me nutriva fede infra 'l sospecto, / piango mie sdegno e castigo i mie' crucci»). Ma nel tempo della memoria, l'incertezza e le esitazioni, che regolano questo continuo oscillare fra gli estremi dell'amore e dello sdegno, appaiono così tanto costantemente rimbalzate che la stessa struttura strofica non riesce a contenerne le ripetute evoluzioni, al punto tale che Quegli occhi ornati appare a ragione «sestina unica nel suo genere, in cui la struttura ritmica e sintattica è sconvolta dall'interminabile elenco di crucci amorosi, che si conclude solo al v. 20»13 . Va allora immediatamente notato che tale «interminabile elenco di crucci» (che violentemente infrange la regola implicita della tenuta stagna delle strofe) non risponde al gusto petrarchesco (e poi petrarchista) dell'«evocazione affollata» ma è il frutto sapientemente psicologico di quella che si potrebbe definire una «sintassi del ripensamento», in cui i soggetti (sostantivi che acquistano senso dagl'individuanti, e complici, dimostrativi o, più direttamente, verbi sostantivati), prim'ancora di sciogliersi nella predicazione del v. 20, compiono già, per così dire, le loro azioni, che sono appunto i gesti puntuali e protratti nel tempo di una storia d'amore. Se il predicatore («arme furono e lacci») tarda a giungere e a ripristinare la quiete in un'immagine così tanto movimentata, è perché i soggetti sembrano cozzare l'uno contro l'altro, come per eliminarsi, riproducendo perfettamente quell'altalena di pensieri e situazioni già magistralmente messa in movimento dalle stesse parole-rima. A ripercorrere, sia pure velocemente, i primi 21 versi di questa sestina (che costituiscono un unico periodo), si può agevolmente notare come sia giusto il bilanciamento fra le marche positive e negative dei soggetti a rendere impossibile l'affermazione pacificatoria di una quale che sia predicazione; e come tale fronteggiamento non sia solo delle antitetiche parole-rima ma si riverberi costantemente addirittura all'interno dei singoli versi. A ben ve272
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