Il piccolo Hans - anno XXI - n. 83/84 - aut./inv. 1994

mondo occidentale. Ma questa testimonianza, ideologica anziché paesaggistica, non è che la versione televisiva dell'invisibilità, una forma patologica di misticismo4 nella quale la velocità della visione rende invisibile l'oggetto: lo spazio della rappresentazione viene occupato dal narcisismo di una velocità «pura», senza meta. Se questo è lo scenario con il quale ci dobbiamo confrontare anche l'idea del viaggio, dello spostarsi per «vedere», diventa obsoleta. Nel suo fondamentale studio sull'argomento, Leed (1992) spiega come il viaggiare abbia ormai perso ogni valore terapeutico per l'uomo occidentale; si potrebbe dire che nell'era del motore informatico il viaggio abbia assunto le sembianze di un'esperienza sempre e comunque turistica. L'obsolescenza del viaggiatore nasce da qui, dal fastidio di chi rifiuta il turismo come esteticamente povero: in realtà a infastidire il viaggiatore è lo statuto evidentemente autoriflessivo del turismo che, con i suoi meccanismi di simulazione, con la sua invisibilità organizzata, finisce per fungere da commento indiretto sull'obsolescenza degli spostamenti del corpo5 • Il turismo dunque rivela il carattere impossibile del viaggio. Se con Ritter la percezione del territorio veniva ancora pensata filosoficamente, nell'ambito della modernità, come paesaggio nel senso di una «natura che si rivela esteticamente a chi la osserva e la contempla con sentimento» (1994:47), con Leed si giunge a cogliere la disperazione del viaggiatore contemporaneo, cosciente che il viaggio nçm è più un mezzo che permetta di distinguersi. E un modo di raggiungere una norma, l'identità comune a tutti noi: quella dell'estraneo (1992:348). Non sarà superfluo sottolineare qui il concetto di estraneità che, introdotto da Leed ai fini di un'analisi dello spirito contemporaneo del viaggiare, costituisce al contempo l'anello mancante nella catena velocità-informazione66

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==