ce, la notte della fine dell'anno e del secolo, quella profetica ironia... Si era contraddetto e perciò tacque. Se non c'era mai stato amore, come poteva l'amore causare danno o menzogna? Emma disse: « È tutto più semplice. Tu pensi al suicidio e non te ne accorgi. Non riesci a dire a te stesso che il vero suicidio non è puntarsi un'arma alla tempia e togliersi la vita: è vivere nella menzogna, mentire a se stessi, crearsi una superstizione volontaria. Il tuo Zosima: che mentitore». « È così! - disse René, entusiasmandosi - Dove hai letto la sentenza, nelle foglie del tè?» «Nella tua incertezza». «Perché hai parlato di me come di un personaggio?». «Ho parlato di romanzi e me ne scuso. Non ho detto che tu sia un personaggio, ho detto il contrario: ho detto che sei un problema. I personaggi sono tutti morti e il loro posto è stato preso dai problemi. Tu sei un problema, ma potrei anche dire che sei un personaggio problema. Non te ne offendi? Del resto, sei fatto di libri. Non ho letto quella che tu chiami la mia sentenza nelle foglie del tè: l'ho letta nella tua espressione, nella complicata ma chiarissima pagina che tu stesso leggi guardando in te, esprimendo le tue contraddizioni. Ascolta. Non credi che quel mentire a se stessi abbia un nome, che quel suicidio si possa chiamare anche con un altro nome?». Come personaggio di un vecchio romanzo, René esclamò: «Quale, in nome di dio?». «Assassinio. L'assassinio più raffinato che si possa immaginare. Assassinare se stessi con la menzogna. Non ti pare, questa, la più bella delle belle arti?» Thomas de Quincey, in quel libretto intitolato Gli ultimi giorni di Immanuel Kant, descrive il filosofo allo stremo. La consistente dose di oppio che vorrebbe dargli, in verità, fa gola a lui. Perché de Quincey parla di sé, quel 24
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