il Potere - anno I - n. 3 - settembre 1970

MENSiiLJE - CA!SEL!JA POSTA'.LEd665- 16100GENOVA Mao none'era a Val/ombrosa IL convegno di Vallombrosa rap- presenta per le Acli la prima tappa di un lungo cammino in cui sono stati raggiunti, almeno formal– mente, i concetti di « collocazione di classe » e di « scelta soci ali– sta •. Non è invece un termine nuovo quello di • autonomia », su cui pure insiste la relazione Gaba– glio. Diciamo subito che è da questa autonomia che si deve partire per valutare gli aspetti positivi del convegno. Il pubblico carattere cri– stiano che il movimento aclista assume non gli impedisce di dare una valutazione originale della realtà storica, di cercare di espri– mere una propria visione del mon– do, della società e della politica che sia in qualche modo qualifi– cante e normativa per il movimen– to. Le Acli hanno avuto il merito di vanificare quanto restava del– l'unità politica dei cattolici: una formula vuota e priva ormai di senso. visto che un governo a di– rezione democristiana ha già ac– cettato di rimanere in carica an– che se i suoi alleati voteranno in parlamento il divorzio. un lato e tutto il tessuto etico dei rapporti umani dall'altro. Le strutture produttivistiche e consumistiche distorcono e metto– no in crisi tutta la comunità: non solo la classe operaia, che peraltro ne paga lo scotto maggiore. Tutta la comunità sociale è oggi oppres– sa dalle strutture della società tec– nologica in cui si convogliano e si rinnovano le forme più antiche di oppressione. Ridurre, quindi, la contestazione del sistema e dei suoi centri di potere al problema della proprietà privata dei mezzi di produzione e del conflitto di classe costituisce una singolare limitazione d'orizzon– te. Il Gabaglio, ad un certo punto della sua relazione, valorizza la proprietà pubblica in una econo– mia capitalista: il che rimanda più a Lassalle che a Marx. Ed è certamente, oggi, una tesi singo– lare, suggerita più dalla tattica che dalla coerenza. Non a caso il pre– sidente dell'lri era fra gli invitati illustri di Vallombrosa. La riduzione d'orizzonte è tanto più singolare in quanto le forme rivoluzionarie prevalenti sono, in realtà, oggi, post-marxiste. E so– prattutto post-classiste. Basta pen– sare al maoismo. Ci si è dimenti– cati che il nome stesso della isti– tuzione di base scelto da Mao, le comuni, si riferiva ad un'esperien– za non classista: la comune di Pa– rigi. Basta leggere il saggio di Mao « sulla giusta soluzione delle con– traddizioni in-seno al popolo » per vedere quanto il leader cinese sia lontano dal classismo in senso stretto, che ora le Acli fanno pro– prio. Ladimensione internazionale del– la lotta politica, poi, comporta una risposta popolare e nazionale: il contrasto tra mondo sviluppato e sottosviluppato non può essere e– spresso nei termini della lotta ri– voluzionaria come lotta sociale del proletariato. Ciò del resto era già implicito nel saggio di Lenin sul- 1 'imperialismo. PER questo la risposta aclista ci pare in ritardo sul corso della storia. Se le Acli avessero scelto di essere l'ala marciante della dottrina sociale cristiana in termini più fedeli, più autentici e più originai i: se avessero eserci– tato in modo più creativo I'autono– mia e la maggiore età conquistate, avrebbero svolto un migliore ser– vizio sia verso la Chiesa che ver– so la società. Esse sembrano ritenere, invece, che la prova dell'autonomia sia co– stituita dalla loro conformità alla cultura dominante. Hanno ritenuto di formulare una totale critica al capitalismo rinunciando però, a quanto pare, alla critica cristiana del mondo moderno nel suo com– plesso. Ma la realtà non è riducibile al– le ideologie. Auguriamo perciò che la nuova fisionomia delle Acli, con l'assunzione di