lizza cioè i dati reali come pretesti narrativi, la città come magazzino di osservazioni, impressioni, emozioni da manipolare a piacere con la forza della fantasia. Il binocolo è lo strumento della sua destrezza illusionistica: simula il movimento che all'osservatore è precluso, ingrandisce artificiosamente, seleziona, crea nessi e significati nella frammentaria incoerenza della folla, riconosce e nomina, salvando, per così dire, l'individualità dall'assedio della massa anonima. Il cugino è insomma, per il breve spazio di questa fantasmagoria destinata ad arenarsi nella pura oralità, l'artista ancora in pieno possesso di quell'intatta sovranità che gli consente di esorcizzare le minacce della condizione moderna, ma gli impedisce anche di coglierne lo straordinario potenziale innovativo. Della sua inadeguatezza egli è tuttavia pienamente consapevole e la paralisi non è in fondo che una trasparente metafora della crisi del suo ruolo sociale e dell'irreparabile usura cui egli sa esposti i propri strumenti espressivi30 • Significativamente, al centro della sfilata di rapidi schizzi che la sua fantasia tratteggia ispirandosi alla folla sottostante, si colloca un ampio episodio, l'unico attinente alla sua realtà biografica e quello maggiormente pervaso di autoironia. Vi si ricorda il suo incontro con una fioraia del mercato immersa nella lettura di un libro di cui il cugino si rivela essere l'autore. Alla scoperta di trovarsi di fronte in carne ed ossa «il genio sublime che aveva saputo creare un'opera così eccelsa» [1024], la ragazza (qui rappresentante del pubblico borghese cittadino), è colta non da un'emozione reverenziale ma da un inebetito stupore, quello di chi non aveva mai pensato che i libri che leggeva dovessero essere stati prima concepiti e scritti da qualcuno. Il concetto di «scrittore», «poeta», le era totalmente ignoto. [1025] 239
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