormai s'erano messi d'accordo, è arrivata la folgore dell' imprevi– sto. E l'imprevisto ha un nome e un cognome: Corradina Zanazzo Sentiremo ancora parlare di que– sto socialdemocratico dal nome svevo, detto anche il « falco di Imperia » perché è un po' più a destra del senatore McCarthy. 11111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111 L'urbanista sono Ine Pochi personaggi, ancorché qualificatissimi, non hann.o il diritto di imporre alla città il piano regolatore NEl!LA ridda di prese di posizione, spesso aprioristiche, che alcuni anni addietro seguirono la presentazione di un elaborato preliminare al nuovo piano re– golatore genovese, un elemento negativo fu costituito dalla difesa ad oltranza del– l'operato della commissione redattrice da parte di forze politiche e sociali avanzate. ile proposte della commissione Asten– go costituivano Indubbiamente, sul pla– no tecnico-urbanistico, un salto qualita– tivo rispetto all'assurdo plano regolatore vigente ed a qualcuno poteva anche sem– brare che Il respingerle favorisse gli In– teressi speculativi legati al perdurare del piano In vigore. Tuttavia ben altre erano le motivazioni a cui si richiamavano quel– le forze politiche e sociali che, nulla aven– do a spartire con la speculazione, non potevano approvare Il lavoro di Astengo. Due cl paiono preminenti. Una, in preva– lenza tecnica, consisteva nell'inaccettabi– lità di un discorso pianlficatorio limitato al territorio comunale. La seconda, dl ca– rattere polltlco-sociale. consisteva nel fat– to che la commissione aveva operato co– me se Il piano regolatore fosse determi– nabile •dall'esterno•. soltanto In chiave tecnica, senza approfondimenti e scelte tali da coinvolgere direttamente il corpo sociale a tutti I livelli. Le polemiche che seguirono causarono peraltro effetti positivi in entrambe le direzioni. Nel dicembre 1967, in sede di appro– vazione del programma quadriennale di sviluppo, dagli interventi del sindaco ed In genere dalla discussione in consiglio comunale fu ben chiaro - almeno cosl ci era parso - che la pianificazione urba– nistica a Genova si sarebbe realizzata am– pliando le prospettive ad altri interessi e territori. oltre a quelli comunali genove– si, e determinando scelte ed indirizzi me• dlante un colloquio con la città. Colloquio che avrebbe dovuto coinvolgerla In tutte le sue componenti, renderla partecipe e mobilitata per individuare scelte e solu– zioni accettabili dei grandi problemi che nel fatto urbanistico si sintetizzano. In sostanza, sembrava si fosse capito - per dirla con Hazon - che, per dare serietà e realismo al discorso urbanisti– co, occorreva rovesciare la impostazione tecnicistica e verticistica, agendo dal bas– so, risalendo alle cause più profonde, sol– lecitando la consapevolezza critica di stra– ti sempre più larghi di persone, per far assumere al discorso sulla città forza di popolo capace di determinare riforme ef– fettive. Tuttavia Il tempo dilul quelle imposta– zioni, ed il discorso del piano metropoli– tano per Genova rimase patrimonio di • raffinati • ambienti culturali e di ristretti circoli politici. Oggi si tenta di giungere alle conclu– sioni preliminari alla stesura vera e pro– pria del piano in modo Inaccettabile. Al– cune commissioni di tecnici, molto qua– lificate, hanno redatto un documento di sintesi del criteri e delle scelte che do– vrebbero essere alla base del nuovo pia– no regolatore. Con una sollecitudine resa sospetta dalle scadenze elettorali, esso è stato presentato al consiglio comunale di Genova che, nonostante le richieste del– l'opposizione su che cosa ne fosse stato del dialogo con la città, ha votato un ordine del giorno con cui si invita la pub– blica amministrazione a • concludere • li colloquio con la città ed a passare solle– citamente alla stesura esecutiva del plano. In sostanza, a parte un'eventuale di– scussione in sede di comitati di quartie– re e di delegazione ed un confronto con il vertice dei sindacati e di altri organi– smi più o meno rappresentativi, che da come è stato awiato non può essere che formalistico, lo spirito critico della mag- gloranza consigliare genovese sembra av– viato ad accettare di fatto, quasi senza discussione, le proposte dei tecnici. Non è nostra Intenzione soffermarci In questa sede sul contenuti del documen– to che ci trovano, in più punti, dissen– zienti: avremo semmai occasione di far– lo In seguito. Cl preme Invece approfon– dire Il discorso sul)'aspetto partecipativo e rappresentativo. La prima osservazione si ricollega al– l'importante acquisizione del concetto di area metropolitana genovese compren– dente numerosi comuni della provincia e fuori di essa, emerso già al momento della formulazione del programma qua– driennale, specie in sede di organi politici. 