precise responsabi– lità in prima persona, si riveli più ricca di novità e di prospettive per la società italiana di quanto appaia dal linguaggio di Vallombrosa. Bruno Orsini Sped. abb. post. gr. III (70%) - Anno I - N. 3 - Settembre 1970 - L. 100 ,..,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,~ ~ : I Donat Cattin I I e il potere I - - ~'''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''~ Q UALCUNO ha attribuito al nostro foglio un rapporto di infeudamento al gruppo politico che fa capo a Carlo Donat Cattin. E' proprio vero che « le parole sono pietre », se il loro significa– to viene così disatteso: abbiamo, infatti, esplicitamente dichiarato la nostra indipendenza dalle cor– renti e dalle sottocorrenti. Non siamo l'« organo», nemmeno uf– ficioso, di alcuno. Premettiamo questo perché è nostro intendimento commenta– re 'l'intervista sulla riforma sani– taria che i•l ministro del lavoro ha concesso, 1'8 settembre, a-Jla « Stampa » di Torino. Non abbiamo difficoltà a so– stenere che le cose dette da Donat Cattin sono di estremo interesse: non tanto per il contributo, in verità marginale, che arrecano a'l– l'analisi dei problemi tecnici con– nessi ad una moderna politica della salute, quanto per il tono spregiudicato e libero, esente dal– la consueta omertà ministeriale. Donat Cattin ha detto, tra .J'al– tro, che j,] suo ministero non di– spone neppure dell'elenco del'la miriade di istituti mutualistici operante in Italia di cui ha aper– tamente descritto il « grado di decomposizione », ha denunciato la concorrenza che esiste tra i partiti per i'! potere sanitario, ha detto cose giuste sulle regioni. RARA CHIAREZZA Egli ha ricordato, con chiarez– za rara tra i politici, che il cen– tralizzato Stato burocratico è di– ventato teatro di quella lotta di potere subdola e segreta che co– stituisce i,J contenuto rea'le della politica di oggi, persino di quel– la apparentemente riformatrice. Perciò, in polemica con Mariotti, punta sulle regioni come base della riforma sani tari a : infatti es– se, determinando un maggior li– ve'llo di partecipazione e di con– trollo popolare, renderano più ci– vili e pubbliche le scelte di poli– tica sanitaria. PRECISO SENSO POLITICO L'insieme dell'intervista, co– munque, al di là del suo oggetto specifico, conferma che la pecu– liarità di Donat Cattin sta, in gran parte, nel suo temperamen– to, così poco omogeneo al modu– lo prevalente in un partito che ha conosciuto così a lungo 'la ge– stione dorotea: egli conta, ogni volta, in ragione delle cose che dice e delle tesi che sostiene. Si muove con una visione d'insieme non rigorosa né esplicita, ma con senso politico preciso e con obiet– tivi sufficientemente definiti. Noi, che non amiamo il potere per il potere, abbiamo simpatia per le minoranze purché non sia– no conformiste, non abbiano no– stalgia della maggioranza, non facciano né attendano le strizza– tine d'occhi: non siano cioè mi– noranze malleabili. Nella Dc centristi - popolari e basisti sono stati spesso integra– ti nel gioco doroteo. I primi, nonostante potessero contare su uomini tendenzialmen– te non conformisti e liberi come Scalfaro e Lucifredi, sembrano aver perduto l'incisività dopo 'la sistemazione di Scelba e di Resti– vo e dopo analoghe operazioni a livello locale. SAN GINESIO E' per noi evidente che la dot– trina cristiana non è ancorata ad una determinata ideologia e che, in particolare, non assume la dife– sa di una determinata concezione del diritto di proprietà: essa si li– mita a respingere l'integrale statiz– zazione dei mezzi necessari alla produzione ed alla vita giudican– dola contraria ai diritti della per– sona umana. L'esercizio del diritto individuale alla proprietà e la de– terminazione dei suoi limiti vengo– no