Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

que sestine (e una terzina lirica, che della sestina è un dimezzamento, sebbene strutturalmente un po' diversa da quella di Antonio da Montalcino). La spregiudicatezza, diciamo pure «camaleontica»8 , con cui il grande umanista e architetto s'impossessa del genere, è tutta tesa ad ampliarne i limiti, avvertiti oramai come troppo angusti (per un verso, quale quello albertiano, che si ritempra di una sintassi che la memoria del latino rende più frastagliata; o che invece si scioglie in un falso semplicismo, tutto eccezionalità prosodica, come nelle elegie); le torsioni sintattiche e i rivitalizzati canoni retorici, attraverso cui si armonizzano le sestine albertiane, ne fanno un caso sostanzialmente unico nella storia della prosecuzione della forma, e ciò anche quando in esse si riscontra «un corredo d'immagini stereotipe (...) e lessico fortemente tributario della tradizione»9 • Si veda, a mo' d'esempio, questa quarta strofa di Nessun pianeta che possegga il cielo, dove la mirabile coesione sintattica della stanza consente la compresenza della vita e della morte della donna amata, quasi in una costante rifrazione dell'una nell'altra (al punto da rivitalizzare un luogo, quello del contrasto fra passato felice e infelicità del presente ove si subisce l'assenza definitiva della donna, reso già frusto dai primi imitatori del Petrarca): Onde s'i' cerco e' luoghi qui nel mondo dove io solea onorar mia donna, gli veggo ancor risprender, benché morte spegnesse que' begli occhi onde uscì el sole che scaldò prima me ch'ornasse il cielo e vuol nutrir persin ch'io lasci vita. Anche nell'adesione alla sestina, dunque, oltre che nelle più esplicitamente innovative elegie, traspare quella che Gorni definisce la prima «virtù del poetico "camaleonta"», vale a dire quella «predilezione del prototipo e del1'esemplare unico», «quel disdegno della produzione in 270

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==