1 La proposta di plano metropolitano, che coinvolge molte autonome realtà comuna– li, è stata portata in consiglio comunale a Genova senza che in alcun modo tali realtà siano state sentite. Per contro il contiguo plano Intercomu– nale di Savona, in questi giorni giunto alle conclusioni operative, già all'Inizio degli studi aveva posto alla sua base la assemblea degli amministratori dei comu– ni Interessati, con rappresentanza di mag– gioranza e di minoranza. A Genova, invece, la forma operativa prescelta sembra essere la delega (si fa per dire) al capoluogo da parte dei co– muni minori e la loro successiva adozio– ne del piano. Tale sistema (del resto già sperimentato altrove, però su esplicita delega dei comuni minori) potrebbe anche essere accettato, ma soltanto se scatu– risse dal democratico confronto dei legit– timi rappresentanti di tutte le popolazioni interessate, anziché da un'operazione ver– ticistica del comune dominante. Sono con– siderazioni a cui non può sfuggire neppure la futura legislazione regionale in materia urbanistica, alla quale il documento pare rimandare come a scusare chi, nel frat– tempo, avrebbe potuto e dovuto battere la strada della ricerca del consenso me– diante un colloquio aperto alle rappresen– tanze delle aree comprensoriali. La seconda osservazione riguarda più propriamente il colloquio con la popola– zione che avrebbe dovuto costituire per I tecnici l'occasione di •sentire• la città prima di tradurre I problemi in elaborati. Al contrario, gli attuali colloqui a po– steriori, anziché consentire. di accogliere sin dall'inizio I possibili contributi, avran– no di fatto soltanto un valore informativo ed il lavoro compiuto sarà modificabile solo marginalmente. ile scelte meramente tecniche possono anche essere giuste, ma la città ha, al li– mite, anche il diritto di • sbagliare • sce• gliendo su se stessa e per se stessa, e pagando essa stessa, purché lo faccia con approfondimento e conoscenza. esercitan– do il suo diritto alla partecipazione. Cinque o sei personaggi, tecnici o poli– tici che siano, ancorché qualificatissimi, ancorché capaci di formulare soluzioni •giuste•, non hanno invece alcun diritto di imporle. Ma, la responsabilità di ciò non è certo dei tecnici che come tali assol– vono al loro compito, bensì delle forze politiche e delle loro rappresentanze. Per rendere autentico il colloquio con la città, per permettere ai cittadini di as– sumere le proprie responsabilità, esse do– vevano inventare, anche a costo di sba– gliare, forme idonee di mobilitazione po– polare, di rapporti con l'associazionismo e con i gruppi sociali, di assemblee quali– ficate. Ciò non si realizza certo contrabban– dando per colloquio con la città una sem– plice discussione a livello degli attuali « comitati di quartiere •. Nessuno più di noi crede che il • quar- bibliotecaginobianco tiere • possa essere valida sede di par– tecipazione e di democrazia. Ma non pos– siamo accettare che si facciano passare per rappresentative, di fronte ad un im– pegno di tal genere, assemblee esclusi– vamente costituite non dalle genuine espressioni delle realtà di quartiere, ma da sottoprodotti degli attuali esausti par– titi politici. Nessuno nega che la discussione in tali sedi debba awenlre, ma ben altre sono le forze • deterrenti • da mettere in moto nella città, capaci di contribuire ad espri– merla, nel momento In cui essa, con l'as– setto urbanistico, deve individuare auto– nomamente li proprio ruolo e formulare le previsioni relative al proprio futuro. !L'incapacità di rapportarsi con tali for– ze, di coinvolgerle in una analisi dei pro– blemi cittadini e In una sintesi