lasciati all'autonomia degli uo– mini ed al divenire della storia. Su questo punto gli aclisti hanno piena facoltà di dire quello che pensano senza essere per questo censurati sul piano dottrinale cri– stiano. Una cosa è la dottrina, una altra è la storia: anche se ciò non significa che esse debbano essere in contrasto. UN DISCORSO SULLA SINISTRA Ci spiace dirlo, ma ad una par– te della « base » sembra esser ac– caduto lo stesso. Può darsi che la presidenza del'la regione •lom– barda sia utile alle finalità ideali della corrente (avremo modo di dargliene atto) e compensi il suo silenzio e la sua perdita di auto– nomia politica: ma l'essere invi– schiati nelle faide di Avellino e ne'He operazioni di San Ginesio non è precisamente quello che ci si aspetta da una corrente rifor– matrice. L'esperienza del dossettismo Le Acli hanno il pieno diritto di essere anticapitaliste e di espri– mere questa loro scelta nel le for– me storiche che ritengono più op– portune. Non possono però sottrar– si ad un giudizio d'insieme sulla scelta che propongono. Non è nostra intenzione qui di– scuterne le forme particolari; vo– gliamo esaminare, invece, la visio– ne d'insieme che si riassume nella formula della collocazione di clas– se, che le Acli, al convegno, hanno rigorosamente ribadito. IN realtà, la frattura nel la società contemporanea è piuttosto tra civiltà tecnologica e comunità uma– na che non tra classe operaia e classe borghese. Il marxismo è stato un elemento importante del- 1 'autocoscienza storica, ma i suoi limiti dottrinali di sempre si sono ormai trasformati in gravi fattori di ritardo storico. Basta guardare i fatti per vedere che l'autentica contraddizione del nostro tempo si colloca tra un modello di società produttivistica e consumistica da LA sinistra cattolica si individua per il fatto che la sua caratterizzazione politica rimanda ad una precisa carat– terizzazione morale. Dove manca tale rinvio non c'è sinistra cattolica: ci so– no allora goffi travestimenti, equivoche commistioni. Perciò non possono con– siderarsi costitutivi di essa i movimenti di sinistra che, pur sorgendo nel qua– dro di organizzazioni cattoliche o di ispirazione cattolica, siano in realtà su– balterni di altre ideologie e altri movi– menti. Un autorevole esponente della sini– stra dc ha detto una volta che la sini– stra cattolica nasce dal superamento del– l'integralismo. Il perché di questo singo– lare atto di nascita non si capisce bene: anche l'ala destra dei cattolici potrebbe rivendicare, e a miglio,· titolo, gli stes– si natali. Vero è che l'onorevole dc, scambiando l'integralismo per soggezio– ne al potere temporale, è rimasto vitti– ma di un grosso abbaglio. Infatti, se per integralismo si intende, come è giu• sto, un'obbligante compenetrazione di politica e morale, bisogna dire che la si– nistra cattolica è necessariamente inte– gralista. E bisogna anche aggiungere che l'integralismo può stare solo a sinistra. Questa compenetrazione di politica e morale, nella nostra civiltà di tecnolo– gie, di masse e di consumi, può sem– brare a qualcuno nient'altro che un « re– siduo», scopertamente anacronistico. Ma è facile osservare che diverse frazioni della sinistra laica vogliono oggi legit– timarsi in un sistema di valori affanno– samente cercati, al di là della stessa espe- bibliotecaginobianco rienza storica, nelle congetture della « nuova antropologia»: che poi questa antropologia sia un grottesco e impro– babile miscuglio di marxismo e freudi– smo, rimesso in discussione da ogni nuo– vo «successo» dell'industria editoriale, è un altro discorso, sul quale semmai ci fermeremo - e ne varrebbe la pena - in un'altra occasione. In effetti, proprio nella tradizione in– tegralista la sinistra cattolica ritrova la propria