Il piccolo Hans - anno XX - n. 79/80 - aut./inv. 1993-1994

ducibile; cioè Arnaut Daniel, Dante e Petrarca). Nessun'altra forma metrica ha più fortemente denunciato i propri fattori. Da costoro, dagli espedienti con cui essi piegarono alla forma i contenuti perseguiti, la sestina, come genere, è come se non fosse mai riuscita a prescindere: la contraffazione, la contaminazione e la maniera, in cui via via s'incarnerà la forma nei secoli, sembrerebbero allora sorte inevitabile per il genere. Data l'eccezionalità della forma, anche a fronte di più complicati strofismi, e il privilegio semantico che parrebbe sortire dal rimartellamento dei sei vocaboli eletti, si ha come la sensazione che i tre grandi «ritrovatori» abbiano creato la sestina una volta per tutte, al punto che in essa non è possibile accedere senza fronteggiarne le già date risoluzioni contenutistico-formali. Da questo punto di vista, la nascita della sestina contiene non già in nuce ma completamente dispiegata la rigidità mortuaria che sarà del genere e che ne determinò, in progressione, la fortuna come la disgrazia e i successivi tentativi di riabilitazione. Sottolineato il rigore che sottende la dispositio che regola la strofa, nonché la monoliticità dei contenuti una volta eletti i sei vocaboli desinenti, la sintassi finisce per essere lo spazio ove si dispiega interamente il tracciato della sestina. In essa, i rapporti sempre tesi fra struttura metrica e sintattica si declarano con esplicitezza (la fissità della posizione finale del verso non è solo la pur limitante, sintatticamente, ritentata isofonia, come nella semplice rima, ma s'estende allo statuto logico e, dunque, al contenuto stesso). Se, quindi, è alle torsioni sintattiche che s'affida, prima che ad ogni altro espediente, la fattura del verso, ne consegue una sempre straordinaria frastagliatura delle strofe, un procedere per contraddizioni (rispetto alla fissità della sede finale che deve, in qualche modo, essere smentita, e rivitalizzata, all'interno del verso) che forse contribuisce non poco al fascino cui in prima battuta s'è accennato. Non è un caso, allora, che la sestina 265

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