operativa, Indica I limiti di una classe politica. D'altro canto non ci siamo mai attesi dall'ex assessore all'urbanistica una sen– sibilità particolare al problemi della diret– ta partecipazione civica e della democra– zia di base. Né riteniamo che la • vec– chia guardia • della camera di commercio, di cui In questi giorni si parla, sia in grado di favorire una valida partecipazione po– polare alla pianificazione urbanistica. Ugo Signorini Dunque questo Zanazzo - uno dei « magnifici tre » del Psu alla regione - ha fatto le bizze (e che bizze!) perché riteneva, forse non a torto, d'essere staio bugge- rato da Lapi: « Ivo tu m'hai ven– duto il Colosseo », pare abbia gri– dato, aggrappato ad una manto– vana come Francesca Bertini, nel– la sala delle riunioni di piazza Dante. Vediamo di metterci nei panni VECCIII E NUOVI EQUILIBRISMI ILGIOCO DELLE PARTI ,Pubblichiamo questa nota di A. Canepa, capogruppo consigliare del Psi alla regione, che pun1ualizza i1 quadro della situazione regionale ligure. S TUPJSCE la rapiditàcon cui i11 Liguria invecchianoanche le cosepiù nuove, l'abilità co11cui i gruppi di potere locali eludono i ferme11ti,le energie, gli stimoli che provengono dalla società civile. Prima delle elezioni, ad esempio, ho parlato co11molti uomini politici, sia del centro-sinistra.che delle opposi– zioni. Molti mi avevano dato l'impressione che la regione costituisse anche per loro l'occasione di un ripensamento. Alcuni indizi inoltre accendevano la spe– ranza di w1 nuovo modo di fare politica. in una nuova impostazione dei rapporti fra istituzioni e società. Ci si aspe/lava che u11nuovo modo di esercitare le fun– zioni di governo e quelle di opposizione facesse capolino nei vertici regionali dei partiti; soprattutto in chi - con maggiore o minore convinzione - aveva partecipato alle battaglie regionaliste,rendendo tutti più aperti alla ventata di aria fresca che una riforma co11cessa con mano un po' esitante e parsimoniosa poteva gettare tuttavia sulle strutture napoleoniche che ancora ci reggono. Rispetto alle attese, le prime vicende post-elettoralinon sono confortanti. Amministratori cristallizzati da decenni di esperienza spesso frustrante, medi e gra11dinotabili assisi su più o meno solide clientele, hanno ripreso i traffici di sempre, quei giochi di vertice che costituiscono l'attività primaria di certo nostro mondo politico. Le strutture dei partiti hanno scricchiolalo,è vero, di fronte alla tensione creata dai nuovi compiti della realtà regionale, ma le fobie tradizionali !tanno ripreso gradualmente il sopravvento: paura dell'intel– ligenza e del movimento soprattutto, paura del dibattito politico franco e pub– blico, di u11contatto sociale non deformato dall'ottica stravolgente del rapporto clientelare, paura dei nuovi tecnici che si affacciano alla vita pubblica, paura di perdere il favore del capo, paura di far partecipare alle decisioni settori più vasti di popolazione, paura di dire a voce alta quello che tutti pensano, e soprattutto - credo - paura di essere giudicati. Una classe politica che spesso non ha saputo intrattenere col mondo eco– nomico altri rapporti che quelli di una sterile compiacenza, senza accorgersi nemmeno delle reali esigenze di collaborazione che prendono campo in quel settore; che alle richieste di partecipazione, molte volte alla semplice curiosità dell'opinione pubblica, risponde co11 forme di passionalismo ottocentesco; che di fronte ai problemi che si affastellano, irrisolti da chi governa e ingarbtl– gliati da chi si oppone, reagisce con fughe in avanti stupefacenti o con miti consunti: la pseudoprotesta per le persecuzioni di cui Genova sarebbe vittima, u11asorniona demagogia che fa leva sulle apparenze del buon senso, il gioco delle parti fra quelle contrapposizioni «frontali» che da anni curiosamente sopravvivono agli scontri apparenteme11tepiù cruenti. Questa galleria di ritratti di famiglia solo wt po' ingialliti dagli anni, a volte scrostati da qualche colpo 11011 attui/o in tempo, questo concerto di voci un po' arrochite per il numero record delle repliche, costituirebbe un pano– rama veramente desolante se... se non ci fossero molti «se»: se a incorag– giare il mutamento, a renderlo forse