originalità, le sue priorità, i più preziosi momenti di identificazone: la opposizione allo Stato giacobino, alla logica capitalista, al burocratismo di si– nistra (previsto dai cattolici prima che dai Michels e dai Weber) e l'impegno sociale. Soprattutto ritrova, nell'integra– lismo, l'atteggiamento etico e scientifico che le impedisce di confondere l'uomo concreto con l'uomo collettivo, le co– munità con le masse, il bene comune con il benessere comune, che del primo è una parte, e solo strumentale. La sinistra cattolica, dunque, non è solo tensione morale che si risolve e consuma nell'interiorità delle coscienze. C'è stata, ai giorni nostri, la prova del dossettismo, suggerimento ideale e azio– ne politica al contempo, l'una e l'altra consolidate parzialmente - malgrado tante resistenze - in scelte istituzionali e decisioni strategiche che diversamente gestite avrebbero permesso alla nostra società ben altri cambiamenti. Non oc– corre ricordare, del dossettismo, i contri– buti alla Costituente, le lotte per l'allar– gamento dell'economia pubblica e la po– litica di piano, per l'attacco al latifondo e l'istituzione della cassa per il Mezzo– giorno. E neppure la proposta di un dia– logo con altre forze popolari, svoltosi poi effettivamente, ma in modo distorto (con una copertura socialdemocratica che Dossetti rifiutava) e sotto il segno di un moderatismo ambiguo che ha sa– puto regolarmente convertire le sconfitte sui princìpi in personali vittorie. Ora è passato molto tempo, l'espe– rienza del dossetlismo è conclusa, ma il richiamo ad essa, alla sua alta temperie morale, assume nondimeno il valore di una concreta richiesta politica. L'espe– rienza di due decenni ha dimostrato a sufficienza che il sano senso pragmatico diventa facilmente spregiudicatezza e ci– nismo, che il distacco dai princìpi di fondo ha come contropartita il trionfo dei più sconcertanti personalismi su un fronte e una pericolosa crisi d'identità su un altro fronte: e che tutto questo ha il suo prezzo, a lungo o medio termine, nella sconfitta politica. Non è un caso che oggi il più alto po– tenziale di espansione appartenga a quel– le forze che hanno saputo presentare la loro politica come una morale. Perché i cattolici dovrebbero temere di far di– ventare politica la loro morale? Su queste c0se quasi ovvie si dovreb– be riflettere anche in qualche settore della sinistra dc, dove si è dimenticato che in fatto di « sano senso pragmati– co » i moderati sono insuperabili mae– stri: tanto è vero che proprio loro si preparano all'ultima apertura. Gianni Tamburri Donat Cattin ha acquistato qua– lità politiche salendo dai ruoli strettamente minoritari di uomo di partito alla più ampia tribuna che il ministero del lavoro gli ha offerto. Alla « Stampa» egli ha testualmente dichiarato: « Non me ne importa del potere. Mi fa ridere. Sbaglia chi mi confonde con i'l democristiano abituale che, se ha un feudo, non lo molla e lo fa rendere. Se dovevo fare politi– ca per collocare qualcuno che è amico di questo o di quest'altro, facevo un altro mestiere». Per verificare questa dichiara– zione non chiediamo a Donat Cattin di avere le dimissioni fa– cili né chiediamo falsi morali– smi: abbiamo visto che ci si può dimettere perché non si rinvia la data del congresso di Avellino. Ma gli chiediamo di dire 'la veri– tà, dalla tribuna in cui una ocu– lata amministrazione del suo dis– senso ed una buona dose di qua– lità e di temperamento lo hanno collocato. Preferiamo un discorso franco e libero, perché si sappia che non abbiamo né capi né padroni. De– sideriamo contribuire ad una po– litica giusta e legittima, senza esclusioni verso nessuno, con li– bertà verso tutti. Alberto Gagliardi

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