Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

serie»10 che sembrerebbe animare tutto il ricercato sperimentalismo dell'Alberti lirico volgare; ne consegue la sostanziale individualità delle sestine albertiane sia nei confronti della produzione coeva (si pensi all'amico Giusto de' Conti) ma anche all'interno stesso del piccolo corpus, ove ciascuna di esse appare esemplata secondo propri principi (recuperando, così, anche nella molteplicità, la caratteristica di unicità ed eccellenza predicata alla forma dei suoi primi «ritrovatori»"). Da questo punto di vista, l'anomalia di Quegli occhi ornati di mestitia e riso, sestina sulla quale ci si vuole soffermare, diviene un po' l'emblema di questa rinnovata libertà che invade, prepotentemente, la forma meno libera della nostra tradizione.12 Già le parole-rima elette, delle quali non a caso nessuna è debitrice della tradizione (come invece accade spesso per la sestina, che è tutto un rimulinare dei vocaboli messi in desinenza da Petrarca e, in seconda battuta, da Dante), si dispongono fra loro in una precisa relazione antitetica, non tanto per evidenziare il bipolarismo in cui solitamente dibatte la lirica italiana (il poeta vs. la donna che si ritrae) quanto piuttosto per tratteggiare l'ossessivo andirivieni tipico di una concreta storia di desiderio: riso - crucci fede - sospecto amore - sdegno Non è un caso, allora, che tale oscillazione fra riso e crucci, fede e sospecto, amore e sdegno parrebbe virtualmente destinata a non ricevere mai alcun arresto; l'arresto, se vi è, è nel tempo-ora, che è un tempo della lontananza («lungi da gli occhi...», principia il congedo, ove, non a caso, la parola-rima amore, che in qualche modo dovrebbe racchiudere tutte le altre, viene, secondo la nostra proposta, addirittura liquidata), da cui rimpiangere la propria incapacità di vivere serenamente la stessa storia d'amore («Lungi da gli occhi onde quel dolce riso I in 271

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