inevitabile, non premesse una realtà sociale non più disposta a farsi incapsulare negli schemi consueti; se gli scricchiolii che appena si odono nei partiti non fossero i11realtà ciò che si comincia a percepire di una base politica che intende sempre meno abdicare al proprio potere di iniziative e di decisione; se il mondo imprenditoriale 11011 fosse attraversato da fremiti i11novatori;se il prepotente lievito dell'autonomia non avesse dato ai sindacati nuovo slancio; se i nuovi tecnici non comincias– sero a chiedersi il perché della. loro esclusione; se, infine, da questi e altri settori non si levassero «antenne» che. comunicando tra loro e con l'opinione pubblica, non registrasserocon puntualità il logoramento delle stesse tecniche di gestione del potere, impianti in via di obsolescenza. Dalla possibilità che si offre a queste «antenne» di esprimere, insieme a una nuova cultura politica, anche un nuovo gruppo dirigente dotato di peso effettivo, dipende il futuro di questa nostra regione, tuttora irt bilico tra progresso e reazione. Antonio Canepa del povero Za11azzo. Lui, il Corra– dina, è l'esponente della destra im– periese (Olio & Affini) che ha condotto in porto un'abile azione per procurare al partito impor– tanti appoggi editoriali. Imperia è una buona riserva di voti: in– somma il bravo Corradina 11011 meritava di diventare assessore? Sbattuta la porta, l'ira provincia– /e minaccia di mandare tutto al– l'aria. Dagnino passa un'ora ter– ribile: a Ge,iova come a Roma la rupe tarpea sarebbe dunque a due passi dal Campidoglio? Per fortuna, confuso in sala, c'e– ra il «luogotenente», che ha im– provvisato trattative immediate (dato il suo successo quale «lega– to plenipotenziario», si dice che lo zio gli abbia regalato un tavolo da pic-nic pieghevole, per intavo– lare trattati>1e anche in treno e in aereo). E così, per il povero Corradina, è andata male. Lui s'è offeso mol– tissirno e se n'è andato, furibondo. Lo hanno seguito con lo sguardo umido Pastorino e Canepa, che per un attimo hanno sognato il rovesciamento della situazione, con lo sguardo iniettato di san– gue Casassa, Ferrari e il senato– re Di Benedetto, con lo sguardo mesto i repubblicani Persico e Ba/fico, i quali, visti da lontano, così tristi, rievocavano una coppia antica: Don Chisciotte e Sancho Pancia dopo lo scontro con i mu– lini a vento. Ma anche la regione ha uno stellone: esso è brillato improvvi– so sulla nuova giunta: le tensioni si diradavano, finalmente Genova ritrovava i suoi dogi. La nascita dimessa copriva l'evento storico. La provincia, defraudata nel Psu, risplendeva nella Dc, il partito che ha preso il vertice e le briciole del potere. Dedichiamo un pensiero ad uno dei vincitori del tour de farce: En– rico Chio, che smette i panni del presidente per rivestire quelli del– l'assessore: di potere in potere. L'onorevole Chio è notoriamente un personaggio dalla battuta fa– cile ed estrosa. Quando, durante la campagna elettorale del 1968, de– putato uscente, doveva misurar– si con un candidato così chiara– mente entrante come Checca Cat– tanei, che era appoggiato dallo zio Giorgio Bo, ministro delle par– tecipazioni statali, si presentava così: « permette, Chio, candidato senza zio». Lo zio ora Chio ce l'ha. Il « re» di Bavari ha adoltato in blocco la corrente lucifrediana. La regio– ne è stata il luogo pubblico di questa adozione: su quattro asses– sori dc, tre sono scelbiani: Acer– bi, Chio, Verda. Il consigliere Ruffino, ex-centrista neo-ca/ tanéo, viene dato per capogruppo con– siliare. Nei carrugi di Mura di S. Chia– ra si delineerà ora la prospettiva di un rapido rimbalzo di cariche. Dagnino lascia Montecitorio e « passa » dunque a Spora; ma· pa– re che Spora rilanci. In quest'ora degli dèi locali forse preferisce es– sere primo a La Spezia che enne– simo a Roma. Chio si rivede of– ferta dal partito la medaglietta ma/toltagli: ma se Chio riprende, lascta vacante un assessorato. Al– lora l'establishment, « re» e « luo– gotenente » in testa, offrirà a Pa– storino l'assessorato della pace? Forse no. C'è la Massardo, « nei secoli fedele », perché non onora– re una lunga obbedienza con un pubblico fasto?

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